Addio parchi italiani
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La nuova legge sui parchi affonda quello che resta di un patrimonio che invece mai come ora andrebbe salvaguardato. E si apre la strada ancora di più agli interessi privati. Ancora una decisione in nome e per conto di pochi.
Di fronte a un aumento galoppante dell’effetto serra, alla minaccia di estinzione di migliaia di specie animali e vegetali importantissime sia per l’equilibrio di interi habitat sia per il sostentamento umano, quale obiettivo si dovrebbe prefiggere un governo? Il buon senso direbbe un obiettivo di salvaguardia e incremento delle aree protette, di incentivi politici ed economici per la protezione del territorio e degli esseri viventi che lo abitano. E infine un obiettivo culturale per sviluppare nella popolazione e soprattutto nei giovani amore, rispetto e conoscenza della natura.
Ma nel nostro paese sta succedendo esattamente il contrario. Con 249 voti a favore, 115 contrari e 2 astenuti, la Camera dei Deputati ha approvato la nuova legge in materia di parchi ed aree protette. E chi ne è stato informato, se ha a cuore l’ambiente, ha fatto davvero fatica a non cadere nello sconforto.
La nuova legge è un’accozzaglia di concessioni e favoritismi nei confronti dei privati, di lobbies potenti come i cacciatori, di categorie come gli agricoltori. La politica entra a gamba tesa nella gestione dei parchi e lo fa come una ruspa in una foresta vergine, con protervia e ignoranza e con l’unico obiettivo di favorire interessi economici e speculazioni.
Ma vediamo nel dettaglio cosa comporta questa legge e perché ha fatto levare un coro di proteste da parte di tutte le associazioni ambientaliste.
In primo luogo, a chi governerà i parchi, ovvero i presidenti e i direttori, non sarà più richiesta alcuna competenza scientifica e i presidenti saranno nominati dal ministro e dalle Regioni, cioè dai politici; nei consigli direttivi dei parchi la metà dei membri sarà scelta dalle amministrazioni comunali, un quarto sarà composto di sindaci, ma ci sarà posto anche per gli agricoltori.
Si apre la strada a interessi economici privati, interessi politici e clientelistici (d’altra parte si dichiara che questa riforma è fatta per lo sviluppo economico), alle ditte del legname e all’industria del turismo.
Viene scardinata l’idea che un’area naturale protetta sia prima di tutto necessaria alla salvaguardia dell’ambiente, a preservare il futuro di un territorio, oltre che il presente. Passa l’idea che l’economia e il profitto siano l’unico obiettivo e metro di giudizio nei riguardi della natura.
Il mondo scientifico viene emarginato nella gestione dei parchi, e anche il mondo ambientalista è messo in un angolo, a favore di categorie politiche ed economiche. Si apre la strada a possibili trivellazioni ed estrazioni petrolifere, si potrà inquinare pagando delle roialties, si apre alle attività di caccia col pretesto del controllo degli ungulati, con le conseguenze di disturbo, danneggiamento e migrazione di altre specie anche rare e protette.
Una serie di vergognose scelte difese con assoluta facciatosta da voltagabbana dell’ambientalismo come Ermete Realacci, che da presidente di Legambiente è passato armi e bagagli al carrozzone politico e riesce a elogiare con accanimento una legge “mostro” inqualificabile.
Tale legge, tra l’altro, considera marginali le aree marine protette, privandole dei fondi e delle organizzazioni che spettano ai parchi naturali.
C’è poi la questione del delta del Po, da anni tema di proteste e proposte per realizzare un parco nazionale. Un’area che l’UNESCO ha dichiarato area prioritaria, che rientra nella Convenzione di Ramsar sugli uccelli migratori, e che ora è spezzettata in tre provincie con diverse concezioni e gestioni.
Questa legge-pastrocchio indecente ha fatto infuriare il WWF Italia, che parla di aree naturali protette “usate come merce di scambio da mettere in mano ai poteri di parte e locali, invece che un bene comune che appartiene ai cittadini”, e rincara la dose dichiarando “La Camera ha portato indietro di 40 anni la legislazione di salvaguardia della natura”.
Anche la LIPU parla di “mortificazione di una legge storica fondamentale per la conservazione della natura in Italia, e una delle pagine più grigie della legislazione ambientale italiana”.
Ecco dunque le disastrose decisioni prese dal nostro governo e avvallate da una parte dell’opposizione. Le ricadute ambientali, sociali e anche economiche potrebbero essere devastanti ma, per avvantaggiare interessi economici privati, si buttano alle ortiche i nostri beni più preziosi. Beni che non appartengono solo a noi ma anche alle generazioni future e che con questa legge saranno invece compromessi.
Ancora una volta una decisione politica antipopolare e che distrugge il patrimonio e l’immagine dell’Italia.
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