il dolore di vivere come esseri umani



Incontro con il dott. Giuseppe Sauro
medico psichiatra e psicoterapeuta che ha lavorato per molti anni presso l’Ospedale di Santa Giuliana, occupandosi in prevalenza della cura psicoterapica di pazienti psichiatrici gravi.

In molti, oggi come nel passato, vogliono cambiare la società e si impegnano in svariati modi, ma sappiamo che ad alimentare i guai della nostra società sono gli esseri umani, noi stessi, come può cambiare una società se nessuno di noi si impegna a cambiare prima se stesso?
Questo incontro ha un senso se c’è l’interesse /disponibilità da parte di chi partecipa a mettersi in gioco per capire cosa ci costa, in termini di sofferenza, il continuare a pensare così come siamo abituati. Questa sofferenza psichica è un’esperienza che a vari livelli tutti noi abbiamo fatto, il motivo di fondo è la frattura con la Vita e il nostro modo di pensare plasmato dal modello sociale nel quale siamo nati e cresciuti.

In questo incontro è indispensabile la partecipazione attiva dei presenti, così abbiamo ritenuto necessario limitare la partecipazione ad un massimo di 20 persone, per cui vi chiediamo se siete intenzionati a partecipare di segnalare il vostro nominativo a antonio: antonionicolini@libero.it

Questo primo incontro è l’apertura di un ciclo che quast’anno si baserà su una serie di domande (e non affermazioni) sulle quali interrogarci, anche con l’aiuto di persone che per la loro esperienza specifica possono portare un particolare contributo.

Un mondo migliore è possibile?
Il cambiamento verso un mondo migliore a cui tutti aspiriamo può essere agevolato e come da nuove pratiche di vita comunitaria?

La società non può cambiare se non avviene un cambiamento nei singoli esseri umani che la compongono, possiamo noi risvegliare positivamente il desiderio/necessità di cambiamento delle persone?
Quanto si intersecano e possono influenzarsi a vicenda il cambiamento interiore e quello sociale? In altre parole, un cambiamento sociale può agevolare le persone a cambiare a loro volta? Queste domande le legheremo al particolare modello socioeconomico del nostro territorio, consapevoli che le stesse domande possono avere risposte diverse per altri luoghi e popoli.

In ogni attimo della nostra esistenza, consapevolmente o inconsciamente, sappiamo che tutto ciò che amiamo, noi stessi compresi, avrà prima o poi fine, a questo brivido di impotenza che ci coglie si aggiunge il senso di insignificanza della nostra vita di fronte all’eternità, all’universo o all’infinita complessità della vita. Tutto questo crea da sempre negli esseri umani difficoltà a dare un senso alla propria esistenza, sofferenza e disagio, attraverso le religioni in passato gli esseri umani si sono impegnati a cercare di dare sollievo a questo male profondo, ma questo non è stato in grado di evitare che gli esseri umani si gettassero continuamente in una serie infinite di guerre, massacri, ingiustizie e da ultimo nella costruzione di questo sistema disumano e distruttivo. Il bisogno sicurezza, di potenza e di ricchezza, l’orgoglio e l’egoismo possono trovare sollievo all’interno di un modo nuovo di fare comunità?

Riusciamo ancora a provare meraviglia, umiltà e rispetto di fronte al mistero della vita ed un conseguente senso di amorevolezza nei confronti di ogni forma vivente, a sentire a volte che noi stessi siamo parte e non separati dalla vita di tutti gli altri esseri, ma c’è l’impressione che sempre di più questa capacità si affievolisca nelle nuove generazioni. La direzione di cercare la felicità nel possesso di beni materiali ci sta mettendo in un vicolo cieco? Cosa accade nelle nuove generazioni nei confronti della natura ma anche nei confronti dei propri simili? Un nuovo modello comunitario più a contatto con la terra, ai suoi ritmi, suoni e colori può aiutarci a sentirci integrati nel pianeta in cui viviamo e a sviluppare una nuova capacità di rispettare a amare la vita?

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