Densità ossea: l’escamotage per produrre nuovi malati
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Misurare la densità ossea può persino danneggiare la salute: è quanto spiega Sayer Ji, fondatore di GreenMedInfo, ricercatore e membro della Global Gmo Free Coalition. "Le definizioni di osteoporosi e osteopenia sono state formulato apposta - spiega - per indurre milioni di donne a credere di avere bisogno di farmaci malgrado non abbiano sintomi".
di Redazione - 10 Luglio 2014
"Le attuali definizioni di osteoporosi e osteopenia - spiega Sayer Ji - sono state arbitrariamente formulate all'inizio degli anni '90 e hanno indotto milioni di donne a credere di avere necessità di assumere farmaci malgrado non avessero sintomi". Prima l'osteopenia nel 1992 poi l'osteoporosi nel 1994 sono state identificate come malattie dello scheletro dall'Oms quando si individuano, tramite uno strumento ai raggi X, determinati valori che si differenziano per un certo margine dai valori medi di una giovane donne adulta caucasica. Questa definizione tecnica, adottata in tutto il mondo, "non ha nulla a che fare con la promozione della salute" dice Sayer Ji.
L'invecchiamento trasformato in malattia
Una "deviazione standard" è semplicemente una quantità calcolata per indicare l'ampiezza della deviazione per gruppi di persone. "La scelta di considerare come valore medio quello di una giovane donna adulta di circa 30 anni, che è nel picco di massa ossea del ciclo vitale, e di porlo come standard di normalità per tutte le donne di 30 anni e più vecchie non solo è stata completamnete arbitraria ma anche illogica - prosegue Ji - Come si potrebbe definire anomala la densità ossea di una 80enne solo perchè è più bassa di quella di una 30enne? Con le nuove definizioni pensate dall'Oms per la densitometria ossea, l'invecchiamento viene trasformato in malattia e le donne "bersaglio" sono qulle stesse donne per le quali anche la menopausa viene proposta come malattia da trattare con la terapia ormonale sintetica sostitutiva, trattamenti che causano più danni che beneici, poichè provocano per esempio disturbi cardiaci, ictus e cancro". Così, Ji spiega che le donne vengono convinte che anche l'osteoporosi sia da trattare con costose medicine, la cui assunzione peraltro implica rischi, per innalzare artificiosamente con ogni mezzo i valori della densotà ossea. Quindi, milioni di donne sane vengono inserite nella categoria delle donne a rischio e da trattare generando miliardi di dolalri di profitti per medici e aziende farmaceutiche.
Come spiega Ji, l’osteopenia è una non-entità medica e diagnostica. Il termine in se stesso descrive semplicemente una deviazione statistica rispetto a un valore determinato arbitrariamente. Stando all’epidemiologo Joseph Melton della Mayo Clinic, il termine osteopenia non ha alcun particolare significato diagnostico o terapeutico. Un altro esperto, Michael McClung, direttore dell’Oregon Osteoporosis Center, ha criticato l’adozione della categoria patologica dell’osteopenia affermando che “stiamo medicalizzando un non problema”. “In realtà – spiega Ji – la definizione dell’Oms distoglie dal vero problema chiave” e cioè la capacità di coordinare in maniera appropriata il corpo per ridurre al minimo il rischio di cadute. Inoltre, spiega ancora Ji, “la qualità delle ossa dipende dalla dieta e dagli stili di vita e non è scomponibile solo in valori numerici. Per esempio la vitamina K2 e gli isoflavoni della soia riducono significativamente il tasso di fratture ossee senza aumentare la densità ossea”.
L’alta densità ossea e il cancro al seno
“Una delle cose che solitamente non si dicono è che avere una densità ossea superiore alla norma nella mezza età e nella terza età aumenta il rischio di cancro al seno del 200-300% e questo secondo ricerche pubblicate su riviste quali Lancet, Jama e Nci. Peraltro si tende a voler far credere che aumentare la densità ossea ai fini di prevenire l’osteoporosi allunghi la vita e non è così”. Inoltre “la fissazione ossessiva riguardo la densità ossea sta mettendo a rischio la salute delle donne in quanto le mega-dosi di calcio che vengono prescritte aumentano il rischio di attacco di cuore del 24-27%”.
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