Vergogna a chi?

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Facile esclamare «vergogna!». Bisogna specificare un pochino, proviamoci. Vergogna alle sinistre, partiti, presidenti delle Camere compresi, il senatore Manconi con la sua compagnuzza Bianca Berlinguer e loro media, giornali e radio e tv di Stato, per aver cercato di dimostrare che le centinaia di affogati di Lampedusa sono affogati per colpa della Bossi-Fini. E più in generale, per colpa degli italiani razzisti, leghisti, omofobi ed anti-immigrati.

È ingeneroso ricordarlo, ma le vittime hanno fatto tutto da sole. Sono state loro a venire in massa non chiamate, di notte, come clandestini, ad affidarsi per questo ad organizzazioni di criminali libici, la cui natura delinquenziale dovrebbe essere ben nota nel Corno d’Africa; loro a dare fuoco al naviglio e a farlo rovesciare mettendosi tutti ad una murata. Loro a farsi ammassare in un barcone senza un solo salvagente, e ovviamente senza saper nuotare perché, poveretti, vengono da Eritrea e Somalia. sono gente che non ha visto acqua dalla nascita, per non dire il mare. Certo, pietà e orrore; ma senza dimenticare che questi hanno pagato qualcosa come 1500- 2 mila euro a testa: in Africa, chi può disporre di una simile cifra non è povero, i poveri veri, in Africa, non li avete mai visti; per fuggire non hanno che le loro gambe scheletrite, per di più debilitate dalla denutrizione. Quelli che vengono qui sono, relativamente, benestanti. Giovani che abbiamo visto mettersi in contatto con le famiglie via Facebook e smanettare sui tablet per dare notizie a mamma, non sono africani medi. 

Vengono dalla Libia. Con la Libia, il nostro governo aveva accordi, quando c’era il colonnello Gheddafi, che bene o male avevano frenato il traffico di clandestini. Hollande, Cameron, Obama hanno voluto rovesciare Gheddafi per gli affari loro, e portare via i nostri agli italiani: hanno così consegnato la Libia a bande criminali spadroneggianti, incontrollate, armatissime perché si sono rifornite dai giganteschi arsenali di Gheddafi, che non solo continuano a devastare il loro stesso Paese, che torturano prigionieri delle loro bande, ma che come affaruccio collaterale hanno intensificato il commercio e taglieggio degli aspiranti africani alla venuta in Italia. 

Comincino a vergognarsi quelli di Parigi, Londra, Washington, che hanno voluto rovesciare Gheddafi. Ormai i delinquenti hanno ammassato 12 mila aspiranti clandestini nell’insignificante porticciolo di Zuwarah, a 100 chilometri da Tripoli, in attesa degli imbarchi. La ministra Kyenge ha definito «vergognoso» il centro d’accoglienza di Lampedusa? Beh, dovrebbe – se avesse il coraggio – farsi un giretto nei centri di ritenzione in cui i delinquenti ammassano le loro vittime in attesa che le famiglie, laggiù nell’Africa sahariana, raggranellino i quattrini aggiuntivi richiesti per il passaggio: Amnesty International ha mandato qualcuno a visitare sette di quei campi «di ritenzione», così li chiama, dove se i soldi delle famiglie non arrivano si può restare a «durata indefinita», in condizioni atroci, senza cibo né acqua né latrine, e dove i libici «picchiano brutalmente anche le donne con cavi elettrici o tubi di ferro». Anche lì, come a Lampedusa o nei centri nostri, i clandestini – quando sono tanti – si ribellano: la, però ricevono raffiche di kalashnikov, secondo Amnesty. Magari capirà perché tanti clandestini vogliono a tutti i costi venire nella «vergogna» italiana... dove li vestiamo, li curiamo e li alimentiamo di cibi halal. (La Libye accusée de mauvais traitements sur des milliers de migrants)

I torturatori sono gli eroi che ieri hanno abbattuto Gheddafi con il sostegno della Nato e gli applausi della propaganda occidentale, in nome dei «diritti umani» che Gheddafi violava: si vergognino questi. Oggi sono un’industria dei diritti umani maciullati: che imbarcano i loro africani-ostaggi, e nei casi migliori forniscono di un telefono satellitare (un piccolo investimento, fa parte del business) in modo che, a 30 miglia dalla costa italiana, chiamino le nostre autorità italiane (hanno i numeri) per farsi salvare. Nei casi peggiori, li gettano in acqua ad annegare, perché tanto sono negri, mica della superiore razza libica. Gli affari sono ottimi, i profitti di questi mascalzoni si valutano in 4 miliardi di dollari l’anno, che è poco meno del 10% del Pil della Libia; specialmente ora che i profitti petroliferi sono ridotti a zero grazie alle bande armate e alla destabilizzazione, un reddito niente male. A noi contribuenti italiani, invece, solo le spese: salvataggi, ricoveri, mantenimento, vestiari. Dovremo fare concorrenza invece, ai profittatori libici: vendere nelle nostre ambasciate un visto turistico a ciascuno per 1000-2000 euro, e poi che vengano pure qui in aereo di linea, , magari potremmo munirli di un documento che gli consenta di muoversi nello spazio Schengen: è gente che vuole andare in Germania, ha già lì amici e parenti, sa che qui non c’è lavoro, è informatissima e intraprendente.

Le ultime centinaia arrivate ed affogate vengono la Somalia ed Eritrea. Queste erano nostre colonie, e quando erano colonie italiane non avevano motivo di fuggire le miseria; l’Italia vi ha profuso energie e mezzi, con un programma civilizzatore a cui i nostri nonni avevano creduto. Naturalmente, è stato decretato tra Londra e Washington che le colonie erano una vergogna, e che bisognava lasciare i popoli all’auto-determinazione. La Somalia è presto diventata il disastro morale e materiale, che a malapena la nostra opinione pubblica conosce; il buco nero del mondo; gli interventi americani hanno devastato, distrutto e destabilizzato, per poi ritirarsi feriti dal mostro che hanno creato: uno Stato fallito, failed state, anzi lo Stato fallito per eccellenza. Che sparge il suo disordine, sangue e profughi e terroristi anche nel vicino Kenya. 

Io la vidi, Mogadiscio, quando già da anni era «libera» da anni: i vecchi edifici pubblici fascisti, fatti in economia (perché la Somalia come colonia rendeva nulla) erano già crivellati da mitragliate di fazioni incomprensibili e dementi; ma l’albergo Stella d’Italia ancora serviva agnello arrosto col rosmarino e lasagne, e qualche bananiero italiano resistevano ancora, ma poi dovettero andarsene. Da allora, per i somali, niente più banane da vendere, solo Shahab e pirateria, fame, tubercolosi e settarismo feroce (il vescovo, francescano italiano che conobbi, trovò il martirio). All’Italia, del resto, il WTO aveva vietato di comprare le banane somale; non erano competitive; ci dovemmo servire sul «mercato mondiale», guarda caso dominato dalla United Fruits.

Si vergognino loro.

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