Grillo, Telecom e la sartoria mediatica
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/30/grillo-telecom-e-sartoria-mediatica/728624/
Grillo voleva vendere Telecom! Grillo adesso ha cambiato idea e vuole bloccare la vendita a Telefonica! Grillo incoerente! Grillo! Sempre tu!
La grande stampa ha ripescato un post del 2010 pubblicato nel blog di Beppe Grillo, lo ha cucinato insieme a quello fresco fresco del 24 settembre scorso e ha sfornato titoli dal vago accento epico, come quello de Il Giornale: “Quando Beppe Grillo voleva vendere Telecom”.
Intruppati come topolini al suon di piffero, diversi giornalisti (e non solo…) sono saltati sul treno della notizia anti-Grillo.
Menzioni speciale per Il Post, per il capo redattore de il Foglio che si indubbia su Twitter e per @SELmontecitorio, account ufficiale del gruppo Sel alla Camera, che ha twittato con tanto di immagineper meglio puntare il ditino contro l’incoerente Grillo.
Essì, i fascisti del Web vi controllano, tremate.
Ora starete aspettando il punto in cui dico che è tutto falso. Vi accontento: è tutto falso.
L’incoerenza fra i due post di Grillo su Telecom è soltanto apparente, ottenuta mettendo in relazione due stralci accuratamente selezionati, ritagliati e incollati per ottenere l’effetto desiderato. Sartoria mediatica.
Telecom è stata per anni spolpata. Dei pezzenti incapaci di fare investimenti hanno divorato Telecom e l’hanno abbandonata indebitata per decine di miliardi. Ricordatelo quando le vostre connessioni Internet vanno di merda: se sono le più lente d’Europa è colpa loro. Al privato banchetto sono sopravvissute soltanto le ossa di Telecom: cioè la rete, le infrastrutture, la dorsale delle telecomunicazioni italiane.
Nel post del 2010, Grillo descrive in dettaglio le storture avvenute in Telecom e parla di vendere la società (quei brandelli che ne rimangono…), non perché sia felice di farlo, ma perché lo ritiene ormai inevitabile. I luminari della finanza italiana hanno invece atteso tre anni per vendere, con le azioni che oggi valgono meno della metà rispetto al 2010.
Grillo parla di vendere la società scorporata dalla rete, la quale deve restare nelle mani dello Stato (ancheil Copasir ha evidenziato i problemi di sicurezza esistenti nel lasciarci ficcare il naso ad altre nazioni).
I servizi sono una cosa, il palo del telefono un’altra.
Nel post del 24 settembre scorso, Grillo prende atto del disastro previsto e avvenuto, chiedendo dibloccare la vendita a Telefonica, per poi stabilire con una commissione di inchiesta parlamentare le responsabilità dell’apocalisse Telecom, “eventuali guadagni illeciti” compresi. La vendita a Telefonica rischia inoltre di far saltare il tavolo per lo scorporo della rete (rame e fibra) in un’altra società: tradotto, possiamo scordarci la diffusione della fibra ottica.
A meno che, come suggerisce Catricalà dopo repentino ripensamento, lo scorporo non venga imposto per legge: cosa che si può fare, ma non senza indennizzo.
E il Governo Letta cosa dice di tutto questo? Che è avvenuto a sua insaputa. “Come non hanno detto niente a Bernabè così hanno fatto con noi”. Parole di Catricalà.
Con un gioco di prestigio mediatico, una previsione azzeccata di Grillo è diventata un’incoerenza da deridere. Ci siamo abituati a queste magie comunicative: è un po’ come quando le denunce contro falsità e ingiustizie vengono derubricate a forme di vittimismo. Ops, questa suonava un po’ vittimista.
Guardate il video di Beppe Grillo all’assemblea degli azionisti Telecom (datato 2010) e giudicate voi se ci ha preso o no.
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