Armi nucleari: superata la soglia dei 100 miliardi di dollari nel 2024

 Dal Web

La Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN) ha pubblicato il 14 giugno il suo rapporto annuale, “Hidden Costs: Nuclear Weapons Spending in 2024”, che analizza in profondità le spese sostenute dalle potenze mondiali per mantenere, sviluppare e modernizzare i propri arsenali atomici.

 Lo studio coincide con l’attacco di Israele all’Iran, giustificato dagli aggressori con l’affermazione non provata che Teheran starebbe costruendo la propria bomba atomica grazie all’arricchimento dell’uranio.

Ma la realtà ci dice ben altro: è l’Occidente a detenere i maggiori arsenali nucleari, che continua a potenziare. 

I numeri sono allarmanti. 

In un solo anno sono stati spesi oltre 100 miliardi di dollari, con un incremento dell’11% rispetto al 2023. 

È la cifra più alta mai registrata, segno evidente che il mondo non sta andando nella direzione del disarmo, ma verso una nuova, pericolosa, corsa agli armamenti nucleari.




                                                                                Foto: Unsplash.com                             


Una spesa fuori controllo: gli Stati Uniti guidano la classifica

A dominare il panorama è ancora una volta Washington, con 56,8 miliardi di dollari, pari a oltre la metà della spesa globale. 

Seguono Cina (12,5 miliardi) e Regno Unito (10,4 miliardi), ma anche la Francia, la Russia, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord partecipano attivamente alla corsa al riarmo.

Questi Stati, dotati ufficialmente o ufficiosamente di armi nucleari, giustificano i propri investimenti con presunti imperativi di “sicurezza nazionale”. 

Tuttavia, come sottolinea la ICAN, queste spese non rispondono ai reali bisogni delle popolazioni, ma alimentano una logica di deterrenza e minaccia che accresce i rischi di conflitti devastanti.

Un sistema opaco che arricchisce pochi: il business dell’atomica

Il rapporto mette in luce anche il ruolo crescente delle grandi aziende del complesso militare-industriale, che nel solo 2024 hanno ricevuto almeno 42,1 miliardi di dollari per attività legate agli armamenti nucleari.

 Attualmente sono in vigore contratti per un valore complessivo di 463 miliardi di dollari, e ogni anno se ne firmano di nuovi per decine di miliardi.

Come sottolinea la ICAN, l’interesse economico ha preso il sopravvento su ogni principio di responsabilità politica e umanitaria. 

L’industria bellica influenza governi, alimenta think tank e lobby, e contribuisce a un circolo vizioso dove la “sicurezza” è solo un pretesto per moltiplicare profitti privati, mentre l’umanità resta esposta a minacce esistenziali.
 

Il caso italiano: una complicità silenziosa

Nel panorama globale, l’Italia occupa una posizione ambigua.

 Pur non essendo una potenza nucleare, il nostro Paese ospita sul proprio territorio decine di testate statunitensi, a Ghedi e ad Aviano, nell’ambito del programma NATO di “nuclear sharing”.

 Si tratta di armi atomiche B61, che saranno presto sostituite dalle più moderne B61-12, con capacità più avanzate e maggiore precisione.

Questa presenza viene raramente discussa nel dibattito pubblico o in Parlamento, e l’opinione pubblica ne è in gran parte ignara. 

Eppure, l’Italia partecipa attivamente all’infrastruttura della deterrenza nucleare e i suoi piloti vengono addestrati all’uso delle bombe atomiche statunitensi.

A tutto ciò si aggiunge il rifiuto del governo italiano di aderire al Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), promosso proprio dalla ICAN e approvato all’ONU nel 2017.

 L’Italia ha scelto di restare fuori da un accordo che vieta la produzione, il possesso e lo stazionamento di armi atomiche, schierandosi così dalla parte di chi continua a investire nella logica della minaccia nucleare.

Una questione di scelte politiche e culturali

Il rapporto della ICAN non si limita alla denuncia.

 Lancia un appello chiaro alla comunità internazionale: è il momento di cambiare rotta. 

Mentre milioni di persone in tutto il mondo lottano con crisi economiche, sanitarie e ambientali, spendere miliardi per strumenti di distruzione di massa appare sempre più insostenibile e immorale.

Investire nella pace e nella cooperazione, aderire ai trattati di disarmo, promuovere una cultura del dialogo e della sicurezza condivisa sono oggi scelte urgenti e possibili. 

E spetta anche all’Italia decidere se continuare a essere un tassello silenzioso di un sistema pericoloso, oppure diventare finalmente una voce chiara per il disarmo nucleare e la pace globale.

In Italia ci sono circa 120 basi Nato, più o meno importanti, che a volte coincidono con altre installazioni americane presenti sul territorio nazionale.

 Tra queste troviamo centri logistici, di addestramento, aeroporti militari, ma anche depositi, impianti di comunicazione e poligoni.

Le più importanti

Aviano, in provincia di Pordenone in Friuli Venezia-Giulia: è la sede di un’importante base aerea della Nato e statunitense. Secondo alcuni rapporti qui dovrebbero esserci alcune decine di testate nucleari statunitensi;


Camp Ederle, Vicenza in Veneto: una delle basi militari più importanti dell’esercito statunitense in Italia;
Gaeta, in provincia di Latina nel Lazio: ospita una base navale della marina statunitense e della Nato;


Ghedi, in provincia di Brescia in Lombardia: un aeroporto militare a totale gestione italiana che però ospita testate nucleari statunitensi;


Napoli, dove ha sede uno dei due Comandi operativi della Nato in Europa, l’Allied Joint Force Command. 

A Napoli c’è anche il Quartier generale del Comando delle forze navali degli Stati Uniti in Europa e Africa;


Poggio Renatico, provincia di Ferrara in Emilia Romagna: qui ha sede uno dei comandi aerei della Nato, il Deployable Air Command and Control Centre;


Sigonella, vicino Catania in Sicilia: è una delle basi aeree della Nato più importanti per la sua posizione e gli equipaggiamenti custoditi.

 Da Sigonella partono le missioni di ricognizione aerea dei cinque droni Global Hawk, usati anche per la guerra in Ucraina.

 A Sigonella ha sede l’Alliance ground surveillance (la Sorveglianza al suolo dell’alleanza) della Nato che permette di monitorare in tempo reale con determinati strumenti (tra cui i droni Global Hawk) la situazione in terra, mare e cielo. Sempre in Sicilia, all’aeroporto di Trapani-Birgi si trova una base operativa avanzata Nato;Droni base nato Sigonella
Solbiate Olona, in provincia di Varese in Lombardia: qui ha sede il Nato Rapid deployable corps (il Corpo di armata di reazione rapida), un contingente multinazionale pronto ad entrare rapidamente in azione dove ce ne fosse bisogno. L’Italia fornisce il 75 per cento del personale, mentre il rimanente 25 per cento è costituito da militari provenienti da altre nazioni.

L’appello dei Premi Nobel a Trump e Putin

Il 28 aprile 2025, tre organizzazioni insignite del Premio Nobel per la Pace - Nihon Hidankyo (2024), ICAN (2017) e IPPNW (1985) - hanno inviato una lettera congiunta ai presidenti Donald Trump e Vladimir Putin, esortandoli a intraprendere azioni decisive per la de-escalation nucleare e a impegnarsi in negoziati significativi per il disarmo.

Nella lettera, i firmatari sottolineano che Stati Uniti e Russia detengono insieme circa il 90% degli arsenali nucleari mondiali, attribuendo a entrambi una responsabilità speciale nel prevenire una catastrofe globale. 

Rievocando il vertice del 1986 tra Reagan e Gorbaciov a Reykjavík, che segnò un momento storico per il disarmo, gli autori dell’appello invitano i leader attuali a riprendere quello spirito di cooperazione e a compiere passi concreti verso l’eliminazione totale delle armi nucleari.

Terumi Tanaka, sopravvissuto al bombardamento atomico di Nagasaki e rappresentante di Nihon Hidankyo, ha dichiarato: “Le armi nucleari non devono mai essere usate. 

Il loro impiego sarebbe un crimine contro l’umanità”. Tanaka ha criticato le minacce nucleari di Putin nel contesto del conflitto in Ucraina, sottolineando la mancanza di comprensione delle devastanti conseguenze umane delle armi nucleari.

Melissa Parke, direttrice esecutiva di ICAN, ha ribadito l’urgenza dell’azione: “Ascoltare Tanaka descrivere gli effetti orribili del bombardamento dovrebbe convincere i leader mondiali a fare di più che semplicemente congratularsi con i hibakusha per questo premio. 

Devono onorarli eliminando urgentemente le armi nucleari”. Michael Christ, a nome di IPPNW, ha aggiunto: “Le armi nucleari non sono una forza naturale inevitabile.

 Sono state costruite da mani umane e possono essere smantellate da mani umane. 

Tutto ciò che è necessario è la volontà politica”.

L’appello congiunto delle tre organizzazioni Nobel rappresenta un richiamo potente alla responsabilità e alla leadership necessarie per prevenire un conflitto nucleare. 

In un momento in cui la minaccia nucleare è più alta che mai, la loro voce si leva a favore della pace e della sicurezza globale.

 E ovviamente non si può che condividerlo pienamente, anche alla luce delle sempre più numerose minacce provenienti dagli stati maggiori di USA, Russia, Paesi NATO, Israele, Cina, India e Pakistan di impiegare le armi nucleari per “chiudere” i conflitti in atto.

L’appello alla denuclearizzazione dovrebbe coinvolgere anche Francia e Regno Unito, due partner NATO dotati di armi di distruzione di massa, anch’essi in piena corsa al riarmo nucleare e all’adozione di strategie sempre più aggressive in ambito militare. 

Allo stesso modo non possiamo dimenticare Israele, India e Pakistan, tutti Paesi che non hanno firmato il trattato di non proliferazione e che purtroppo, si caratterizzano per la spregiudicatezza, direi meglio la follia, nel considerare l’uso di testate come un’opzione praticabile e “sostenibile” in caso di conflitto.

L’appello dei premi Nobel per la pace incita i movimenti No War a rafforzare il proprio impegno contro ogni sistema nucleare e rilanciare - così come fu negli anni ‘80 - grandi campagne internazionali per il disarmo nucleare e la denuclearizzazione, anche attraverso atti concreti di “primo passo” di disarmo unilaterale nel cuore del vecchio continente , a partire dal nostro paese, che ha consentito l’US Air Force a dislocare le famigerate bombe “tattiche” B-61-12 nelle basi di Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone), testate che in caso di conflitto o escalation bellica potranno essere montate a bordo dei cacciabombardieri di quarta e quinta generazione nella disponibilità dell’Aeronautica Militare italiana.
“Vi scriviamo come vincitori del Premio Nobel per la Pace impegnati nell’eliminazione delle armi nucleari.

 In questo momento di estremo pericolo nucleare, vi invitiamo a prendere misure urgenti per la de-escalation delle tensioni e impegnarvi in negoziati significativi per il disarmo nucleare”, si legge nella lettera congiunta delle Organizzazione Premi Nobel per la pace indirizzata a Putin e a Trump.

Un messaggio importante, a firma di tre Premi Nobel per la Pace rappresentanti rispettivamente le Organizzazioni Nihon Hidankyo, ICAN e IPPNW. “Come leader di stati armati nucleari che possiedono il 90% degli arsenali mondiali, i presidenti Putin e Trump hanno l’obbligo speciale di agire con l’urgenza che questo momento di immenso pericolo richiede”, si legge ancora nella missiva.

Ancora una volta, e stavolta direttamente ai leader di Russia e Stati Uniti, viene rammentato il rischio sempre più alto di una escalation nucleare e di un conflitto atomico, oltretutto accentuato dai voluti processi di modernizzazione degli arsenali e dall’abbandono di storici trattati che, pur insufficienti per assicurare un disarmo concreto, erano comunque segno di seppur tiepida intenzione di accordo tra le superpotenze.

“Come hanno dichiarato gli Stati parte del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) al loro recente incontro a New York:

L’architettura di lunga data del disarmo e della non proliferazione viene erosa, gli accordi sul controllo degli armamenti abbandonati e le posizioni militari si sono indurite, indebolendo ulteriormente l’architettura di sicurezza globale esistente. 

Un ambiente di sicurezza internazionale teso e sempre più polarizzato, combinato con una mancanza di fiducia e comunicazione, esacerba i pericoli esistenti dell’uso di armi nucleari’.

 Ricostruire il dialogo, ripristinare la fiducia, impegnarsi nuovamente nel disarmo nucleare”.

 L’invito dei Nobel aggiunge nuovamente l’esperienza degli Hibakusha, testimoni concreti dell’orrore di quanto l’atomica genera. Perché:

 “Sanno, per esperienza diretta, che nessuno dovrebbe mai sopportare la sofferenza che queste armi causano. 

Questo 21 giugno un gruppo di hibakusha arriverà a Reykjavík a bordo della Peace Boat dove visiteranno Höfði House, il sito di uno dei momenti più promettenti nella storia del disarmo nucleare”, annunciava il documento. Ricordando infatti che “il vertice del 1986 tra i presidenti Reagan e Gorbaciov a Reykjavík ha aperto la strada a significative riduzioni di armi” e al quasi totale smantellamento dei missili nucleari.

 “Hanno quasi raggiunto una svolta storica per l’eliminazione di tutte le armi nucleari. 

Quel momento ha dimostrato che la volontà politica può superare divisioni apparentemente insormontabili. 

Ora avete l’opportunità di riconquistare quello spirito e di andare oltre e ottenere ciò che i presidenti Reagan e Gorbaciov non sono riusciti a fare: l’eliminazione totale delle armi nucleari. 

Come premi Nobel per la pace, vi invitiamo a incontrarvi l’un l’altro per raggiungere un accordo sul disarmo nucleare totale”, continua il documento.

Ma, “nessuno dei nove Paesi che possiedono armi nucleari - Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord - sembra attualmente interessato al disarmo nucleare e al controllo degli armamenti.

 Questo è il momento di mostrare al mondo la leadership coraggiosa e visionaria necessaria.

 Le armi nucleari non sono una forza naturale inevitabile che deve essere sopportata. Sono stati costruiti da mani umane e possono essere smantellati da mani umane. 

Tutto ciò che è necessario è la volontà politica. 

È nel vostro potere, come presidenti dei paesi nucleari più potenti del mondo, porre fine alle armi nucleari prima che finiscano noi”,

 afferma infine il documento a firma di Terumi Tanaka, Shigemitsu Tanaka, and Toshiyuki Mimaki, on behalf of Nihon Hidankyo, Nobel Peace Prize 2024, Melissa Parke and Akira Kawasaki, on behalf of ICAN, Nobel Peace Prize 2017, Michael Christ, on behalf of International Physicians for the Prevention of Nuclear War, Nobel Peace Prize 1985.

Scritto in collaborazione con Antonio Mazzeo e Irina Smirnova



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