Pfas, nuovo allarme: rendono fragili le ossa anche in giovane età

 Dal Web


C’è un nesso tra Pfas e osteoporosi, anche in giovane età.

 Uno studio dell’Università di Padova e dell’Ospedale di Vicenza dimostra che gli “inquinanti eterni” danneggiano le cellule dello scheletro e riducono la densità dell’osso. 

Hanno partecipato alla ricerca 1.174 persone, tutte della “zona rossa” del Veneto, la più interessata dalla contaminazione dell’acqua potabile per decenni.

 Il coordinatore della ricerca, il prof Carlo Foresta, osserva: 

«L’esposizione prolungata a queste sostanze può avere ripercussioni sulla salute a lungo termine»


di Elisa Cozzarini

 foto di Mathew Schwartz su Unsplash

I Pfas modificano i livelli di calcio nell’organismo.


 Ecco perché l’esposizione alle sostanze per- e polifluoroalchiliche, ampiamente usate negli oggetti quotidiani, può portare all’osteoporosi, una fragilità tipica dell’invecchiamento, anche in giovane età.

 Lo dimostra uno studio dell’Università di Padova e dell’Ospedale di Vicenza, finanziato dalla Regione Veneto, appena pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Chemosphere

Nella ricerca, coordinata dall’endocrinologo Carlo Foresta, sono stati coinvolti 1.174 adulti: 

655 uomini e 519 donne, di diversa età, provenienti dalla “zona rossa” del Veneto, interessata da decenni dalla contaminazione delle acque potabili a causa degli scarichi dello stabilimento ex Miteni di Trissino (in questi giorni si sta svolgendo davanti al Tribunale di Vicenza l’ultima fase del processo di primo grado per l’accertamento delle responsabilità). 

Spiega Foresta: «Abbiamo dimostrato che l’associazione tra Pfas e osteoporosi, ormai nota a livello internazionale, non è tanto mediata da una riduzione di vitamina D, quanto da un’azione diretta sull’osso con conseguente liberazione di calcio». 

Precedenti studi dell’equipe dell’endocrinologo avevano evidenziato, tra i primi al mondo, una riduzione della densità ossea in giovani della “zona rossa” del Veneto.


Perché avete deciso di studiare proprio le conseguenze dei Pfas per lo scheletro?


Evidenze sperimentali hanno provato l’accumulo di Pfas nel midollo osseo e nel tessuto osseo in campioni autoptici nell’uomo, suggerendo che queste sostanze siano in grado di bioaccumularsi nel tessuto scheletrico già a livello fetale e nell’adulto, con possibili conseguenze sul metabolismo scheletrico nelle successive fasi della vita

Studi tossicologici in modelli animali hanno infatti dimostrato una ridotta ossificazione nei feti di topo esposti a Pfas. 

Inoltre, diversi studi epidemiologici nell’uomo hanno riportato un’associazione inversa tra esposizione e salute scheletrica, anche già in giovani ragazze esposte in fase prenatale.

 Più recentemente questi risultati sono stati confermati in altri studi, sempre su adolescenti o giovani adulti, anche in associazione a un aumentato rischio di carie, indice di interferenza fosfo-calcica. Dati recentemente pubblicati dal nostro gruppo di ricerca avevano evidenziato già cinque anni fa come vi fosse un significativo incremento di alterazioni scheletriche in giovani maschi diciottenni veneti residenti in zone ad alto inquinamento da Pfas. 


I risultati ottenuti devono preoccupare solo le persone interessate dallo studio, o riguardano anche chi non vive in “zona rossa”? Perché?


La stragrande maggioranza degli studi internazionali che ha riportato un effetto negativo dei Pfas sulla salute delle ossa è stato condotto su popolazione generale con livelli molto bassi di queste sostanze, se confrontati con quelli dei residenti nella zona più contaminata del Veneto. 

Questo significa che l’impatto sulla salute non è un problema solo delle popolazioni inquinate, ma di tutti, se esposti anche solo attraverso oggetti di uso quotidiano o alimenti contaminati.


I rischi riguardano persone di ogni età?


Sì, nel nostro studio abbiamo valutato soggetti dai 20 ai 69 anni,  l’effetto osservato era indipendente dall’età. 

D’altronde anche gli studi già citati a livello internazionale riportavano alterazioni scheletriche fin dall’età dell’infanzia.


C’è bisogno di fare ancora ricerca sul tema?


È sempre maggiore il numero di studi epidemiologici a conferma di un effetto negativo di queste sostanze sul metabolismo scheletrico, ma non sono ancora del tutto chiari i meccanismi che possono indurre questa associazione. 

La comprensione dei meccanismi fisiopatologici che inducono un’alterazione del metabolismo osseo è fondamentale per poter individuare strategie di intervento mirate a contrastarne gli effetti.

 Ad esempio, se i nuovi studi confermassero un ruolo diretto dei Pfas nell’osso, sarebbe importante trattare questi soggetti con bifosfonati (farmaci che agiscono sul metabolismo osseo ndr), ma sono necessarie ulteriori ricerche per confermare queste intuizioni sperimentali e terapeutiche. 




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