L’acqua è un diritto umano. La plastica no!
Finalmente lo scorso 23 gennaio, nell’ambito della direttiva Unione europea sull’acqua potabile, la Commissione europea ha adottato le tanto attese nuove norme minime in materia di igiene per i materiali e i prodotti che entrano in contatto con l’acqua potabile.
Le nuove norme si applicheranno a partire dal 2027 ai nuovi impianti e prodotti per l’estrazione, il trattamento, lo stoccaggio o la distribuzione dell’acqua o per lavori di riparazione di tubature, valvole, pompe, contatori dell’acqua, raccordi e rubinetti.
I materiali e i prodotti conformi alle nuove norme dell’Unione riceveranno una dichiarazione di conformità e una marcatura specifica, così da poter essere commerciati in tutta l’Unione europea senza restrizioni nazionali legate a possibili preoccupazioni per la salute pubblica o per l’ ambiente
L’acqua da bere sarà così più sicura, ad esempio impedendo la crescita microbica e riducendo il rischio di lisciviazione di sostanze nocive.
Per il commissario all’Ambiente, Virginijus Sinkevičius “L’acqua potabile pulita è un diritto umano” e “Le nuove norme rigorose in materia di protezione della salute e dell’ambiente che proponiamo oggi garantiranno che i materiali e i prodotti a contatto con l’acqua siano sempre più privi di sostanze tossiche.
La riduzione della contaminazione è un elemento chiave della resilienza idrica e della resilienza dell’intero ecosistema”.
Nonostante la qualità dell’acqua del rubinetto in Italia sia tra le migliori d’Europa, ogni giorno in Italia utilizziamo 30 milioni di bottiglie di plastica e 7 milioni di vetro, con il risultato che in un anno quasi 13,5 miliardi di bottiglie diventano rifiuti da gestire.
Oggi l’impatto ambientale dell’acqua in bottiglia e della sue filiera è fino a 3.500 volte maggiore rispetto a quello dell’acqua del rubinetto, eppure gli italiani sono primi in Europa e secondi al mondo per consumo di acqua in bottiglia, nonostante il 96,3% degli italiani dichiari di adottare “sempre o talvolta” comportamenti sostenibili.
In realtà meno di un terzo (il 29,5%) consuma con regolarità acqua del rubinetto, una tendenza da cambiare al più presto per un approccio più ecologico all’acqua potabile.
Non solo.
Negli ultimi anni è cresciuta la preoccupazione per le microplastiche, ormai presenti praticamente ovunque sulla Terra, dal ghiaccio polare al suolo, all’acqua del rubinetto, all’aria, al cibo e all’acqua in bottiglia, con potenziali effetti sconosciuti sulla salute nostra e quella dell'ecosistema.
Lo studio “Rapid single-particle chemical imaging of nanoplastics by SRS microscopy”, pubblicato a gennaio su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori della Columbia University e della Rutgers University, che si è concentrato sulle nanoplastiche, frutto dell’ulteriore degradazione delle microplastiche, per la prima volta ha contato e identificato queste minuscole particelle anche nell’acqua in bottiglia.
Non sono poche.
I ricercatori hanno scoperto che “In media un litro conteneva circa 240.000 frammenti di plastica rilevabili, da 10 a 100 volte più grandi delle stime precedenti, basate principalmente su dimensioni più grandi”.
Le nanoplastiche sono così piccole che, a differenza delle microplastiche, possono passare attraverso l’intestino e i polmoni direttamente nel flusso sanguigno e viaggiare da lì agli organi tra cui cuore e cervello.
Possono invadere le singole cellule e attraversare la placenta fino ai corpi dei bambini non ancora nati con effetti ancora sconosciuti su un’ampia varietà di sistemi biologici.
Per Beizhan Yan chimico ambientale del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University che ha partecipato alla ricerca, “Prima questa era solo una zona oscura, inesplorata.
Gli studi sulla tossicità cercavano semplicemente di indovinare cosa c’è lì dentro.
Questo studio apre una finestra in cui possiamo guardare in un mondo che prima non ci era stato esposto”.
I ricercatori hanno testato tre famose marche di acqua in bottiglia vendute negli Stati Uniti, analizzando le particelle di plastica fino a soli 100 nanometri di dimensione e hanno individuato “Da 110.000 a 370.000 frammenti di plastica in ogni litro, il 90% dei quali erano nanoplastiche, il resto erano microplastiche”.
Tra queste una delle nanoplastiche più comuni era il polietilene tereftalato o PET, cosa che non sorprende, visto che è di PET che sono fatte molte bottiglie d’acqua, ma nel nuovo studio il PET è stato superato in numero di nanoparticelle dal poliammide, un tipo di nylon che probabilmente deriva dai filtri di plastica utilizzati proprio per “purificare” l’acqua prima che venga imbottigliata.
Altre plastiche comuni trovate dai ricercatori come il polistirene, il polivinilcloruro e il polimetilmetacrilato sono tutte utilizzate in vari processi industriali.
I tipi di plastica cercati dai ricercatori americani rappresentavano però solo il 10% circa di tutte le nanoparticelle trovate nei campioni e gli scienziati non hanno ancora idea di cosa sia e da dove provenga il resto, ma se fossero tutte nanoplastiche, significherebbe che potrebbero essere decine di milioni per litro.
Ora il team prevede di esaminare anche l’acqua del rubinetto, che ha dimostrato di contenere microplastiche, sebbene in quantità molto inferiore a quella in bottiglia.
Oggi le microplastiche sono, di fatto, ovunque, ma è molto difficile quantificare la presenza di questo inquinante generato dalle attività umane e impossibile da rimuovere completamente tanto da diventare un crescente problema ambientale anche nelle acque interne italiane.
Legambiente, partner del progetto europeo LIFE Blue Lakes, la scorsa estate ha trovato micropalstiche nel 98% dei campioni raccolti nei laghi di Bracciano, Trasimeno e Piediluco.
“Principalmente sono stati trovati frammenti di polietilene, che dalle caratterizzazioni chimico-fisiche sono risultati riconducibili alle vecchie buste di plastica, fuorilegge da diversi anni, ma che ancora galleggiano nelle nostre acque”.
Le microplastiche sono state trovate e analizzate anche in tre impianti di potabilizzazione e due di depurazione sui laghi di Garda e Castreccioni, e ne è venuto fuori che “Viene trattenuto dal 30 al 90% di microplastiche, costituite principalmente da frammenti e fibre in poliestere e polipropilene (usato per l’abbigliamento tecnico e sportivo).
Ma se si considera che un solo lavaggio in lavatrice può rilasciare fino a un milione di microfibre, capirne il destino può avere un impatto considerevole sulla qualità delle acque, sull’ambiente e sulla salute”.
Dati preoccupanti, che provengono da due anni di monitoraggi del progetto LIFE Blue Lakes per definire protocolli di campionamento ed analisi delle microplastiche nei laghi e negli impianti di potabilizzazione e di depurazione delle acque reflue, utilizzati anche per elaborare quelle novità normative europee che due mesi fa hanno ridefinito lo stato di salute delle acque non solo interne, ma anche di quelle destinate al consumo umano.
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