L'ipocrisia del "bio". Dalle bottiglie d'acqua alle penne: l'ambiente non sempre ne giova

 Dal Web

Nel 2020 crescita costante per l' industria delle bioplastiche.

In Italia nel 2020 fatturato complessivo di 815 milioni di euro.

Restano i dubbi sull' impatto ambientale.

È lì che ci guarda, placida, dal ripiano del distributore automatico. È una bottiglietta d’acqua in plastica bio (ovvero biodegradabile): il suo packaging è intrigante, di certo più del prezzo, maggiore rispetto a quello di una bottiglia di plastica comune. Se la scegliessimo, daremmo davvero una mano all’ambiente? La risposta non è così scontata. Come ricorda Altroconsumo, i consumatori spesso ignorano che esistono diversi gradi di biodegradabilità e che per essere davvero ecologico un imballaggio non deve essere solo biodegradabile, ma anche compostabile. Nonostante ciò, citare la parola “bio” esercita sempre un certo fascino sulla clientela, a vantaggio del cosiddetto “green business”. Come scrive il Cnr in una relazione al Senato sul tema delle “bioplastiche”, le multinazionali hanno capito da tempo il potenziale del “mercato verde”, come nel caso della Plant Bottle della Coca-Cola: “Presentata in pompa magna all’Expo di Milano 2015 come prima bottiglia in Pet 100% da materia prima rinnovabile, è una bottiglia che non si biodegrada, uguale a quelle che troviamo sparpagliate in natura, con l’unica differenza di provenire dagli scarti della lavorazione della canna da zucchero anziché dal petrolio”. Così se da una parte il consumatore è indotto a comprare (spesso in buona fede) un prodotto dal costo mediamente più elevato, dall’altra l’ambiente non ne trae sempre giovamento.

Dato il problema dell’inquinamento da macro e microplastiche sempre più forte, il mercato del packaging sostenibile e delle plastiche biodegradabili è in espansione: secondo i consulenti di R Reports and Data crescerà in modo esponenziale entro il 2026, con un tasso annuo di crescita composto del 19,9%. Nel 2020, in Italia, in base ai risultati dello studio effettuato da Plastic Consult, società indipendente che svolge studi e analisi di mercato nel settore delle materie plastiche, l’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili è rappresentata da 278 aziende – suddivise in produttori di chimica e intermedi di base (4), produttori e distributori di granuli (21), operatori di prima trasformazione (193), operatori di seconda trasformazione (60), con 2.775 addetti dedicati, oltre 110.000 tonnellate di manufatti compostabili prodotti e un fatturato complessivo di 815 milioni di euro. La crescita del numero di imprese presenti nel settore è risultata costante negli ultimi anni, passando da 143 operatori del 2012 ai 278 del 2020.

Uno dei fronti in cui si produce “bio” è quello delle bottiglie d’acqua. Da alcuni anni sono sul mercato bottiglie in bioplastica compostabile (meglio conosciuto come pla o acido polilattico). Si tratta di un materiale in grado di sostituire il pet ricavato dal petrolio utilizzato in tutto il mondo per le bottiglie di acqua minerale, bibite e altri imballaggi per alimenti. La differenza sostanziale è che le bioplastiche sono ricavate dall’amido estratto dal mais (materiale utilizzato in Italia per i sacchetti dell’ortofrutta e conosciuto come Mater B), oppure da un’alga marina chiamata agar agar, o dalla canna da zucchero. Le bottiglie in bioplastica hanno il vantaggio di poter essere smaltite nel rifiuto umido o organico di casa, perché negli impianti di compostaggio dove la temperatura raggiunge i 60°C, degradano in 90-180 giorni trasformandosi in terriccio e sviluppano biogas da utilizzare per usi civili. In Italia un primo tentativo di sostituire la plastica pet delle bottiglie di acqua minerale è stato fatto più di dieci anni fa dall’azienda piemontese Fonti di Vinadio, con l’acqua Sant’Anna Bio bottle da 1,5 litri. Si tratta di una bottiglia ricavata da materia prima ottenuta dalla fermentazione degli zuccheri delle piante dal mais. La Bio Bottle costa circa 0,45 €/l che è considerato un prezzo elevato rispetto agli 0,15€/l medi dell’acqua in bottiglia di plastica comune.

Ma se la bioplastica ha tanti pregi, perché non decolla? Perché le aziende non l’hanno ancora sostituita alla plastica d’uso comune? Il Fatto Alimentare cita, tra le problematiche, i costi di produzione alti: una bottiglia di acqua minerale da 1,5 litri con il tappo in pet costa da 3 a 6 centesimi di euro, (costo variabile in funzione del peso e del volume), mentre per un contenitore in pla con il tappo compostabile l’importo lievita da 6 a 9 centesimi di euro (ai prezzi attuali). L’altra grossa questione riguarda la filiera della raccolta della plastica, inadeguata a gestire le nuove bottiglie. La bioplastica, così come la plastica d’uso comune, deve essere smaltita correttamente. In assenza di un coordinamento tra produttori e impianti di recupero e riciclo della plastica, la bottiglia di bioplastica finisce irrimediabilmente insieme alle altre, creando seri problemi alle caratteristiche tecniche del polimero di recupero. Inserendo bottiglie in pla nella raccolta della plastica oggi finirebbero tutte nel termovalorizzatore o in un inceneritore.

Biodegradabile, inoltre, non vuol dire compostabile. E questo malinteso è all’origine di molti comportamenti errati da parte del consumatore. Per essere considerato ecologico non basta che un sacchetto sia solo biodegradabile, deve essere anche compostabile. Un materiale è detto compostabile quando in seguito alla sua degradazione, naturale o industriale, produce compost, ovvero la materia organica utilizzabile per la concimazione in agricoltura. I materiali compostabili non contengono sostanze tossiche fin dalla loro produzione e si disintegrano totalmente in un impianto di compostaggio entro 12 settimane. Si raccolgono con l’umido. I materiali biodegradabili sono quelli che una volta decomposti per azione di microrganismi, portano alla formazione di sostanze naturali, come acqua o anidride carbonica. Non è detto che siano compostabili. Non vanno nell’umido.

Difficile destreggiarsi in questo mondo. Anche perché i prodotti che utilizzano lo slogan “bio” continuano a spuntare anche nei campi meno pensabili. Basti pensare che F.I.L.A. - Fabbrica Italiana Lapis ed Affini per il back to school ha lanciato la prima penna a sfera green. Si tratta di Tratto 1Uno Green Plastic, con corpo e cappuccio realizzati sia con plastica riciclata sia con plastica da riutilizzo industriale – ovvero da recupero di rifiuti derivanti da scarti industriali pre-consumo e da residui, sfridi e scarti industriali plastici riutilizzati, senza ulteriori trattamenti. In questa direzione anche la conversione di tutte le bottiglie di plastica utilizzate per contenere le tempere Giotto oggi sostituite da quelle realizzate in bio-pet da fonte vegetale.

Il briefing dell’AEA (Agenzia europea dell’ambiente) “Plastica biodegradabile e compostabile: sfide e opportunità ” fornisce una panoramica delle materie plastiche che spesso sono etichettate in modo confuso come compostabili, biodegradabili, oxo-degradabili e / o bio-based e del significato dei termini. Come sottolinea Milena Gabanelli in un articolo del Corriere della Sera, la maggior parte della plastica che usiamo oggi continua a essere prodotta da combustibili fossili in un processo che contribuisce ad aumentare le emissioni di gas serra dalla loro produzione, dal loro utilizzo fino al loro smaltimento. Anche i tassi di riciclaggio rimangono bassi e la plastica continua a rappresentare una minaccia per il nostro ambiente. Le materie plastiche, compresi i loro additivi chimici, possono rimanere in natura per molti anni e potenzialmente entrare nella catena alimentare. Sulla scia della crescente domanda da parte del pubblico, numerosi produttori hanno introdotto materie plastiche considerate a base biologica, compostabili o biodegradabili. Tuttavia, la quota di mercato per questi tipi di plastica è solo dell′1% circa.

Si suppone che le plastiche biodegradabili e compostabili riducano il problema dell’inquinamento posto dalla plastica, tuttavia, devono ancora essere smaltite correttamente, un punto importante spesso non ben compreso dai consumatori, afferma il briefing dell’AEA. Ad esempio, i materiali biodegradabili e compostabili possono essere scomposti da microrganismi in acqua, anidride carbonica, sali minerali e nuova biomassa entro un periodo di tempo definito. Tuttavia, molti consumatori potrebbero non sapere che le condizioni nelle compostiere domestiche e nell’ambiente aperto sono molto diverse rispetto agli impianti di compostaggio industriale. Ciò influisce sulla velocità e sull’entità del guasto. Se un oggetto in plastica biodegradabile o compostabile si biodegrada e la velocità con cui ciò accade, dipende fortemente dalle condizioni a cui è esposto durante lo smaltimento.

Secondo il rapporto rifiuti di Ispra, ogni anno ciascuno di noi produce circa 500 kg di rifiuti, metà dei quali sono imballaggi e di questi la maggior parte è costituita da plastica. La plastica può essere smaltita con una raccolta differenziata corretta, è vero, ma deve essere comunque trattata prima del riciclo, anche quella biodegradabile. Quando viene smaltita nel modo giusto, la plastica può essere riutilizzata per produrre plastica di minor qualità (è il caso della scocca dei motorini o degli aspirapolvere) o di tessuti (come imbottiture per piumini, pile o coperte). Se finisce negli inceneritori e se non viene bruciata correttamente, la plastica può liberare nell’aria gas dannosi. La soluzione deve essere quella, non solo di riciclare, ma di ridurre drasticamente gli imballaggi.







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