Ricerca sul carbone, così l’UE continua a sostenere la lobby fossile

Dal Web
Documenti interni della Commissione europea mostrano come un fondo comunitario per la ricerca stia oggi pagando i dipendenti della lobby del carbone

Riflettori puntati sull’RFCS, lo strumento finanziario nato sostenere la ricerca sul carbone

(Rinnovabili.it) – Un fondo della Commissione europea, fino a ieri quasi sconosciuto, investe ogni anno circa 40 milioni di euro nella ricerca sul carbone, sostenendo finanziariamente ben 150 progetti nel campo. A rivelarlo è oggi  l’European Environmental Bureau (EBB), la rete di oltre 143 organizzazioni di cittadini ambientalisti, ma per fare chiarezza sulla vicenda è necessario fare un breve passo indietro.
A gennaio di quest’anno infatti il team di giornalisti investigativi di Greenpeace Unearthed ha portato per la prima volta sotto i riflettori mediatici, il “Research Fund for Coal and Steel” (RFCS): un fondo europeo creato per sostenere la ricerca sul carbone e acciaio al fine di migliorare la sicurezza, l’efficienza, l’impatto ambientale e il vantaggio competitivo delle relative industrie. In seguito all’indagine di Unearthed, la commissione Europea ha pubblicato una serie di documenti (testo in inglese) che dettagliano l’utilizzo dei fondi. E accanto ai costi per workshop o riunioni appaiono anche le spese la retribuzione del personale. Ad esempio, nel progetto “CoalTech2051”, circa 50.000 euro sono destinati all’assunzione di un dipendente per sette mesi.
Si tratta, in questo caso, di un progetto biennale, iniziato a luglio 2018, che non comporta, in realtà, alcuna nuova ricerca. Mira, invece, a creare “una rete europea di tecnici del carbone pulito che possano consigliare e influenzare la direzione futura della ricerca” in questo campo.
La cosa interessante è che il progetto è sostenuto da Euracoal, l’organizzazione di lobby a livello europeo per l’industria del carbone, la stessa che ha portato Bruxelles in tribunale per i nuovi limiti emissivi alle centrali termoelettriche. “Ciò significa che la Commissione europea utilizzerà questo fondo per finanziare i dipendenti della lobby del carbone”, spiega  Anton Lazarus, Communications Manager di European Environmental Bureau. 
Ma un altro elemento rende il fondo discutibile: nonostante le risorse siano gestite dall’esecutivo UE, quest’ultimo consulta il “Coal Advisory Group” (CAG) per stabilire le priorità del fondo e ottenere approvazione dell’elenco di progetti proposti.
Ciò solleva la questione sulla provenienza del denaro. L’RFCS è un retaggio dell’ex-Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) ed era stato realizzato allora con i soldi della stessa industria. Quando la CECA è stata sciolta, nel 2002, le attività rimanenti – 1,6 miliardi di euro – sono state utilizzate per continuare ad alimentare il Fondo. Gli Stati membri hanno quindi trasferito alla Commissione la gestione del denaro, che è stato poi investito in “titoli di Stato molto sicuri”. Ad oggi, RFCS si nutre esclusivamente degli interessi maturati e non di denaro pubblico, ma l’appoggio della Commissione europea preoccupa. “Sappiamo quanto sia incompatibile il carbone con la protezione del clima – ha aggiunto Christian Schaible, responsabile delle politiche presso l’EEB – Il clean coal è un mito, il carbone è un combustibile intrinsecamente sporco e l’UE non ha bisogno di avere – per non parlare dei fondi – un nuovo club di lobby per uno dei carburanti più inquinanti del mondo”.


Commenti