CoScienze critiche

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Viviamo un tempo in cui la scienza sottomessa agli interessi dei potenti, che è meglio chiamare tecnoscienza, avanza con passi da gigante. Tutte le sue invenzioni nascono e servono ad aumentare i profitti delle grandi imprese, a devastare la natura, ad accrescere lo sfruttamento di quelli che stanno sotto e a controllarci tutti con metodi sempre più sofisticati e con forme sempre nuove di pseudo-comunicazione capaci di farci accettare tutto passivamente e in nome del “progresso”. Il predominio delle “soluzioni” tecnologiche alla crisi è radicato in una concezione frammentaria e gerarchica di una scienza che disprezza la complessità, la precauzione e tutti i saperi che non siano quelli dominanti. Così, si alimenta l’illusione che la crisi climatica e quella alimentare, le malattie e i problemi di “sicurezza” si possano risolvere solo nei laboratori e con più tecnologia. Il grande incontro promosso in questi giorni dagli zapatisti in Chiapas ricorda invece che l’origine della parola coscienza significa conoscenza condivisa. Non un particolare tipo o una forma di conoscenza che prevale sulle altre, bensì una conoscenza messa in comune che deriva dall’osservazione, dalla sperimentazione e dalla comprensione collettiva
Foto www.research.bayer.com 

di Silvia Ribeiro
A San Cristóbal de Las Casas, Chiapas si sta svolgendo l’incontro intitolato “Le/gli Zapatiste/i e le CoScienze per l’Umanità”, una nuova sfida alle leggi di gravità, una di quelle che caratterizzano le comunità zapatiste. Sebbene conoscano molto bene la gravità, nell’appello per la convocazione dell’ incontro, dove ci chiamano a costruire “Una casa, altri mondi”, i promotori ci ricordano che “il mostro ci spia da tutti gli angoli, dai campi e dalle strade” e, malgrado ciò – o meglio, proprio per questo -, ci invitano a questa costruzione-decostruzione, un altro modo ancora per condividere le resistenze.
E’ una sfida terribilmente opportuna, che avviene mentre la “tecno-scienza”, la scienza sottomessa agli interessi dei potenti, avanza con passi da gigante. Tutte le sue invenzioni riguardano i mezzi per aumentare i profitti delle grandi imprese, per rendere ancora più profonda la devastazione della natura e lo sfruttamento dei/delle los/las de abajo e, naturalmente, per controllarci tutti. Per controllarci con metodi sempre più sofisticati di sorveglianza, di controllo e repressione, e perfino con nuove forme di pseudo-comunicazione capaci di farci accettare tutto questo passivamente e addirittura di pensare che questo sia “progresso”.
Nella sua origine, la parola coscienza significa appunto “conoscenza condivisa”. Non un particolare tipo o una forma di conoscenza che prevale sulle altre, bensì una conoscenza condivisa, derivante dall’osservazione, dalla sperimentazione e dalla comprensione collettiva.
In quanto forma di approccio aperto che deriva dalla curiosità, dalla necessità, dalla riflessione, dalla sperimentazione e dall’accumulazione collettiva (e dal libero flusso di conoscenza che serve al bene comune, che cerca la revisione critica della società), la scienza è minacciata dal sistema dominante quanto le diverse forme di conoscenza e i saperi dei popoli che non si adattano alla definizione di “scienza” che serve al capitale.
Per questo, molti di coloro che vengono chiamati scienziati critici, scienziati impegnati con la società, scienziati cittadini, affermano che no, che quella non è scienza bensì tecno-scienza: processi chiusi per creare tecnologie che servano alle imprese o alle istituzioni che li finanziano. Si tratta di processi che accettano e promuovono la brevettazione e altre forme di proprietà intellettuale della conoscenza e dell’informazione – comprese quella genetica e quella digitale -, che sono sempre forme di privatizzazione della conoscenza collettiva, sebbene qualcuno rivendichi che si tratta del “suo” lavoro o della “sua” ricerca. Qualsiasi invenzione, infatti, non è altro che un piccolo pezzo di una lunga accumulazione collettiva di conoscenza ed esperienza, per questo privatizzarla in un qualche modo è sempre un furto.
Nel suo atto costitutivo, la Unión de Científicos Comprometidos con la Sociedad y la Naturaleza en América Latina (UCCSNAL) [Unione degli Scienziati Impegnati per la Società e per la Natura], dichiara: “In tutti gli ambiti delle attività umane, viviamo una crisi di civiltà globale senza precedenti alla quale ci hanno condotto il capitalismo e i modelli simili ad esso che dividono l’uomo dalla natura. Le loro principali manifestazioni sono un’iniquità socio-economica che non smette di approfondirsi, il crescente esercizio del potere mediante la violenza, l’asservimento della diversità biologica e culturale e un’infinità di squilibri ambientali. In América Latina, l’espansione dell’estrattivismo e dell’agrobusiness hanno nutrito questa crisi sottomettendo i nostri territori e i loro abitanti a un’ incessante spoliazione ed estinzione.
Alle soluzioni scientifico-tecnologiche il discorso dominante assegna un ruolo sempre più preponderante nella risoluzione della crisi, allontanando così la discussione etico-politica di fondo.
La generazione e l’uso della conoscenza scientifico-tecnologica sono sempre più impegnate nel dar risposta alle richieste delle multinazionali che danno impulso al modello che ci ha portati a questa crisi e sempre meno al servizio dei popoli. La crescente tendenza verso la privatizzazione della conoscenza, a discapito del suo utilizzo pubblico, va di pari passo con una scienza sempre più funzionale agli interessi del corporativismo capitalista (o del grande capitale). Una tendenza che si riflette nello stimolo alla brevettazione della conoscenza a livello accademico e nella crescente tendenza alla privatizzazione di enti pubblici di ricerca e di istruzione superiore”.
Non si tratta, però, solamente del pubblico e del privato. Il predominio e l’avanzamento delle “soluzioni” tecnologiche alla crisi che viviamo, è radicato in una concezione frammentaria, gerarchica e verticale della scienza (automaticamente tradotta come progresso) che disprezza la complessità, la precauzione, lo sguardo olistico e inclusivo e qualsiasi altra forma di conoscenze e saperi che non siano quelli dominanti.
Questa tecno-scienza che riduce la realtà, elimina dal suo campo di analisi le conseguenze negative che produce – impatti ambientali, conseguenze sulla salute, disoccupazione, delocalizzazione, distruzione culturale – se non sono immediatamente visibili. E anche quando lo sono, si cerca di occultarle attraverso un dispositivo della propaganda che stabilisce che i benefici sono sempre certi mentre gli impatti sono sempre discutibili.
Queste proposte tecno-scientifiche sono una parte centrale del sistema capitalista, e non solamente per quelli che se ne sono appropriati, ma anche per la loro stessa forma e per le caratteristiche. Servono ai padroni del potere perché così non si devono verificare le cause della crisi, così non è necessario cambiare nulla, presumibilmente ci sarà sempre in futuro una soluzione tecnologica per uscire dal problema, che rappresenta per di più una nuova fonte di affari.
Con questa mentalità, la crisi climatica si risolve con più tecnologia, compresa la geo-ingegneria (la manipolazione tecnologica del clima globale per raffreddarlo o per rimuovere l’eccesso di CO2), la crisi alimentare si risolve con gli Ogm, le malattie con l’alta tecnologia, la scarsità di risorse con la nanotecnologia, la “sicurezza” con sistemi di sorveglianza sempre più sofisticati che vengono sviluppati in ambiti militari, ma il cui utilizzo più diffuso è contro la popolazione in generale.
Per tutte queste ragioni non è necessario cambiare nulla delle strutture attuali. Si alimenta la falsa illusione secondo la quale il sistema industriale di produzione e consumo è percorribile adesso e in futuro, anche se ne trae beneficio solamente una minima percentuale della popolazione mondiale, mentre distrugge la natura e le basi di sussistenza della maggioranza.
Malgrado ciò, questa matrice tecno-scientifica è quanto i governi, compresi quelli progressisti, considerano progresso.
[Una matrice] Che nega anche l’enorme e complessa diversità degli altri saperi e delle conoscenze contadine, indigene, e delle comunità urbane e rurali, le vere soluzioni alla crisi che viviamo.
Per tutto questo è imprescindibile mettere profondamente in discussione, non solamente la proprietà o le singole caratteristiche delle tecnologie, bensì la matrice tecno-scientifica dominante in quanto tale, oltre ai suoi impatti su tutte e su tutti, sulla natura e sulle generazioni presenti e future.

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