Cibo sprecato: impatto devastante sull'ambiente

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Il 30% del cibo prodotto viene sprecato e se le emissioni di gas serra derivanti dallo spreco di cibo fossero assimilabili a quelle di un paese, si tratterebbe del terzo emettitore al mondo come entità, dopo USA e Cina.


L'impatto sull'ambiente dello spreco alimentare è pesantissimo, più di quanto forse tanti immaginano. A fare conti e stime è il rapporto della FAO.
Dal rapporto FAO Global food losses and waste. Extent, causes and prevention emerge che va sprecato il 30% del cibo prodotto.
Lo spreco proviene da tutte le fasi della filiera:
produzione agricola primaria (inclusi gli allevamenti di animali),
trasporto e stoccaggio dei prodotti primari,
lavorazione degli stessi,
distribuzione del prodotto finito alle rivendite e da queste ai consumatori,
consumo,
rifiuto dei residui.
Nella stima FAO non sono considerate altre fonti di cibo tranne quelle terrestri, evidentemente tralasciando la parte marina.
Circa 1 miliardo di abitanti del pianeta è sotto-alimentato e il quantitativo di cibo sprecato ne potrebbe alimentare circa 2 miliardi, quindi occorre veramente agire su questo fronte.
Poi c'è l'impatto ambientale dovuto allo spreco di tonnellate di cibo, di cui il rapporto FAO Food Wastage Footprint Impacts on natural resources calcola la “carbon footprint”.
In termini di emissioni di anidride carbonica equivalente dovute alla produzione di cibo non consumato, se fossero assimilabili alle emissioni di un paese, si tratterebbe del terzo emettitore al mondo come entità, dopo USA e Cina. 
A questo impatto sul clima si aggiunge il fatto che il 30% della terra coltivabile è appunto dedicata al cibo non consumato (che è il 30% di quello prodotto), ma soprattutto che l'acqua sprecata è pari a 21% dell'utilizzo globale di acqua.
Il rapporto sottolinea come per prevenire gli sprechi sia necessario cambiare atteggiamenti e tecnologie lungo l'intera catena di produzione/distribuzione/consumo, con un diverso approccio locale. Infatti nei paesi in via di sviluppo il 41% degli sprechi avviene nelle fasi subito successive alla coltivazione e raccolta dei prodotti primari e anche durante le fasi di lavorazione; nei paesi sviluppati più del 40% degli sprechi avviene a livello di distribuzione e di consumo.
Queste differenze sono dovute sia alle abitudini delle popolazioni e al livello di industrializzazione che alla tipologia di alimento prodotto e consumato. I maggiori sprechi si hanno per la produzione di cereali (25%), verdura (24%) e tuberi amidacei (18%, simili alla frutta, 16%) e i maggiori impatti ambientali sono dovuti a cereali (34%), carne (21%) e verdura (21%).
 Le emissioni di gas serra dell'agricoltura sono principalmente dovute all'impiego di fertilizzanti azotati, che rilasciano anidride carbonica e protossido di azoto, e quindi le emissioni di anidride carbonica equivalente di cereali e verdura sono proporzionali alle quantità di vegetali sprecate (per i cereali il coefficiente di proporzionalità è maggiore che per le verdure, in quanto alcuni cereali, tra cui il riso, possono emettere metano dai residui dei raccolti lasciati sul campo).
Le emissioni di gas serra dovute all’allevamento di bestiame provengono sia dai fertilizzanti, utilizzati per la produzione dei mangimi, sia dalla gestione degli animali. Tuttavia c'è una distinzione tra animali monogastrici e ruminanti: questi ultimi, oltre alle emissioni dei mangimi, rilasciano ingenti quantità di metano prodotto dalla fermentazione enterica. Per questo, ad uno spreco di carne corrispondente al solo 4% del totale di sprechi, è dovuto il 21% del contributo di emissioni di anidride carbonica equivalente.
La lotta allo spreco di cibo e alla malnutrizione richiede anche una modifica delle abitudini alimentari; occorre passare a una dieta più sostenibile e più largamente accessibile (rapporto JRC 2015 Global Food Security 2030 – Assessing trends with a view to guiding future EU policies).
Fonte: Silvia Maltagliati per Arpat Toscana

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