Il tempo del petrolio deve scadere
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di Monica Pepe
Per una volta, Sì. Per una volta andremo a votare con convinzione e senza alcuno scetticismo, sapendo che il voto serve a decidere una vicenda semplice, concreta, importante quanto chiara. Il tempo concesso alle compagnie petrolifere per distruggere e avvelenare le coste, il mare, l’aria dei litorali italiani non può essere eterno. Sembra un’affermazione perfino banale, no? E invece non lo è, affatto. In primo luogo perché il senso politico contenuto nel voto del 17 aprile va ben al di là del quesito referendario in senso stretto. Investe la difesa della terra, dell’acqua e dei beni comuni contro l’eterna avidità dei padroni del petrolio. E poi perché se quel voto non avesse una portata essenziale per una democrazia senza aggettivi, per una partecipazione sana e per la lotta al saccheggio del pianeta, non avremmo votato in aprile. Monica Pepe ce lo ricorda: l’Italia spende in finanziamenti pubblici agli inquinatori 42 volte il denaro che destina alle politiche climatiche. No, senza uno di quegli inviti che non fa affatto bene rifiutare, gli amici delle trivelle che siedono nelle istituzioni italiane non avrebbero buttato dalla finestra 360 milioni di euro per provare a convincere la gente a starsene a casa. Memori dell’invito rivolto da un governo che adorava il business e nutriva un’acuta forma allergica per la democrazia non meno di quello attuale, il 17 aprile noi andremo al mare. A guardare un tramonto senza trivelle e dopo aver votato Sì
I cittadini e le cittadine italiani saranno presto chiamati a votare su una questione molto importante, l’abolizione delle trivelle all’interno delle dodici miglia dalla costa di tutti i mari italiani: Adriatico, Jonio, Tirreno.
Al Referendum del 17 aprile si voterà SI per impedire che le compagnie petrolifere possano sfruttare i giacimenti di cui dispongono senza limiti di tempo, questione che peraltro attiene al semplice buonsenso prima di incorrere nelle trappole della concorrenza e nelle direttive europee.
Questa battaglia è nata grazie ai Comitati No Triv (www.notriv.com), una bella pagina del nostro paese, di quelle che ti fanno ricordare che a fronte di tanti scempi e rassegnazione, i beni comuni in Italia sono una cosa seria non solo perché abbiamo un paese di rara bellezza ma perché abbiamo un movimento ambientalista fatto di persone competenti e appassionate.
Per la prima volta nella storia del nostro paese dieci Regioni raccolgono la voce dei territori che rappresentano e la spinta dei movimenti che li abitano. Questo ne fa un Referendum particolare, un inedito esercizio diretto della democrazia che potrà avvalersi di una pluralità di modi di agire la politica – di solito contrapposti – combattere una leale competizione per raggiungere lo stesso obiettivo.
Non è stata altrettanto democratica la prova del Governo.
Renzi avrebbe potuto accorpare la consultazione alle elezioni amministrative di giugno con una semplice norma. Anticipare il referendum alla prima domenica utile per scongiurare che si raggiunga il quorum, costerà 360 milioni di euro di denaro pubblico, per ironia della sorte tanto quanto lo stato incassa dalle royalties delle trivellazioni in un anno, tra le più basse al mondo.
Tanto ci costa la paura di Renzi di perdere questo referendum. Il premier sa chesarà solo l’inizio di una serie di consultazioni che giudicheranno il suo operato nel merito delle cose (Costituzione, Scuola, Lavoro, Legge elettorale) e non le performance televisive che siamo obbligati a tracannare ogni giorno.
Allora prendiamo in prestito le parole di Renzi alla Conferenza del Clima di Parigi: “Agire ora” e mettiamole accanto ai dati del Coordinamento Free (Fonti Rinnovabili ed Efficienza energetica). Il 2015 è stato un anno in cui i posti di lavoro nel settore sono diminuiti da 37mila unità del 2102 a 26mila.
L’Italia, secondo un’analisi di Oil change presentata in concomitanza con la Cop21,spende in finanziamenti pubblici agli inquinatori 42 volte il denaro che destina alle politiche climatiche. Ma allora cosa ci vengono a raccontare?
Perchè Renzi non dice concretamente quale futuro vuole dare all’Italia e ai suoi impegni contro il cambiamento climatico? Perchè invece di parlare di referendum della “disoccupazione” non dice qual è il suo piano nazionale sulle rinnovabili, dal momento che da sedici mesi l’eccesso di produzione petrolifera al mondo viene calcolato in 9-12 milioni di barili al giorno?
Questo Referendum sarà il primo passo per garantire al nostro paese una strategia energetica nazionale basata su energie rinnovabili ed efficienza energetica, e ha la possibilità di renderci protagonisti di una svolta epocale nella produzione di energia pulita.
L’eventuale esito positivo non farà perdere neanche un posto di lavoro, verranno solo riportate a scadenza contrattuale precedente le concessioni già rilasciate, mentre oggi le compagnie possono estrarre senza limiti di tempo.
Turismo, pesca, agricoltura sono invece settori che perderebbero migliaia di posti di lavoro, come ogni altra economia locale.
La sfida è portare 26 milioni di italiani a essere protagonisti di una grande battaglia democratica che intende pensare alle generazioni future, a partire dal recupero del dominio dell’uomo sulla conoscenza della natura e non dell’esaurimento delle sue risorse.
Questione affatto separata da un modello di convivenza civile che non può prescindere dal rispetto della casa comune, il cui valore intrinseco si traduce in produzione materiale e sociale se non viene indicato come sovrapponibile o intercambiabile al cento per cento con interessi economici o di natura predatoria.
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