Il “tour promozionale” della Cavour: la Difesa impiega la portaerei per vendere armi ai regimi più autoritari del mondo
http://www.disarmo.org/rete/a/39369.html
Rete Italiana per i Disarmo scrive al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per chiedere se sia stato messo al corrente dell’iniziativa che prevede l’impiego di mezzi e personale delle Forze Armate a supporto di attività commerciali dell’industria militare e del settore privato. E invita il Parlamento ad esaminare con attenzione l’iniziativa promossa dal Ministero della Difesa per le rilevanti implicazioni sulla politica di difesa del nostro Paese.
Fonte: Rete Italiana per il Disarmo - 13 novembre 2013
La Rete Italiana per i Disarmo reputa “spregiudicata e inaccettabile” l’iniziativa annunciata martedì scorso dal Ministro della Difesa, Mario Mauro, insieme ai vertici del Ministero della Difesa di impegnare per i prossimi cinque mesi il Gruppo Navale Cavour in una campagna promozionale dell’industria bellica italiana insieme ad altre attività commerciali, di tipo militare ed umanitarie[1].
«Sotto lo slogan del recupero di competitività – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – l’iniziativa promossa dal Ministero della Difesa in collaborazione con altri ministeri mescola una serie di attività che per loro natura hanno finalità e caratteristiche differenti e che è importante continuare a tenere separate.Promuovere la vendita di sistemi militari o sostenere iniziative di tipo commerciale abbinandole ad operazioni umanitarie non è infatti un compito che il nostro ordinamento attribuisce al Ministero della Difesa o alle Forze Amate».
Rete Italiana per i Disarmo invierà oggi una lettera aperta al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – che secondo la Costituzione “ha il comando delle Forze armate” (Art. 87) – per chiedere se sia stato messo al corrente ed abbia dato il suo esplicito assenso all’iniziativa che prevede l’impiego di mezzi e personale delle Forze Armate a supporto di attività commercialidell’industria militare e del settore privato. Rete Disarmo invita inoltre il Parlamento ad esaminare con attenzione questa iniziativa soprattutto per le rilevanti implicazioni sulla politica di sicurezza e di difesa del nostro Paese.
«Pensare di rilanciare l’economia nazionale – nota Carlo Tombola, coordinatore scientifico dell’Osservatorio sulle Armi Leggere (OPAL) di Brescia – favorendo la vendita di sistemi d’armamento e usando mezzi militari per una fiera galleggiante del ‘made in Italy’ è un’operazione spregiudicata e preoccupante. Da un lato, infatti, si fa leva sulla necessità della ripresa economica per favorire non tanto la piccola-media impresa bensì quelle aziende del settore militare in cui lo Stato ha il controllo di maggioranza e beneficia di ritorni diretti. Dall’altro, si promuovono le attività di un settore come quello dell’esportazione di armamenti che lo Stato, ai sensi della legislazione vigente, dovrebbe rigorosamente regolamentare invece che incoraggiare. In questo modo, come documentiamo da tempo, si utilizzano le esportazioni di armi per il rilancio dell’economia reale mentre se ne minimizzano le conseguenze, come se vendere armi fosse un’iniziativa equiparabile ad altre attività commerciali».
Particolarmente preoccupante, segnala la Rete Disarmo, è lo stato di tensione dell’intera zona mediorientale in cui il gruppo navale Cavour farà tappa e soprattutto il grave deficit di libertà democratiche a fronte di ingenti spese militari e di un livello basso di sviluppo umano di diversi dei paesi che saranno visitati. Ben 12 su 18 degli Stati ai cui governi si intende presentare il campionario di armamenti italiani sono definiti dall’Indice di democrazia dell’Economistcome “Regimi autoritari” (Gibuti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar, Oman, Madagascar, Angola, Congo, Nigeria e Algeria), una buona parte di essi presenta livelli di spese militari tra i più alti al mondo(Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Oman, Angola, Marocco e Algeria) mentre in 8 su 18 paesi il livello di sviluppo umano è tra i più bassi del mondo. (Si veda Tabella 1). L'Africa è ancora una delle zone più calde del mondo. Ad esempio nella R.D. del Congo (in cui la Cavour non farà tappa) è in corso una sanguinosa guerra dimenticata da tutti con molti morti oltre a migrazioni bibliche di profughi, stupro sistematico come arma di guerra, bambini assoldati nelle milizie per uccidere e morire oppure costretti a lavorare a mani nude nelle miniere di coltan. “Orrori senza fine, che a stento trovano la via dei media internazionali ma vengono avvicinati dalla rotta del tour promozionale della Cavour e della sua Squadra Navale” sottolinea Pasquale Pugliese segretario del Movimento Nonviolento.
«E non va dimenticato – sottolinea Giorgio Beretta, analista di Rete Disarmo – che i ministeri della Difesa a cui la Cavour esibirà il campionario bellico delle ditte di Finmeccanica[2] sono stati destinatari nell’ultimo quinquennio di quasi 5 miliardi di euro di armamenti cioè di circa il 30% di tutte le esportazioni italiane di sistemi militari. Per non parlare delle “armi comuni” esportate a questi paesi dalle aziende bresciane che superano gli 11 milioni di euro annui. E’ tempo che il Parlamento prenda in esame le Relazioni governative sulle esportazioni di armamenti: non lo sta facendo da oltre cinque anni quasi che il controllo sull’attività dell’esecutivo in questa materia sia facoltativo o insignificante per la nostra stessa sicurezza».
L’operazione, che prevede la partecipazione di organismi umanitari come Croce Rossa Italiana, Operazione Smile e Fondazione Francesca Rava, ha anche delle ripercussioni sulla funzione delle organizzazioni non governative e sui loro rapporti con le Forze Armate.
L’aiuto umanitario ricorda Rete Disarmo è regolamentato dal Codice di Condotta per il Movimento Internazionale della Croce Rossa e per le ONG, che stabilisce che l'aiuto non può essere utilizzato come strumento di politica estera dei governi. Con ciò si intende, quindi, che non può nemmeno essere impiegato per compiti promozionali del “made in Italy” e men che meno dell'industria armiera. «La continua erosione – evidenzia Martina Pignatti, presidente di “Un ponte per…” – dello spazio umanitario da parte di attori militari e commerciali mette in discussione non solo l’indipendenza, la neutralità e l’imparzialità delle organizzazioni autenticamente umanitarie, ma la stessa possibilità che gli operatori umanitari continuino ad intervenire efficacemente e in relativa sicurezza nei contesti di crisi».
Secondo le informazioni diffuse dalla Marina Militare la gran parte dei costi relativi alla missione (tranne stipendi ed indennità di navigazione) saranno sostenuti dagli “sponsor” che utilizzeranno la portaerei Cavour come piattaforma economica e commerciale, pervertendone il compito statutario. Si tratta di 20 milioni di euro (7 pagati dalla Marina e i restanti 10 milioni per i carburanti e 3 milioni per le attività di supporto nei porti toccati dagli sponsor) che solo in parte non saranno a carico della collettività perché molte delle aziende che finanzieranno la missione appartengono alla holding pubblica Finmeccanica.
«Fin dalla sua progettazione – aggiunge don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia – abbiamo posto all’attenzione pubblica la domanda sulla necessità di dotare la Marina Militare di una nave portaerei come il Cavour. Pur riconoscendo il suo potenziale impiego duale, cioè come portaerei e come “nave ospedale”, crediamo che ci si debba interrogare, oltre che sugli elevati costi di mantenimento, soprattutto sull'esigenza di una nave portaerei per una Repubblica come l'Italia che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Non è nemmeno accettabile un’altra delle giustificazioni fornite dal Capo di Stato Maggiore della Marina Ammiraglio De Giorgi a riguardo di questa missione: il contrasto alla pirateria internazionale. Da una parte perché, analizzando la rotta della Squadra Navale, la permanenza nei mari segnalati a rischio pirateria dagli stessi decreti della Difesa è ridotta a pochi giorni (molto meno del tempo dedicato alla promozione del made in Italy armato nel Golfo Persico). Dall’altro perché è stata la stessa Marina Militare a dichiarare nei giorni scorsi come nel 2013 ci siano stati solo quattro attacchi, tutti con esito negativo rispetto ai 34 messi a segno lo scorso anno da gennaio a novembre: un calo del 90% negli episodi di pirateria.
Con questa operazione della Cavour – ricorda Rete Disarmo – prende consistenza unaprofonda trasformazione che è avvenuta durante le scorse legislature: la competenza in materia di autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari è infatti stata attribuita all’Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (UAMA) collocata presso la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese (DGSP) del Ministero degli Esteri che annovera tra i suoi compiti il “sostegno all’internazionalizzazione dell’industria dello spazio e della difesa”, quasi che satelliti meteorologici e sistemi militari siano prodotti equiparabili.
«Crediamo che si debba porre estrema attenzione – conclude Francesco Vignarca,coordinatore di Rete Disarmo – al problema evidenziato anche da un recente documento del Comitato economico e sociale europeo[3]: la crisi economica infatti sta trasformando alcuni ministeri della Difesa in espliciti promotori delle esportazioni di armamenti. Una tendenza che, per sostenere la competitività delle industrie militari dei rispettivi paesi, rischia di mettere a repentaglio gli sforzi in ambito comunitario per definire una politica organica di sicurezza e di difesa comune».
«Sotto lo slogan del recupero di competitività – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – l’iniziativa promossa dal Ministero della Difesa in collaborazione con altri ministeri mescola una serie di attività che per loro natura hanno finalità e caratteristiche differenti e che è importante continuare a tenere separate.Promuovere la vendita di sistemi militari o sostenere iniziative di tipo commerciale abbinandole ad operazioni umanitarie non è infatti un compito che il nostro ordinamento attribuisce al Ministero della Difesa o alle Forze Amate».
Rete Italiana per i Disarmo invierà oggi una lettera aperta al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – che secondo la Costituzione “ha il comando delle Forze armate” (Art. 87) – per chiedere se sia stato messo al corrente ed abbia dato il suo esplicito assenso all’iniziativa che prevede l’impiego di mezzi e personale delle Forze Armate a supporto di attività commercialidell’industria militare e del settore privato. Rete Disarmo invita inoltre il Parlamento ad esaminare con attenzione questa iniziativa soprattutto per le rilevanti implicazioni sulla politica di sicurezza e di difesa del nostro Paese.
«Pensare di rilanciare l’economia nazionale – nota Carlo Tombola, coordinatore scientifico dell’Osservatorio sulle Armi Leggere (OPAL) di Brescia – favorendo la vendita di sistemi d’armamento e usando mezzi militari per una fiera galleggiante del ‘made in Italy’ è un’operazione spregiudicata e preoccupante. Da un lato, infatti, si fa leva sulla necessità della ripresa economica per favorire non tanto la piccola-media impresa bensì quelle aziende del settore militare in cui lo Stato ha il controllo di maggioranza e beneficia di ritorni diretti. Dall’altro, si promuovono le attività di un settore come quello dell’esportazione di armamenti che lo Stato, ai sensi della legislazione vigente, dovrebbe rigorosamente regolamentare invece che incoraggiare. In questo modo, come documentiamo da tempo, si utilizzano le esportazioni di armi per il rilancio dell’economia reale mentre se ne minimizzano le conseguenze, come se vendere armi fosse un’iniziativa equiparabile ad altre attività commerciali».
Particolarmente preoccupante, segnala la Rete Disarmo, è lo stato di tensione dell’intera zona mediorientale in cui il gruppo navale Cavour farà tappa e soprattutto il grave deficit di libertà democratiche a fronte di ingenti spese militari e di un livello basso di sviluppo umano di diversi dei paesi che saranno visitati. Ben 12 su 18 degli Stati ai cui governi si intende presentare il campionario di armamenti italiani sono definiti dall’Indice di democrazia dell’Economistcome “Regimi autoritari” (Gibuti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar, Oman, Madagascar, Angola, Congo, Nigeria e Algeria), una buona parte di essi presenta livelli di spese militari tra i più alti al mondo(Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Oman, Angola, Marocco e Algeria) mentre in 8 su 18 paesi il livello di sviluppo umano è tra i più bassi del mondo. (Si veda Tabella 1). L'Africa è ancora una delle zone più calde del mondo. Ad esempio nella R.D. del Congo (in cui la Cavour non farà tappa) è in corso una sanguinosa guerra dimenticata da tutti con molti morti oltre a migrazioni bibliche di profughi, stupro sistematico come arma di guerra, bambini assoldati nelle milizie per uccidere e morire oppure costretti a lavorare a mani nude nelle miniere di coltan. “Orrori senza fine, che a stento trovano la via dei media internazionali ma vengono avvicinati dalla rotta del tour promozionale della Cavour e della sua Squadra Navale” sottolinea Pasquale Pugliese segretario del Movimento Nonviolento.
«E non va dimenticato – sottolinea Giorgio Beretta, analista di Rete Disarmo – che i ministeri della Difesa a cui la Cavour esibirà il campionario bellico delle ditte di Finmeccanica[2] sono stati destinatari nell’ultimo quinquennio di quasi 5 miliardi di euro di armamenti cioè di circa il 30% di tutte le esportazioni italiane di sistemi militari. Per non parlare delle “armi comuni” esportate a questi paesi dalle aziende bresciane che superano gli 11 milioni di euro annui. E’ tempo che il Parlamento prenda in esame le Relazioni governative sulle esportazioni di armamenti: non lo sta facendo da oltre cinque anni quasi che il controllo sull’attività dell’esecutivo in questa materia sia facoltativo o insignificante per la nostra stessa sicurezza».
L’operazione, che prevede la partecipazione di organismi umanitari come Croce Rossa Italiana, Operazione Smile e Fondazione Francesca Rava, ha anche delle ripercussioni sulla funzione delle organizzazioni non governative e sui loro rapporti con le Forze Armate.
L’aiuto umanitario ricorda Rete Disarmo è regolamentato dal Codice di Condotta per il Movimento Internazionale della Croce Rossa e per le ONG, che stabilisce che l'aiuto non può essere utilizzato come strumento di politica estera dei governi. Con ciò si intende, quindi, che non può nemmeno essere impiegato per compiti promozionali del “made in Italy” e men che meno dell'industria armiera. «La continua erosione – evidenzia Martina Pignatti, presidente di “Un ponte per…” – dello spazio umanitario da parte di attori militari e commerciali mette in discussione non solo l’indipendenza, la neutralità e l’imparzialità delle organizzazioni autenticamente umanitarie, ma la stessa possibilità che gli operatori umanitari continuino ad intervenire efficacemente e in relativa sicurezza nei contesti di crisi».
Secondo le informazioni diffuse dalla Marina Militare la gran parte dei costi relativi alla missione (tranne stipendi ed indennità di navigazione) saranno sostenuti dagli “sponsor” che utilizzeranno la portaerei Cavour come piattaforma economica e commerciale, pervertendone il compito statutario. Si tratta di 20 milioni di euro (7 pagati dalla Marina e i restanti 10 milioni per i carburanti e 3 milioni per le attività di supporto nei porti toccati dagli sponsor) che solo in parte non saranno a carico della collettività perché molte delle aziende che finanzieranno la missione appartengono alla holding pubblica Finmeccanica.
«Fin dalla sua progettazione – aggiunge don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia – abbiamo posto all’attenzione pubblica la domanda sulla necessità di dotare la Marina Militare di una nave portaerei come il Cavour. Pur riconoscendo il suo potenziale impiego duale, cioè come portaerei e come “nave ospedale”, crediamo che ci si debba interrogare, oltre che sugli elevati costi di mantenimento, soprattutto sull'esigenza di una nave portaerei per una Repubblica come l'Italia che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Non è nemmeno accettabile un’altra delle giustificazioni fornite dal Capo di Stato Maggiore della Marina Ammiraglio De Giorgi a riguardo di questa missione: il contrasto alla pirateria internazionale. Da una parte perché, analizzando la rotta della Squadra Navale, la permanenza nei mari segnalati a rischio pirateria dagli stessi decreti della Difesa è ridotta a pochi giorni (molto meno del tempo dedicato alla promozione del made in Italy armato nel Golfo Persico). Dall’altro perché è stata la stessa Marina Militare a dichiarare nei giorni scorsi come nel 2013 ci siano stati solo quattro attacchi, tutti con esito negativo rispetto ai 34 messi a segno lo scorso anno da gennaio a novembre: un calo del 90% negli episodi di pirateria.
Con questa operazione della Cavour – ricorda Rete Disarmo – prende consistenza unaprofonda trasformazione che è avvenuta durante le scorse legislature: la competenza in materia di autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari è infatti stata attribuita all’Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (UAMA) collocata presso la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese (DGSP) del Ministero degli Esteri che annovera tra i suoi compiti il “sostegno all’internazionalizzazione dell’industria dello spazio e della difesa”, quasi che satelliti meteorologici e sistemi militari siano prodotti equiparabili.
«Crediamo che si debba porre estrema attenzione – conclude Francesco Vignarca,coordinatore di Rete Disarmo – al problema evidenziato anche da un recente documento del Comitato economico e sociale europeo[3]: la crisi economica infatti sta trasformando alcuni ministeri della Difesa in espliciti promotori delle esportazioni di armamenti. Una tendenza che, per sostenere la competitività delle industrie militari dei rispettivi paesi, rischia di mettere a repentaglio gli sforzi in ambito comunitario per definire una politica organica di sicurezza e di difesa comune».
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