Grillo: misure di guerra, o in autunno l’Italia salta in aria
http://www.libreidee.org/2013/07/grillo-misure-di-guerra-o-in-autunno-litalia-salta-in-aria/
Ho girato l’Italia in camper, incontrando l’Italia dimenticata dalla politica e ignorata dall’informazione, e ho detto al presidente della Repubblica che servono misure straordinarie, pari a quelle di un’economia di guerra: siamo un paese in macerie, e quelle misure straordinarie non possono più aspettare oltre, neppure un giorno. Non abbiamo più tempo, l’Italia si avvia verso la catastrofe. Chi è oggi al governo del paese è responsabile dello sfacelo, sono gli stessi che hanno distrutto l’economia. Questa classe politica non è in grado di risolvere alcun problema, perché essa stessa è il problema. Il governo delle larghe intese, voluto fortemente da Napolitano, tutela soltanto lo status quo e gli interessi di Berlusconi, che in qualsiasi paese normale, di democrazia occidentale, non sarebbe ammesso ad alcuna carica pubblica, tantomeno in Parlamento. La nazione è una pentola a pressione che sta per saltare, mentre – ormai da mesi – il governo Letta si balocca con il rinvio dell’Imu, la cancellazione di un punto dell’Iva, senza trovare una soluzione.
I numeri dello sfacelo sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli, e sono drammatici. Il tasso di disoccupazione più alto dal 1977, primo anno di rilevazione. Il crollo continuo della produzione industriale, che si attesterà a -3% nel 2013, cioè due punti di Pil in meno e un milione e mezzo di disoccupati in più. La continua crescita del debito pubblico, che è arrivato a 2.040 miliardi di euro. Il fallimento continuo delle imprese, che chiudono al ritmo di una al minuto. Una delle tassazioni più alte d’Europa, sia sulle imprese che sulle persone fisiche: parliamo del 44% di tasse indirette, che arriva fino al 70%. Stipendi tra i più bassi dell’Unione Europea. Il crollo continuo dei consumi, persino dei generi alimentari. L’indebitamento delle famiglie, che quest’anno è arrivato in forma generalizzata a 500 miliardi. E’ una Caporetto, e il Piave non mormora – perché sul Piave non c’è più nessuno: sono tutti nei palazzi, a rimandare le decisioni e a fare annunci. Il Parlamento è espropriato delle sue funzioni, la legge elettorale detta “Porcellum” è incostituzionale, e i parlamentari sono stati “nominati” a tavolino da pochi segretari di partito. Il governo fa i decreti legge senza che sia stato dato il tempo minimo per esaminarli, e il Parlamento approva a comando. Noi siamo più da tempo una repubblica parlamentare, e non siamo forse neanche più una democrazia.
Il debito pubblico ci sta divorando. Paghiamo circa 100 miliardi di interessi all’anno, che crescono ogni giorno: solo quest’anno, per non fallire dovremo vendere 400 miliardi di euro di titoli. Le entrate dello Stato sono circa 800 miliardi all’anno; quindi, ogni volta che paghiamo le tasse, un euro su otto va a pagare gli interessi sul debito. NéBerlusconi, né Monti, né Letta hanno bloccato la spirale del debito pubblico, che cresce al ritmo di 110 miliardi all’anno. Gli interessi sul debito e la diminuzione delle entrate fiscali dovuta al fallimento di massa delle imprese, alla disoccupazione e al crollo dei consumi rappresentano la certezza del prossimo default. Non c’è scelta: il debito pubblico va ristrutturato, va ridiscusso. Gli interessi annui divorano la spesa sociale, gli investimenti e la ricerca: è come il cagnone de “La storia infinita”, il Nulla che divora la realtà. Ecco, il debito sta divorando lo Stato sociale. Si può rimanere nell’euro solo rinegoziando assolutamente le condizioni, o attraverso gli eurobond (già deprecati dall’Unione Europea) o, in alternativa, con la ristrutturazione del nostro debito, sul tempo o sul tasso d’interessi. Una misura che colpirebbe soprattutto Germania e Francia, che detengono la maggior parte del 35% dei nostri titoli pubblici collocati all’estero.
Qui viene l’essenziale: se non risolviamo questo, non c’è nessun tipo dieconomia che ci può salvare. Non possiamo fallire in nome dell’euro, nessuno che lo può chiedere, né imporre – nessuno. A fine 2011, i titoli di Stato italiani presenti in banche o in istituzioni estere erano il 50%. Le nostre banche, grazie al prestito della Bce dello scorso anno – prestito garantito dagli Stati, quindi anche da noi – invece di dare credito alle imprese si sono ricomprate circa 300 miliardi, dall’estero, tra titoli in scadenza e rimessi sul mercato. Cioè le nostre banche si sono prese i soldi della Bce e non hanno dato credito: quei soldi sono serviti a ricomprare il nostro debito in mano alle banche, prevalentemente francesi e tedesche. E siamo scesi al 35%: ce ne siamo comprati un 15%. E’ il miglior modo per fallire: quando ci saremo ricomprati tutto il debito estero, e non avremo più tessuto industriale, collasseremo. E la Ue rimarrà a guardare: quando il debito sarà nostro, ci guarderà come oggi guarda la Grecia.
Ora, disponiamo di un potere contrattuale che è il debito: fin che il 35% è in mano alle banche straniere, è un potere contrattuale straordinario. Bene, dobbiamo usarlo. L’Italia ha assoluta necessità di aiutare le imprese con misure come il taglio dell’Irap, che è una tassa estorsiva nei confronti delle imprese: tassa i costi e le assunzioni. Quindi: ridurre la tassazione delle imprese al livello della media europea, con servizi efficienti e meno costosi, con anche la protezione del made in Italy – assegnato solo a chi produce in Italia, e con l’eventuale applicazione di dazi, tornando all’antico, per proteggere i nostri prodotti. Allo stesso tempo è urgente l’introduzione del reddito di cittadinanza: nessuno deve rimanere indietro. Ci preoccupiamo dei problemi del mondo, quando non riusciamo ad assistere gli anziani e non diamo possibilità di lavoro ai giovani, che devono emigrare a centinaia di migliaia: siamo il secondo popolo, dopo i rumeni, come numero di persone emigrate.
Il reddito di cittadinanza, insieme al rilancio delle piccole e medie imprese, è possibile da subito: con il taglio dei mille privilegi e delle spese inutili. Ne elenco solo alcune: eliminare le Province, portare il tetto massimo delle pensioni a 5.000 euro, tagliare i finanziamenti pubblici ai partiti e ai giornali, riportare la gestione delle concessioni pubbliche nelle mani dello Stato – parlo di Telecom, venduta a debito dal governo D’Alema e mai più ripresa (ha iniziato a fallire lì, quando è stata venduta a debito per 35 miliardi), per continuare con le autostrade, perché sia l’erario a maturare i profitti, e non aziende private come Benetton. E poi: eliminare la burocrazia politica dalle partecipate, dove prosperano migliaia di dirigenti. Nazionalizzare il Monte dei Paschi di Siena, ed eliminare ogni grande opera inutile come il Tav in val di Susa: adesso si stanno rendendo conto tutti che è una cosa inutile, anche i sottosegretari ai trasporti cominciano a dire che è inutile, mentre la Corte dei Conti francese dice che non ci sono i soldi. E poi l’Expò, un altro sogno: nessuno sa cos’è, nessuno sa cosa succederà a Rho. I milanesi non ci vanno mai, a Rho; figuratevi se ci va uno di Singapore. Sarà di nuovo la speculazione edilizia, sarà di nuovo precariato e sarà di nuovo debito pubblico – lo sappiamo già in anticipo.
Ridurre drasticamente stipendi e benefit dei parlamentari e di ogni carica pubblica. Cancellare la missione in Afghanistan: costa un miliardo all’anno. Fermare l’acquisto degli F-35, come dice la nostra Costituzione. E potrei continuare a lungo, adesso che vengono fuori i conti: si dà il caso che nella Vigilanza Rai ci sia un ragazzo del “Movimento 5 Stelle”, e veniamo a sapere – conti alla mano – che erano esatte le cose che da anni diciamo sul blog. Abbiamo un’azienda che perde 200 milioni l’anno, che ha 13.000 dipendenti (più di tutte le altre televisioni messe insieme) e con 13.000 dipendenti abbiamo un miliardo dato per fare lavori fuori. Abbiamo 166 dirigenti, uno ogni 18 impiegati. Ci siamo inventati i giornalisti-dirigenti, abbiamo le “paghette” che vanno da un milione e mezzo a tre, quattro e seicentomila del direttore generale, sino al giornalista-dirigente che, con le percentuali sulla pubblicità, arriva anche a un milione l’anno. E pretendiamo da un pensionato i 135 euro di canone annuale, con una televisione che perde 200 milioni all’anno.
Bene, queste misure non possono essere prese dall’attuale classe politica, perché taglierebbe il ramo su cui si regge. Questo Parlamento non è stato eletto dagli italiani, ma dai partiti e dalle lobby. Non può affrontare una situazione di emergenza nazionale, di economia di guerra, perché deve rispondere ai suoi padrini e non ai cittadini. Il presidente Napolitano si è assunto una responsabilità immane. Gli ho chiesto di far abrogare l’attuale legge elettorale, in quanto incostituzionale; di sciogliere il Parlamento e di tornare alle urne, se necessario. L’autunno è alle porte: insieme al probabile collasso economico, i problemi si trasformeranno da politici a sociali, probabilmente incontrollabili. Non c’è più tempo. Ho detto al presidente che si è preso sulle spalle grandi responsabilità, che avrebbe potuto e forse dovuto declinare. Mi ha risposto che non ne poteva fare a meno: gli credo, se ha sentito questo peso. Ormai è diventato uno scudo, un parafulmine dei partiti – che non hanno saputo né governare, né riformarsi. Nel migliore dei casi, abbiamo di fronte degli incapaci, che vanno lì a votare leggi che non capiscono, che fanno trucchetti nei tempi e nelle modalità, che bloccano le nostre proposte nelle commissioni, neutralizzando i nostri parlamentari che lavorano come matti ma sono boicottati, e i giornali li presentano come inconcludenti.
Io il paese l’ho girato in lungo e in largo, ho visto una potenzialità straordinaria ma anche una povertà che non immaginavo, ho visto famiglie italiane mangiare con lo sguardo basso alla Caritas di Firenze. Ci sono sintomi, già adesso, di quello che potrebbe succedere, arrivati a settembre-ottobre. Poi l’Italia è un paese strano: ci sono quelli che votano Berlusconi, quelli con la doppia pensione e magari la doppia casa, quelli che hanno lo stipendio pubblico. Galleggiano sulla crisi, sanno che c’è crisi ma non si fidano di uno che grida e che vuole cambiare tutto. Non si fidano, ma fino a quando? Fino a quando ci saranno ancora le pensioni e gli stipendi pubblici. E se non ci fossero più, a ottobre? Che cosa succede? Sarà troppo tardi. E non venitemi che a dire che io sono l’arrabbiato, come mi avete dipinto. Sì, ho un modo accorato di esprimermi. Ma la mia è una rabbia buona, non cattiva, è filtrata da un movimento di nove milioni di persone. Io ci parlo, con le persone della strada, mentre i politici si muovono solo blindati: perché questa distonia tra loro e i cittadini? Spendiamo 850 milioni in scorte: perché? Io ho fatto tournée in tutta Europa, vedevi ministri andare in autobus, in bici, andare a prendere il figlio a scuola.
Siamo costretti a immaginarci un altro paese che non sia questo, diBerlusconi, dell’Iva, dell’Imu, dove si tassano i pensionati e il lavoro: non riescono a capire neanche cosa siano le tasse. Le tasse si devono spostare: dal lavoro, dalla produzione, a chi consuma energia e ambiente. Dobbiamo avere un piano di 3, 4, 5 anni sull’energia. Ho girato tutta l’Italia, è pieno di pale eoliche staccate perché gli impianti di distribuzione non reggono: e piuttosto che staccare le centrali e carbone e a olio combustibile, staccano l’eolico, il futuro. Ma di cosa parliamo? Lo Stato non c’è più. Ti fa vivere in ansia. Ecco perché sono così: ho ricevuto milioni di ansie, che ho metabolizzato. Ma non puoi vivere in un paese con trecentomila leggi, nove milioni di processi, duecentocinquantamila avvocati. Dove andiamo a finire? E’ urgente ridiscutere tutto, da cima a fondo, per capire cosa dobbiamo fare, perché non si può avere all’economia un banchiere, perché così si confonde le gente – come se l’economia fosse parlare di soldi: quella è finanza, ma mischiano le cose. L’economia è cosa fare e cosa non fare: non si può più investire in automobili, cemento, supermercati, autostrade e opere assurde – ecco perché si chiama economia di guerra.
Allora: l’innovazione, lo sviluppo, bisogna cominciare a vedere i nuovi lavori. Il lavoro se ne va: non torna più, quel lavoro lì. Grazie a Dio c’è l’innovazione, la tecnologia, la robotica, o se no bisogna tornare un po’ indietro, e insegnare ai ragazzi a lavorare mentre ancora studiano, mettendo insieme università e aziende. Per fare questo bisogna avere le palle. E questa gente le palle non le ha, perché sono quelli che hanno causato il dramma di questo paese. Mettetevelo bene in testa: non faranno mai nessun tipo di riforma, giocano sul tempo. Hanno paura di noi perché, se vincessimo, durante la presidenza italiana del “semestre europeo” andremmo davanti alle grandi banche e ai grandi poteri finanziari a dirgli: basta, adesso non si gioca più con la vita delle persone, con gli spread e con la spending review. Adesso basta, bisogna dare una svolta per salvare questo paese.
(Beppe Grillo, estratti dalla conferenza stampa del 10 luglio 2013 dopo l’incontro al Quirinale col presidente della Repubblica).
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