CRISI: L'UOMO TORNI AL CENTRO DELLA SOCIETA'

Quella che stiamo attraversando non è una crisi del denaro, ma una crisi dei valori. Nella società attuale lo Stato e la cultura si sono annullati dentro l’economia. Tocca a noi cittadini agire per determinare il cambiamento e costruire un mondo nuovo

CRISI: L'UOMO TORNI AL CENTRO DELLA SOCIETA'

C'è, nel mestiere del contadino, la metafora perfetta di cosa intendiamo con "economia reale". In particolare, nelle doti morali che lo contraddistinguono: coraggio, prudenza, perseveranza. Coraggio perché un pezzo di terra non è nulla, senza l'opera paziente dell'uomo che lo coltiva.
Prudenza perché la natura è imprevedibile, e a una giornata di sole può seguire la grandine. Perseveranza perché la terra dà buoni frutti solo con il tempo. C'è, nei frutti di quel lavoro, la metafora perfetta di cosa intendiamo con "valore reale" in economia. Pensiamo auna buona bottiglia di Nebbiolo. Quel vino concentra in sé il valore di anni di lavoro, la scelta del declivio esposto al sole nel modo migliore, la coltivazione della vite, la vendemmia, l'invecchiamento necessario al vino per maturare. Tutto in una bottiglia. Per questo, essa vale tutti i 30 euro che costa. Per questo, quella bottiglia potrà attraversare indenne la crisi della Grecia, il probabile grande freddo (e successivamente il grande caldo) dei prezzi delle materie prime, la nuova povertà nei paesi avanzati che questo secolo conoscerà, la grande paura quando la Cina farà i conti con il crollo della sua dittatura.

C'è, nel mestiere del trader, la metafora perfetta di cosa intendiamo con "finanza virtuale". In particolare nei vizi morali che lo contraddistinguono: paura, avventatezza, opportunismo. Come tutti i giocatori d'azzardo, il trader vive del coraggio transitorio di guadagnare tutto in un istante, alimentato dalla paura persistente di perdere tutto, nello stesso istante. E come tutti i giocatori d'azzardo, il trader deve fare ricorso all'avventatezza per lanciare la pallina nella roulette. Tutti i giorni, mille volte, egli schiaccia un tasto del computer chiudendo gli occhi: "rien ne va plus". Tutti i giorni, egli vive nella continua frenesia di spostare le proprie scelte opportunistiche d'investimento, mille e poi mille volte ancora, in un agire frenetico che non conosce sosta.C'è, nei frutti di quel lavoro, la metafora perfetta di cosa intendiamo con "valore fittizio" in economia. Pensiamo a un derivato sul prezzo delle materie prime (ad esempio sul prezzo del petrolio). Per esempio, il diritto registrato nel grande spazio virtuale della finanza globale, per quel trader, di acquistare il petrolio a un certo prezzo tra sei mesi. Quel diritto concentra in sé il valore di forse un'ora di lavoro: la lettura dei giornali finanziari e di alcuni report sui mercati delle materie prime, qualche telefonata con i colleghi per captare gli ultimi "rumors" sul mercato del petrolio, il calcolo opportunistico fondato sulle cosiddette profezie che si auto-verificano. Meccanismi perversi per cui, se si è in tanti a comprare derivati al rialzo sul prezzo del petrolio a sei mesi, il mercato si accorgerà che gran parte dei diritti sono acquistati al rialzo e, di conseguenza (e non per fatti o accadimenti legati all' economia reale), le aspettative degli investitori così influenzate determineranno un incremento del prezzo del petrolio stesso, non tra sei mesi ma oggi. Il tutto in un istante, e in evidente spregio della più elementare legge della domanda e dell'offerta reali, di petrolio. In questo caso però, non c'è il terreno coltivato con pazienza, non c'è la vendemmia condotta con cura, non ci sono l'imbottigliamento e l'invecchiamento eseguiti con sapienza antica, non c'è del buon vino. Qui non c'è nulla. Nemmeno il pezzo di carta su cui il derivato dovrebbe essere stampato. Né, tantomeno, una garanzia in denaro da parte del trader a copertura di quella scommessa da giocatore d'azzardo. Per questo quel derivato non passerà indenne la crisi della Grecia, o le grandi oscillazioni sui prezzi delle materie prime che ci attendono, o il crollo politico cinese. E allora torniamo alla terra.

C'è, nella vita di George Whitman, la metafora perfetta di cosa voglia dire economia della fratellanza. Uomo libero e fuori del comune, George Whitman è morto nel 2011 alla veneranda età di 98 anni, a Parigi. Per decenni, la sua libreria Shakespeare & Co. di rue de la Bucherie vicino Notre Dame, è stata punto di riferimento culturale e luogo dove acquistare libri meravigliosi, nonché simbolo di quell'ospitalità senza pari, perché senza patria, offerta a tutti i grandi viaggiatori del mondo. George Whitman accoglieva i clienti della sua libreria, che giungevano da ogni dove e, qualora ne avessero avuto bisogno, offriva loro un posto per dormire la notte nella sua libreria. Non ebbe mai problemi. Usava dire che i delinquenti si riconoscono subito, "perché sono terribilmente noiosi". All'ingresso della libreria è ancora scritta una frase, che così recita:"Be not inhospitable to strangers lest they be angels in disguise". In questa frase è il senso di una fratellanza universale che renderebbe la nostra società, pur senza negare la ricerca del profitto, migliore di quella attuale. La vita di questo grande uomo ci ricorda che abbiamo smarrito quel senso sacro dell'ospitalità per cui, in epoche lontane certamente più dure e più povere della nostra, eppure più generose, a nessuno erano negati un pasto e un luogo in cui dormire la notte. Whitman campò del proprio mestiere di libraio e, come tutti noi, cercò di guadagnare il giusto. Mai nella sua vita egli abdicò, a ciò che rende l'uomo diverso dall'animale: la generosità e l'accoglienza verso il prossimo. Uno dei sintomi più gravi della nostra crisi economica e sociale è la progressiva sparizione di questa generosità e di questo senso dell'ospitalità. Abbiamo creato mercati e luoghi di lavoro spietati. In cui domina la logica del "mors tua vita mea" e, in cui, buona parte delle nostre azioni sono ispirate più alla paura di non farcela che alla gioia di creare cose nuove. La verità è che in economia è assai più produttiva la somma di due generosità ispirate dal coraggio, che non il saldo di due egoismi condizionati dalla paura. Troppi luoghi di lavoro sono ispirati a questa paura e a un'eccessiva competizione tra colleghi, che una pseudo-dottrina manageriale di bassa lega anni fa individuò essere condizione necessaria per determinare imprese produttive. E' vero il contrario. Come scrisse oltre quarant'anni fa il grande etologo e medico Konrad Lorenz, "(...) La competizione fra uomo e uomo agisce come nessun fattore biologico ha mai agito [...], e distrugge con fredda e diabolica brutalità tutti i valori [...],mossa esclusivamente dalle più cieche considerazioni utilitaristiche". In imprese di questo tipo la gran parte dei nostri comportamenti sono ispirati dalla paura, o dal calcolo del nostro interesse a danno degli altri. Aziende così fatte sono i luoghi meno produttivi, creativi e innovativi che ci siano. Oltre che essere luoghi in cui l'uomo è un alienato. E anche, aziende nelle quali pochissimi comandano su moltissimi usando il "bastone" di quella paura. Imprese in cui ci si batte unicamente per la conquista e la conservazione del potere, non per l'esercizio della responsabilità o per la creazione di cose utili. L'individuo che opera in queste organizzazioni è dominato dalla paura di non farcela. Nessuna pietà per gli sconfitti. Eppure l'uomo non si è sviluppato e ha prosperato, nella sua lunga storia, grazie a questo tipo di organizzazioni. Ancora Konrad Lorenz, ci ricorda che "L'uomo non è stato costruito nel corso della filogenesi per essere trattato come una formica o come una termite, elementi anonimi e intercambiabili di una collettività di milioni d'individui assolutamente uguali tra loro". In queste imprese l'uomo si ammala. Come ben ci rappresenta la cronaca finanziaria del Corriere dell' 11 febbraio 2012: "(...) Iniezioni di testosterone all'ombra del Toro di Wall Street: è l'ultima arma segreta dei trader che non vogliono rassegnarsi a perdere il posto in tempo di crisi. (...) vero e proprio boom di terapie ormonali tra gli operatori della borsa di New York che cercano di sopravvivere ai tagli e alla concorrenza di colleghi più giovani e aggressivi. (...) Una società di Las Vegas sta per aprire un ambulatorio specializzato a pochi passi dalla Borsa". Che magnifica umanità. Ed è paradossale e spregevole, che i pochi vincitori di questa spietata competizione "cane mangia cane", una volta diventati miliardari con la speculazione, si lavino la coscienza impegnandosi in ben pubblicizzate attività filantropiche. Dimenticandosi di quella famosa frase di Jack London per cui: "A bone to the dog is not charity. Charity is the bone shared with the dog, when you are just as hungry as the dog".

Torniamo all'economia dell'artigiano, sviluppiamo la cooperazione invece che la competizione tra individui, e riscopriamo i valori della fratellanza e dell'ospitalità. Su queste cose e principi potremo costruire una società sostenibile. Non certo su questo formicaio in perenne agitazione e concorrenza spietata, che produce trader drogati per sopravvivere o che, come ha riportato il Corriere del 10 maggio 2011, crea fabbriche che avrebbero scosso persino Charles Dickens: "(...) A iPad City si lavora giorno e notte per assemblare le tavolette della Apple richieste in tutto il mondo. E anche a quasi un anno dalla terribile serie di suicidi a catena di alcuni operai cinesi, le condizioni dei lavoratori restano critiche. La denuncia arriva dall'associazione noprofit Sacom, Students & Scholars Against Corporate Misbehaviour, che ha visitato tra marzo e aprile alcuni stabilimenti cinesi della Foxconn, il gigante hi-tech dell'assemblaggio di cellulari, tavolette, laptop, strumenti per la connessione in rete, server, per Apple ma anche per altri colossi come HP, Sony, Motorola, Nokia o Dell. Esposizione a polveri sottili dannose per la salute, ritmi inumani, ordine militare e la firma di un patto di «non-suicidio» per i nuovi assunti".

Che cos'è questa, se non economia fondata sulla mercificazione dell'uomo? Sul suo immolarlo all'altare di una produttività bruta che non conosce né rispetto né regole? Di nuovo, tornano alla mente le parole d'accusa di Jack London nel suo libro "il Tallone di ferro": "(...) Di fronte al fatto che l'uomo moderno vive più miseramente del suo antenato selvaggio, mentre la sua capacità produttiva è mille volte maggiore, non è possibile altra conclusione che questa: la classe capitalistica ha mal governato; voi siete cattivi amministratori, cattivi padroni, e la vostra cattiva gestione è imputabile al vostro egoismo".

Se questa è l'economia del futuro allora no, grazie, non la vogliamo. Abbiamo bisogno di costruire un mondo nuovo. Quello che colpisce del periodo attuale è che, nonostante gli aridi dati macro-economici ci dicano che ne stiamo forse uscendo, permane la nostra sensazione di cittadini che nella crisi ancora ci siamo in pieno. La ragione è che quella che stiamo attraversando non è una crisi del denaro, ma una crisi dei valori. Il turbo-capitalismo sregolato di questi anni e la globalizzazione infatti, si sono limitati a riempire il vuoto lasciato vent'anni fa dal crollo delle ideologie senza preoccuparsi di costruire un'idea di società comune. Ecco perché ci sentiamo smarriti, ci manca un'idea di società alternativa a quella attuale, che ponga l'uomo e la sua dignità al centro, e in cui il lavoro non sia mercificato ma considerato per il suo essere momento pieno di valorizzazione dell'uomo e dei suoi talenti. Perché ciò avvenga, dobbiamo prima di tutto cambiare la nostra idea di lavoro, che da salariato deve diventare partenariato. E dobbiamo immaginare una società fatta di organizzazioni costruite secondo principi differenti da quelli attuali: non gerarchici ma cooperativi. Occorre, al tempo stesso, che superiamo l'idea stupida per cui la competitività tra le persone è fonte di valore «di per sé». È vero il contrario, come scrisse Albert Einstein: "(...) Ritengo che il peggior male del capitalismo sia la storpiatura dell'individuo. Tutto il nostro sistema educativo risente di questo male. S'inculca nello studente un'esagerata attitudine alla competizione, esortandolo a venerare avidamente il successo quale preparazione per la sua futura carriera."

E per farlo, cioè per realizzare una società in cui sia la cooperazione e non la competizione tra gli uomini a essere la regola, è essenziale modificarne l'obiettivo, che non deve essere il massimizzare bensì l'ottimizzare. A questo scopo, è di cruciale importanza il recupero di un ruolo forte da parte degli stati e della politica, che devono essere capaci di riscrivere le regole del nostro stare insieme anche andando contro i forti interessi economici precostituiti. Così come, è essenziale ridare peso alla cultura e alla conoscenza in quanto beni collettivi. Bisogna, in altre parole, che ci ricordiamo dell'esempio di George Whitman, e che rammentiamo come la felicità sia fatta anche del godimento «di quello che non si compra»: un buon ambiente di lavoro, una città sicura e non inquinata, una conversazione tra amici, la partecipazione ad associazioni sono fattori che concorrono alla nostra qualità della vita tanto quanto il denaro se non di più. Nella società attuale lo stato e la cultura si sono annullati dentro l'economia. Ecco perché è una non-società. Tocca a noi cittadini agire per determinare il cambiamento; e costruire una società a misura d'uomo fatta di comunità sostenibili, che sia in grado di soddisfare i propri bisogni senza pregiudicare le possibilità delle future generazioni. Una società fondata, come la natura stessa, sui valori della cooperazione, della partnership e della relazione. Come ha scritto Fritjof Capra: «La vita non s'impadronì del pianeta combattendo, ma cooperando, associandosi, relazionandosi».

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