Gas serra: falsi i dati sulle emissioni europee

Secondo una ricerca condotta in Svizzera, l’Europa produce il doppio delle emissioni di gas a effetto serra dichiarate. Maglia nera per l’Italia, i cui valori sarebbero compresi tra le 10 e le 20 volte in più rispetto ai dati ufficiali.

di Angela Lamboglia

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Per i sistemi di condizionamento delle automobili, una significativa riduzione dell’uso di fluorurati è prevista entro il 2017
Il trifluorometano (HFC-23) è un gas alogenato a effetto serra, con una vita atmosferica di circa 270 anni e un potenziale di riscaldamento di gran lunga superiore a quello del CO2. Si tratta di un gas ampiamente utilizzato nei sistemi di condizionamento e refrigerazione, ma anche per la produzione di polimeri come il teflon, di cui i Paesi aderenti al protocollo di Kyoto sono tenuti a segnalare la produzione e la quantità di emissioni generate.
Il sospetto di misurazioni non veritiere era da tempo nell’aria. Alcune proiezioni mostravano già come la Cina e altri Paesi emergenti non stessero dichiarando i livelli di emissione in maniera corretta. Ora, però, una ricerca condotta dall’EMPA - laboratori federali svizzeri di scienza dei materiali e tecnologia – mostra come a dichiarare il falso siano in primo luogo gli europei e in particolare l’Italia, l’Olanda e la Gran Bretagna.
In uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Geophysical Research Letters, i ricercatori dell’istituto elvetico hanno dimostrato che le informazioni fornite dagli Stati dell’Europa occidentale non corrispondono alla realtà: con l’esclusione di Francia e Germania, le emissioni di gas fluorurati tendono a superare i dati ufficiali in misura compresa tra il 60 e il 140%.
In Italia tali emissioni si collocherebbero tra le 10 e le 20 volte al di sopra di quanto dichiarato.
Difficile individuare le responsabilità.
Gli accordi internazionali, e nel caso specifico il protocollo di Kyoto, non prevedono che un’autorità indipendente verifichi i risultati effettivamente raggiunti dai Paesi aderenti, così la valutazione si limita di fatto ad un’autovalutazione da parte degli Stati, sulla base delle informazioni fornitegli direttamente dalle imprese.
Anche le responsabilità delle aziende sono difficili da accertare. Per l’Italia, ad esempio, il mirino è puntato in particolare contro la Solvay Solexis di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, uno stabilimento di produzione presso il quale è stata confermata la presenza di scorie di gas HFC-23, ma di cui non è stato finora possibile dimostrare se siano state ventilate nell'atmosfera.
A livello europeo, la regolamentazione circa l’utilizzo di questi gas, la Direttiva 2006/40/CE, è al momento oggetto di una revisione da parte della Commissione, le cui proposte sono attese per il prossimo 11 ottobre.
L’introduzione di un organismo di controllo indipendente non sembra essere al vaglio dei funzionari UE, ma alcuni Stati europei, Danimarca in testa, sono propensi a vietare del tutto l’HFC-23, come passaggio indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni inquinanti.
L’Italia e altri Paesi membri sono contrari a questa ipotesi, soprattutto a causa della partecipazione finanziaria ad alcuni progetti di compensazione dei gas HFC-23, nell’ambito del cosiddetto Clean Development Mechanism (CDM). Un meccanismo già in sé controverso per la nota prassi di produrre appositamente gas serra in eccesso con il fine di distruggerlo e ottenere certificati di riduzione delle emissioni (CER) da rivendere.
La Commissione potrebbe, tuttavia, optare per una eliminazione graduale degli HFC, imponendo limiti progressivi ai consumi ammissibili nei diversi settori. Tra le priorità figurano i sistemi di condizionamento delle automobili, per i quali una significativa riduzione dell’uso di fluorurati è prevista entro il 2017.

 

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