In Italia si costruiscono gli inceneritori. Nel resto del mondo si stanno smantellando
È vero che gli inceneritori fanno male? Perché in Italia si continuano a costruire questi impianti mentre nel resto del mondo si stanno smantellando? Quali sono le possibili alternative? Sono queste alcune delle domande a cui Carlo A. Martigli, scrittore e giornalista, ha cercato di rispondere con un’inchiesta da cui è nato il docufilm “Sporchi da morire”, in uscita il prossimo autunno (vedi anteprima).
Il progetto, di respiro internazionale, è stato realizzato da Marco Carlucci, filmmaker indipendente già noto per “Il punto rosso”, con la collaborazione di numerosi esperti: medici, biologi, chimici, attivisti italiani e stranieri.
Carlucci, come è nata l’idea di realizzare un docufilm sui rischi alla salute degli inceneritori?
“Il film nasce da un incontro casuale con Stefano Montanari, direttore del laboratorio Nanodiagnostics di Modena. Assistendo a una delle sue numerose conferenze, sono rimasto profondamente colpito dalla tematica e anche affascinato dall’idea di realizzare un film documentario poco convenzionale. “Sporchi da morire” racconta la storia di una ricerca online che lentamente prende forma e sostanza. Sono stati utilizzati video di varia natura e provenienza: nostri reportage esclusivi, video inviati dagli utenti del sito o dalle associazioni, video virali del web, il tutto in uno stile volutamente ‘sporco’. Questo progetto affronta il tema della pericolosità degli inceneritori per svelare alle persone l’esistenza di una nuova forma d’inquinamento molto insidiosa, quella delle nanoparticelle. Ci siamo interessati anche delle centinaia di migliaia di persone che si stanno ammalando a New York, vittime delle nanopolveri da combustione scaturite dal crollo delle torri gemelle. Ma le nanoparticelle sono anche nei filtri per le macchine, nei cibi, nei farmaci, nelle armi moderne. In ogni caso, “Sporchi da morire” non descrive solo il pericolo ma anche le alternative sostenibili già attuate in molte parti del mondo”.
In Italia l’incenerimento è una delle pietre miliari su cui poggiano i piani di gestione dell’immondizia. Com’è la situazione lontano da qui?
“Fin dall’inizio non ho inteso realizzare un film sugli scandali italiani: sulla monnezza di Napoli, o sul business dei rifiuti. Il problema è molto più ampio e ogni paese ha il suo modus operandi. In Inghilterra, in Austria, in Francia, in Germania, persino negli Stati Uniti, ci sono problemi legati alla gestione dei rifiuti, agli impianti d’incenerimento, alla libertà d’informazione. In Italia però scontiamo il ritardo con cui abbiamo iniziato a occuparci del problema, e infatti siamo gli unici a non aver capito che bisogna risolverli. Rispetto alla Francia, per esempio, la differenza è sostanziale: due medici francesi, di opposto credo politico, hanno dato vita alla più grande associazione mondiale e allo studio più importante sugli effetti degli inceneritori. In Italia importanti politici, di opposte fazioni, sono concordi nel proporre come soluzione alla crisi dei rifiuti l’incenerimento”.
Gli impianti di incenerimento producono polveri tanto piccole che non possono essere filtrate né dal naso né dai bronchioli, penetrando, così, in profondità nei polmoni. Gli inceneritori, oltre alle polveri, generano metalli pesanti come piombo, mercurio, arsenico e cadmio, altamente nocivi per la salute. Possibile che nonostante questi dati si continui a credere che bruciare i rifiuti sia l’unica soluzione?
“Certo, perché il processo dell’incenerimento dei rifiuti è apparentemente purificatorio agli occhi delle persone. Poi, se si racconta che oltre a smaltire i rifiuti, si crea energia e non si inquina, diventa difficile per una persona che non ha le giuste informazioni avere dei dubbi concreti. Il problema vero degli inceneritori vecchi e nuovi è che, per poter essere produttivi, hanno bisogno di materia prima, cioè di quei materiali che potrebbero essere riciclati e compostati, creando così un nuovo business e posti di lavoro. Fino a quando costruiremo bocche di fuoco che hanno bisogno di rifiuti per poter funzionare, la raccolta differenziata non decollerà”.
Che idea si è fatto della cosiddetta emergenza Napoli?
“Il nostro documentario parte proprio dalla crisi di Napoli, dai rifiuti per le strade, per poi affrontare lo step successivo, ovvero la soluzione avanzata. Rispondo a questa domanda riprendendo un concetto espresso nel film da Paul Connett, guru mondiale di Zero Waste: quando ci sono due comuni che sono distanti due chilometri, e uno ha il 5% di raccolta differenziata e l’altro il 70%, non è più un fatto “culturale”, la cultura non può cambiare in due chilometri. È un problema di leadership”.
Ecco l’ateprima: www.sporchidamorire.com/doc/index.php?lang=it
Il progetto, di respiro internazionale, è stato realizzato da Marco Carlucci, filmmaker indipendente già noto per “Il punto rosso”, con la collaborazione di numerosi esperti: medici, biologi, chimici, attivisti italiani e stranieri.
Carlucci, come è nata l’idea di realizzare un docufilm sui rischi alla salute degli inceneritori?
“Il film nasce da un incontro casuale con Stefano Montanari, direttore del laboratorio Nanodiagnostics di Modena. Assistendo a una delle sue numerose conferenze, sono rimasto profondamente colpito dalla tematica e anche affascinato dall’idea di realizzare un film documentario poco convenzionale. “Sporchi da morire” racconta la storia di una ricerca online che lentamente prende forma e sostanza. Sono stati utilizzati video di varia natura e provenienza: nostri reportage esclusivi, video inviati dagli utenti del sito o dalle associazioni, video virali del web, il tutto in uno stile volutamente ‘sporco’. Questo progetto affronta il tema della pericolosità degli inceneritori per svelare alle persone l’esistenza di una nuova forma d’inquinamento molto insidiosa, quella delle nanoparticelle. Ci siamo interessati anche delle centinaia di migliaia di persone che si stanno ammalando a New York, vittime delle nanopolveri da combustione scaturite dal crollo delle torri gemelle. Ma le nanoparticelle sono anche nei filtri per le macchine, nei cibi, nei farmaci, nelle armi moderne. In ogni caso, “Sporchi da morire” non descrive solo il pericolo ma anche le alternative sostenibili già attuate in molte parti del mondo”.
In Italia l’incenerimento è una delle pietre miliari su cui poggiano i piani di gestione dell’immondizia. Com’è la situazione lontano da qui?
“Fin dall’inizio non ho inteso realizzare un film sugli scandali italiani: sulla monnezza di Napoli, o sul business dei rifiuti. Il problema è molto più ampio e ogni paese ha il suo modus operandi. In Inghilterra, in Austria, in Francia, in Germania, persino negli Stati Uniti, ci sono problemi legati alla gestione dei rifiuti, agli impianti d’incenerimento, alla libertà d’informazione. In Italia però scontiamo il ritardo con cui abbiamo iniziato a occuparci del problema, e infatti siamo gli unici a non aver capito che bisogna risolverli. Rispetto alla Francia, per esempio, la differenza è sostanziale: due medici francesi, di opposto credo politico, hanno dato vita alla più grande associazione mondiale e allo studio più importante sugli effetti degli inceneritori. In Italia importanti politici, di opposte fazioni, sono concordi nel proporre come soluzione alla crisi dei rifiuti l’incenerimento”.
Gli impianti di incenerimento producono polveri tanto piccole che non possono essere filtrate né dal naso né dai bronchioli, penetrando, così, in profondità nei polmoni. Gli inceneritori, oltre alle polveri, generano metalli pesanti come piombo, mercurio, arsenico e cadmio, altamente nocivi per la salute. Possibile che nonostante questi dati si continui a credere che bruciare i rifiuti sia l’unica soluzione?
“Certo, perché il processo dell’incenerimento dei rifiuti è apparentemente purificatorio agli occhi delle persone. Poi, se si racconta che oltre a smaltire i rifiuti, si crea energia e non si inquina, diventa difficile per una persona che non ha le giuste informazioni avere dei dubbi concreti. Il problema vero degli inceneritori vecchi e nuovi è che, per poter essere produttivi, hanno bisogno di materia prima, cioè di quei materiali che potrebbero essere riciclati e compostati, creando così un nuovo business e posti di lavoro. Fino a quando costruiremo bocche di fuoco che hanno bisogno di rifiuti per poter funzionare, la raccolta differenziata non decollerà”.
Che idea si è fatto della cosiddetta emergenza Napoli?
“Il nostro documentario parte proprio dalla crisi di Napoli, dai rifiuti per le strade, per poi affrontare lo step successivo, ovvero la soluzione avanzata. Rispondo a questa domanda riprendendo un concetto espresso nel film da Paul Connett, guru mondiale di Zero Waste: quando ci sono due comuni che sono distanti due chilometri, e uno ha il 5% di raccolta differenziata e l’altro il 70%, non è più un fatto “culturale”, la cultura non può cambiare in due chilometri. È un problema di leadership”.
Ecco l’ateprima: www.sporchidamorire.com/doc/index.php?lang=it
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