Così la lobby delle banche protegge i derivati sporchi

Francesca Micheletti
Le lobby finanziarie mettono a segno un altro colpo:  «La Commissione europea esaminerà attentamente la possibilità di proibire le vendite allo scoperto puramente speculative sui Cds sovrani» aveva detto Barroso. Invece l'Ecofin di ieri ha approvato un testo annacquato. Per annacquare le leggi in arrivo occorre il giusto mix di azioni che prendano di mira sia i funzionari che i parlamentari europei. E il giusto mix si impara allo European Training Institute, la scuola di lobbying per tutte le esigenze. Per vedere la mappa delle lobby attive a Bruxelles clicca sull'infografica qui sotto.
18 maggio 2011 - 11:39
BRUXELLES - Un anno fa sembravano tutti sul piede di guerra. «La Commissione europea esaminerà attentamente la possibilità di proibire le vendite allo scoperto puramente speculative sui Cds sovrani», aveva tuonato Barroso nel marzo del 2010, durante uno dei picchi del panico-Grecia. Oggi le posizioni i Bruxelles si sono alquanto ammorbidite. Dopo il meeting dei ministri delle finanze della Ue di ieri (leggi il comunicato) il settore sta già tirando un sospiro di sollievo. Perché un bando totale sui Credit default swaps “nudi” non ci sarà.
Ancora una volta è merito (anche) dell’azione di “lobbying discreto” - come lo definisce l’FT - da parte dell’industria finanziaria, che a Bruxelles – soprattutto dall’autunno del 2008 - ha schierato l’artiglieria pesante. Secondo una mappa compilata da Corporate Europe Observatory (CEO), osservatorio sul lobbying, le postazioni del settore finanziario sono tutte dislocate nel cuore del quartiere europeo, tra il Rond Point Schuman, dove siedono Consiglio europeo e una parte della Commissione, e la Place du Luxembourg, antistante il parlamento europeo. Un insolito giro turistico organizzato periodicamente dall’Osservatorio individua una decina di punti focali del lobbying finanziario. Sono associazioni, think tank e organi di rappresentanza dove alla fine girano sempre gli stessi nomi dei big della finanza globale, da Goldman Sachs, Jp Morgan e Bank of America Merrill Lynch, fino a Deutsche Bank, passando per Bnp Paribas, Barclays e Unicredit. Obiettivo comune: influenzare le policies che escono dal Direttorato generale al mercato interno, presieduto dal francese Michel Barnier.
Per farlo, occorre il giusto mix di azioni che prendano di mira sia i funzionari incaricati di redigere i testi legislativi in Commissione, sia i parlamentari europei, sia le rappresentanze degli Stati membri che siedono in Consiglio. Il giusto mix si impara allo European Training Institute, la scuola di lobbying per tutte le esigenze. Situata in rue Froissart, l’istituto organizza corsi di ogni genere relativi agli affari europei e i suoi cervelli più promettenti vanno spesso ad ingrossare le fila della società di consulenza del piano di sotto, la Clan Public affairs. Lezione numero uno: «assicuratevi un posto negli expert groups nominati dalla Commisione. Solo così avrete modo di dominare l’agenda fin dall’inizio».
Nelle aree dove regna il tecnicismo, infatti, i gruppi di esperti vengono consultati in fase di formulazione della prima bozza di una direttiva. Secondo l’Osservatorio, che da tempo studia i comportamenti delle lobby bruxellesi, l’80% della legislazione proposta dalla Commissione non cambia dopo i successivi passaggi del suo iter istituzionale. Lo sanno bene anche i rappresentanti dei gruppi di interesse del settore finanziario, che infatti possono essere avvistati al Centro congressi Borschette, qualche numero civico più avanti, dove si tengono abitualmente gli incontri degli expert groups.
Tra gli esperti si trovano spesso rappresentanti della potente Isda, la International Swaps and Derivatives Association, che per raggiungere il Borschette devono fare qualche passo rispetto alla sede in square de Meeûs, vicino al Parlamento. Non potrebbe invece avere postazione più centrale City of London, la lobby ombrello della finanza londinese, che si trova esattamente in Rond Point Schuman, equidistante da Commissione e Consiglio europeo, con vista sui ministri che sfilano prima dei summit. Da qui la City combatte la sua battaglia contro il rischio di una regolamentazione troppo stretta di hedge funds e private equity. Spesso spalleggiata da Evca (European Venture Capital Association) che agisce da una posizione più defilata, la Bastion Tower di Place du champ de Mars, per rappresentare gli interessi di pesi massimi del private equity. A loro si affianca la Alternative Investment Management Association (Aima), i cui membri sono reduci da un pesante sforzo non troppo riuscito per modellare la direttiva sui gestori di fondi alternativi (la Aifmd). Un deputato europeo ha raccontato di aver avuto da solo ben 193 incontri con i rappresentanti dei gestori durante la gestazione della direttiva.
La più classica e antica delle rappresentanze è la European Banking Federation (Ebf), l’organizzazione ombrello attiva dal 1960 che rappresenta le associazioni bancarie degli Stati membri, compresa la nostra ABI. Da sola, la Ebf dichiara una spesa di 1 milione di euro all’anno per il lobbying. Ci sono poi occasioni e sedi create ad hoc per oliare la relazione fra industria finanziaria e policymakers. Ad esempio lo European Parliament Financial Services Forum, a cui i lobbisti accedono pagando 8.000 euro all’anno per condividere pranzi, cene, cocktail e conferenze con deputati europei, con i quali scambiare vedute sul futuro della finanza continentale. Altra sede di incontro e coordinamento di alto livello è la European Financial Services Roundtable, a cui prendono parte gli a.d delle maggiori banche europee, e dove per l’Italia siedono Federico Ghizzoni di UniCredit e Sergio Balbinot di Generali. C’è infine la Association for Financial Markets in Europe (Afme), che mantiene solo una sede a Londra, e nel cui board siedono anche Gianluca Cugno, a capo della divisione Capital markets di Banca Imi, e Michele Faissola, a capo delle Rates and Commodities di Deutsche Bank.
Le sigle continuano, e sembrano rispecchiare attualmente una certa tensione fra Regno Unito, terrorizzato dalla iper-regolamentazione, e la Francia, che si è conquistata diversi posti chiave all’interno delle istituzioni e dal lato lobbying domina uno degli eventi più importanti dell’anno: l’Eurofi Financial Forum, creatura dall’ex governatore della Banca centrale francese, Jacques de Larosière, che con l’omonimo rapporto del 2009 gettò le basi per la futura architettura di supervisione finanziaria della Ue.
È francese anche Thierry Philipponat, fresco di nomina a capo di una nascente organizzazione che da sola sfiderà le lobby finanziarie: Finance Watch. Nata da un’iniziativa di un gruppo di parlamentari europei stanchi di parlare solo con banchieri, e sostenuta da una trentina di associazioni in tutta Europa, la Ong ha un unico obiettivo dichiarato: fare da contraltare alle argomentazioni dei lobbisti della finanza. Reduce da un’esperienza ventennale a Ubs, Bnp Paribas e vari istituti fra Londra, Parigi e New York, Philipponat spiega il suo compito con un esempio: «Qualche tempo fa Isda ha piazzato un editoriale sul Financial Times dove spiega che i Cds sul debito sovrano sono essenziali per abbassare il costo del denaro, e che vietarli avrebbe conseguenze negative sulle tasse di tutti i cittadini europei”. Prosegue: “Ebbene, nessuno è riuscito a ribattere con argomentazioni tecniche. L’obiettivo di Finance Watch è proprio questo: combattere ad armi pari rappresentando gli interessi dei cittadini e consumatori»

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