Banche in guerra, la finanza degli armamenti
Siamo abituati a considerare i conflitti globali come un problema grave ma lontano da noi. Forse non immaginiamo, però, che spesso le armi con cui queste guerre si combattono sono finanziate dagli istituti di credito a cui affidiamo i nostri risparmi. Per prenderne coscienza cominciamo dalla lista nera delle banche italiane coinvolte nel mercato degli armamenti.
di Francesco Bevilacqua
I veicoli militari, le armi, le munizioni con cui si armano i protagonisti di questi conflitti provengono in buona parte proprio dall’Italia
Apparentemente si tratta di situazioni che tutti noi italiani, noi occidentali, sentiamo lontane. Magari siamo un po’ più in apprensione per ciò che succede nei Balcani o in Tunisia, per via della vicinanza territoriale; oppure seguiamo con maggiore interesse le vicende delle repubbliche ex sovietiche, del Kosovo e dell’Albania o del Darfur e della Nigeria, perché sappiamo che molti degli esuli e dei rifugiati che scapperanno da quei posti si dirigeranno verso la nostra penisola. In generale però quello delle guerre è un problema che seguiamo con un certo distacco, che pensiamo non ci riguardi, che sentiamo lontano. In realtà è più vicino di quanto possiamo immaginare.
In che termini? È molto semplice: i veicoli militari, le armi, le munizioni con cui si armano i protagonisti di questi conflitti provengono in buona parte proprio dall’Italia. E c’è di più: per alimentare un giro di denaro che nel 2009, nell’Unione Europea, ha superato i 40 miliardi di euro, di cui 6,7 nel nostro paese, c’è bisogno di un sistema di intermediazione finanziaria ben strutturato e di notevoli dimensioni. Chi credete che costituisca questo sistema? Proprio le banche commerciali a cui bene o male tutti quanti ci appoggiamo per gestire i nostri risparmi, da Unicredit all’Unione Banche Italiane, dalla Popolare di Milano a BNP Paribas. Ma entriamo nel dettaglio.
Il governo annualmente ha il compito di rilasciare autorizzazioni alle ditte produttrici e alle banche che intendono finanziare le operazioni commerciali
La relazione prosegue con un discorso che si destreggia abilmente fra richiami al famoso articolo 11 della nostra costituzione – l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali… – e la necessità di mantenere buoni rapporti con i paesi con cui ci relazioniamo (anche quelli in guerra), fra la messa al bando di determinati tipi di armi – chimiche, biologiche, nucleari o idonee alla manipolazione dell’uomo e della biosfera – e i già citati aspetti di politica estera, di difesa, di sicurezza di carattere tecnologico e industriale. Per farla breve, effettuate le dovute valutazioni sull’argomento in generale e sui casi specifici, il governo annualmente ha il compito di rilasciare autorizzazioni alle ditte produttrici e alle banche che intendono finanziare le operazioni commerciali.
Vizi Capitali ha stilato un elenco che analizza l’attività di tutte le banche commerciali italiane nel settore degli armamenti
Alcuni istituti tuttavia sono andati oltre: Banca Etica per esempio non ha mai finanziato attività collegate al traffico di armi, mentre il gruppo Montepaschi ha attuato la stessa politica a partire dal 2000. La banca di Credito Cooperativo risulta assente dal settore a eccezione di Banca di Bientina e Credicoop di Cernusco sul Naviglio, che anche nell’ultimo anno ha investito più di 5 milioni. Il Credito Emiliano non partecipa a operazioni 'armate', però ha finanziato con quasi 900.000 euro il consorzio che realizzerà la nuova base americana di Dal Molin, a Vicenza.
Bisogna però rilevare che quasi tutte queste banche, a eccezione della Banca Etica, investono in titoli di aziende come Daimler, Siemens, Raytheon o Lokheed Martin le quali, pur non producendo direttamente armi, forniscono componenti per ordigni quali cluster bombs, mine antiuomo e armi nucleari. Inoltre sono coinvolte nella partecipazione a Finmeccanica, attraverso delle quote o grazie a una specifica linea di credito di 2,4 miliardi di euro di cui ha beneficiato la holding il cui maggior azionista è lo Stato italiano attraverso il Ministero dell’Economia. Per chi non lo sapesse, nel 2009 il gruppo Finmeccanica si è posizionato all’ottavo posto a livello mondiale fra i produttori di beni militari.
Tra le banche coinvolte nel mercato degli armamenti, il triste primato è detenuto dal gruppo UBI Banca
Da diversi anni Unicredit sta modificando la propria posizione nei confronti del commercio di armamenti, muovendosi timidamente verso un regime più restrittivo; ciononostante, nel 2009 sono 146 i milioni di euro investiti, a cui va sommata la grave macchia di essere stata iscritta nella lista stilata dalla ONG Netwerk Vlaanderen che prende in esame 121 istituti di credito accusati di aver finanziato operazioni di palese violazione dei diritti umani, prima fra tutte la feroce campagna repressiva in atto in Birmania. Altre banche che ottengono regolarmente autorizzazioni a operare nel settore degli armamenti sono la Popolare di Milano, il gruppo Intesa San Paolo e Cariparma.
Il sito Vizi Capitali suggerisce alcune contromisure da adottare nel caso in cui scoprissimo di appoggiarci a una banca che finanzia il commercio di armi. Prima di tutto, promuovere un’adeguata pubblicizzazione della 'lista nera' che abbiamo esaminato e sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti del problema. E poi, perché non parlare direttamente con la banca, partendo dal direttore della filiale che frequentiamo, per esporgli la questione, confrontarsi e provare a cambiare la posizione dell’istituto stesso nei confronti del problema?
Abbiamo visto quanto il dramma dei conflitti globali sia vicino a noi, ben più di quanto siamo abituati a pensare. Se però c’è un lato positivo in tutto ciò, è che un impegno da parte nostra a cambiare le cose può partire dalla quotidianità, dal piccolo e dal locale. Certamente il compito è arduo, ma senza muovere il primo passo è impossibile cambiare la situazione.
Commenti
Posta un commento