La centrale solare spaziale europea si farà nel 2020

L’agenzia spaziale giapponese Jaxa ha annunciato che nel 2030 lancerà nello spazio 4.000 m2 di pannelli fotovoltaici alla distanza di 36.000 Km dalla Terra per dare vita alla più grande centrale solare spaziale.
Già nel 2020, tra poco meno di 10 anni, la società spaziale europea, la Eads Astrium 2, lancerà nello spazio una prima centrale spaziale orbitante nello spazio, ma più piccola di quella giapponese.
Dunque l’idea pioneristica lanciata nel 1973 dall’ingegnere USA Peter Glaser sta diventando realtà e tra una decina di anni potremo produrre energia pulita utilizzando centrali solari nello spazio.
Nello spazio l’energia solare è molto più potente di quella che giunge nella nostra atmosfera, 1.371 watt/m2 contro i 170 W/m2 sulla Terra e, ora che
I limiti tecnologici di 40 anni fa non esistono più
come ha affermato l’americano John Mankins, allora responsabile del primo progetto solare spaziale negli anni ’70, è giunto il momento di progettare una struttura gigantesca che possa contenere i pannelli solari su un’orbita geostazionaria. Per far arrivare l’energia solare sulla Terra e trasformarla in energia elettrica, ci sono due possibilità, ancora da valutare. La prima è quella progettata da Glaser nel 1973 e tuttora valida: convertire l’energia solare in onde radio dalla lunghezza di 15 cm, come quelle generate da un forno a microonde, che attraversino l’atmosfera terrestre e alimentino tutte le aree del pianeta, ad ogni latitudine. Questa soluzione comporterebbe la realizzazione di un impianto con una massa di 10.000 tonnellate e una superficie di 4.000 m2 e due grandi collettori a specchio in grado di catturare i raggi solari e dirigerli verso una piattaforma circolare dal diametro di 1 km. In questa piattaforma le celle solari convertiranno l’energia luminosa in elettricità, da mandare sulla Terra sottoforma di fascio di microonde attraverso antenne che comunicheranno con altre antenne dislocate sulla Terra e distribuite agli abitanti di tutto il mondo.


I primi test effettuati da Mankins nel 2008 nelle isole Hawaii hanno dimostrato che è possibile trasmettere l’energia solare attreverso l’atmosfera terrestre, ma occorre l’impiego di antenne enormi nello spazio, con un diametro di almeno 1 km, e ancora più grandi sulla Terra, con almeno 10 km di diametro. La difficoltà di testare questa soluzione, ha permesso di pensarne una seconda: trasmettere l’energia attraverso un fascio di laser a infrarossi. Il laser necessita difatti di antenne piccole, avendo una lunghezza d’onda 100.000 volte più piccola, fino a 1,5 micrometri. Questa soluzione è dunque la più auspicabile in quanto si può testare in laboratorio, con minori costi e pericoli. Di test ne sono stati fatti e la tecnologia è già disponibile. Nel 2009 è stato lanciato dal gruppo Eads Astrium un telescopio spaziale con uno specchio di 3,5 m di diametro, in grado di focalizzare il laser e inviarlo sulla Terra, dove verrà ricevuto da pannelli fotovoltaici e trasformato in energia pulita. Come spiega Stephen Sweeney, il ricercatore che sta lavorando al progetto
L’obiettivo è di arrivare all’80% di rendimento delle celle fotovoltaiche, contro il 40% oggi raggiunto dai migliori laboratori mondiali.
Ma c’è un problema non facilmente risolvibile: la luce a infrarossi oltrepassa con difficoltà le nuvole. E poi ci sono i costi. Lanciare sullo spazio in orbita geostazionaria degli oggetti costa 4 euro al grammo, dunque per una centrale solare spaziale di almeno 10.000 tonnellate occorrono circa 40 miliardi di euro. Come ha messo in evidenza uno studio realizzato per il Centro aerospazionale tedesco (Dir), il costo di una centrale laser da 22 gigawatt sarebbe di 120 miliardi: 5,5 miliardi a GW contro gli 1,5 a GW dell’energia prodotta dal nucleare, ma l’investimento spaziale si ammortizzerebbe in 30 anni, non avrebbe costi, ed effetti sulla salute, per lo stoccaggio delle scorie, e poi si tratta di energia pulita.
[Fonte: Adnokronos]

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