Fotovoltaico nei campi, è allarme speculazioni


Cresce il rischio speculazione sul fotovoltaico. Sul territorio si sta, infatti, diffondendo il fenomeno dell’affitto di terreni agricoli per realizzarvi grandi impianti fotovoltaici che finiscono per danneggiare l’esercizio dell’attività agricola stessa e lo sviluppo sostenibile del territorio.
A questo proposito, infatti, si raccolgono segnali preoccupanti un po’ dappertutto, seppur in maniera non omogenea tra le diverse Regioni. Un caso emblematico, è quello della Regione Puglia, dove l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell’Ambiente (Arpap) ha comunicato ai competenti uffici regionali di formulare “parere contrario” ad ogni nuovo insediamento di impianti di generazione di energia da fonte solare in ambito agricolo.
Ciò fino a quando non siano stati definiti approfonditi ed esaustivi studi di valutazione di alcuni elementi di forte criticità e l’Autorità competente non abbia provveduto ad una programmazione attenta in questo ambito. Si tratta di impianti che spesso hanno una potenza tale da dover impegnare grandi superfici agricole, nonostante l’uso dei terreni dovesse rappresentare – nelle intenzioni del Legislatore – una alternativa secondaria rispetto all’uso di superfici più idonee, come, ad esempio, i capannoni industriali e le discariche in fase post operativa.
Secondo l’Arpa Puglia, le stime relative alla potenza installata e alla superficie agricola regionale occupata (nel 2009: 738,323 MW installati per una superficie agricola totale di 2.214 ettari) dimostrano come il fenomeno, in virtù dei suoi effetti cumulativi, possa determinare un impatto ambientale decisamente rilevante. Gli effetti cumulativi a cui si fa riferimento sono, ad esempio, la perdita di permeabilità alla penetrazione di acque meteoriche, con conseguente concentrazione di queste nei punti di scolo delle superfici dei pannelli solari, che potrebbe determinare fenomeni idrogeologici non sottovalutabili, fra i quali un rapido ed elevato deflusso superficiale.
Questi, interessando aree di una certa vastità, potrebbero indurre alterazioni dei processi di ricarica della falda, nonché quelli alluvionali e di erosione da essi dipendenti. Un altro fattore cui fare riferimento è, ad esempio, la depressione dell’attività biologica associata alla perdita costante di irraggiamento delle aree ombreggiate dai pannelli che non viene compensata dall’apporto di sostanza organica e nutrienti del ciclo biologico della biomassa vegetale ed animale sovrastante, né dalle buone prassi agricole, se queste non sono appositamente previste da appositi piani di gestione, con la conseguente accelerazione di fenomeni di desertificazione, i quali, a loro volta, vanno ad incrementare i fenomeni di disequilibrio idrogeologico.
Ed ancora, aspetti importanti attengono all’effetto microclimatico, alla produzione di ingenti quantitativi di rifiuti nelle fasi di smantellamento di tali impianti, agli effetti sulla fauna avicola acquatica migratoria, a quelli derivanti dalla necessaria infrastrutturazione di trasporto dell’energia.
Rispetto alla diffusione di investimenti speculativi che possono concorrere al fenomeno più generale della perdita di superficie agricola coltivabile, è possibile individuare strumenti utili di contenimento nell’ambito dei requisiti specifici richiesti dalla disciplina della connessione con l’esercizio di attività agricole e dalla necessaria compatibilità con strumenti di pianificazione urbanistica, territoriale e paesaggistica.
Sotto il primo profilo, la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili fotovoltaiche, effettuate da imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell’art. 2135, terzo comma, del codice civile, e si considerano produttive di reddito agrario. In particolare, l’Agenzia delle entrate, attraverso la circolare n. 32/E del 6 luglio 2009, ha evidenziato che la produzione di energia da fonte fotovoltaica, a differenza di quella derivante da fonti agroforestali, in virtù dell’installazione di specifici impianti (pannelli fotovoltaici) in grado di convertire le radiazioni solari in energia elettrica o calorica, non richiede l’utilizzazione di prodotti provenienti dal fondo.
La produzione di energia fotovoltaica è, tuttavia, considerata attività agricola “connessa” in quanto esercitata nell’ambito di un’impresa che disponga di terreni coltivati e distinti in catasto con attribuzione di reddito agrario. A tali fini, però, devono essere rispettati specifici parametri dimensionali.
Tra questi, si considera attività connessa la produzione di energia derivante dai primi 200 Kw di potenza nominale complessiva e, nel caso in cui l’impianto abbia una potenza nominale superiore a 200 Kw, la produzione di energia si considera connessa a condizione che sussistano specifici requisiti (entro il limite massimo di 1Mw [per ogni 10 Kw di potenza eccedente la franchigia di 200 Kw è necessario servirsi per l’attività agricola di almeno 1 ettaro di terreno]; la produzione di energia è ottenuta utilizzando impianti con integrazione architettonica ovvero con impianti parzialmente integrati; il volume d’affari relativo all’attività agricola, esclusa la produzione di energia, deve essere superiore al volume d’affari della produzione di energia fotovoltaica eccedente i 200 Kw, al netto della tariffa incentivante).
Peraltro, è precisato, nella medesima circolare, che i terreni di proprietà dell’imprenditore agricolo o, comunque nella sua disponibilità, devono essere condotti dall’imprenditore medesimo ed essere ubicati nello stesso comune ove è sito il parco fotovoltaico, ovvero in comuni confinanti.

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