Giuslavoristi in rivolta: “Stop alla controriforma”, di G. Vespo

Fermiamo la controriforma del diritto del lavoro
Giuslavoristi in rivolta: “Stop alla controriforma”,
di G. Vespo


Attacco occulto all’art. 18

L’appello è apparso sulle pagine de l’Unità di ieri: «Fermiamo la controriforma del diritto del lavoro ». Il manifesto fa riferimento al disegno di legge 1167-B in esame al Senato e finora sono 106 i giuslavoristi, gli avvocati e i professori, che lo hanno sottoscritto. Nomi pesanti del mondo accademico e politico: da Umberto Romagnoli a Tiziano Treu, passando per Luciano Gallino.
Il testo sembra che parli di tecnicismi per gli addetti ai lavori. Invece tratta temi che riguardano direttamente tutti. Almeno tutti quelli che lavorano, cercano un lavoro o lo cercheranno in futuro. Precari e a tempo indeterminato. In particolare sono due gli articoli messi sotto lente dal manifesto: il 31 e il 32 del suddetto disegno di legge. In soldoni, prevedono due grandi rivoluzioni nel diritto del lavoro: la prima riguarda le controversie tra datore di lavoro e dipendente. La seconda riguarda i tempi per l’impugnazione dei licenziamenti, dei contratti di lavoro a termine o di collaborazione. Il comma nove dell’articolo 31 cancella praticamente il ruolo del giudice del lavoro, e stabilisce che in caso di contenziosi tra il datore di lavoro e il dipendente sia un arbitro a decidere. Come? Attraverso il principio dell’equità, ovvero - secondo chi ha sottoscritto l’appello - «senza il doveroso rispetto di leggi e contratti collettivi». Ma c’è di più: i contratti di cui dovrà occuparsi l’arbitro - che sarà scelto dalle parti -verranno scritti e certificati da apposite commissioni, ovvero da enti bilaterali costituiti da sindacati e imprenditori. E la clausola che stabilisce che le controversie vanno affidate all’arbitro potrà essere aggiunta «anche al momento della stipula del contratto individuale di lavoro».Che vuol dire? Che al giovane che cerca un impiego, l’imprenditore potrà dire: «Ti assumo solo se accetti questa condizione».
E IL GIUDICE? Che fine fa il togato? Secondo l’appello dei giuslavoristi, il giudice, «anche qualora dovesse continuare residualmente a svolgere la propria funzione, vedrebbe depotenziati i propri poteri in quanto limitati al solo accertamento del presupposto di legittimità dei provvedimenti datoriali, escludendo quindi ogni indagine sulla ragionevolezza degli stessi ». In sostanza un timbracarte. Inoltre, continua il testo, «in una materia particolarmente delicata come quella dei licenziamenti, il giudice potrà sentirsi condizionato nella sua autonomia, dovendo tenere conto delle nozioni di giusta causa e giustificato motivo espresse dalle parti in sede di certificazione». Cioè, non dovrà considerare soltanto dei diritti custoditi dal codice civile ma quello che hanno stabilito gli enti che hanno scritto il contratto. Tant’è che l’allarme dei notabili, a questo proposito, aggiunge: «Nozioni che, qualora fossero definite nel contratto d’assunzione, finirebbero per capovolgere i fondamentali del diritto del lavoro, nato per tutelare il contraente debole nel rapporto di lavoro ». Insomma, è chiaro chi fa le spese di questa impostazione: «Il risultato è quello di lasciare il lavoratore ancora più solo nella “libera” dinamica dei rapporti di forza con il datore di lavoro, cui viene attribuita la facoltà di deroghe peggiorative rispetto a leggi e contratti collettivi». «Si tratta di un tentativo rozzo di modificare lo Statuto», riassume il professore Umberto Romagnoli. A questo va aggiunto che, con l’ultima legge Finanziaria, sono state introdotte delle spese a carico del lavoratore che voglia ricorrere ai giudici. «Contributi» che possono arrivare fino a 500 euro. «In buona sostanza, il governo - si legge sempre nell’appello - pur omettendo di intervenire sull’articolo 18(contro la cui abolizione scesero in piazza 3milioni di persone, ndr) mira a svuotare dall’interno l’impianto normativo di tutela dei lavoratori ».
G.Vespo
L’Unità 21.02.10

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“Torniamo indietro di almeno cento anni”

Umberto Romagnoli, professore emerito di Diritto del lavoro all’Università di Bologna, lei è il primo firmatario dell’appello «Fermiamo la controriforma del diritto del lavoro». Perché ha aderito a questa iniziativa? «Perché è un disegno di legge pericoloso. È un tentativo rozzo ma insidioso di mangiucchiare l’edificio normativo dello Statuto dei lavoratori e dell’articolo 18. Non credo che diventerà legge, ma se lo fosse sarebbe un passo indietro di cento anni. Un ritorno ai probiviri,un modo per fare tabula rasa dei diritti e delle situazioni giudiriche soggettive di un secolo». Ci spieghi perché. «È semplice . È previsto che il lavoratore possa essere assunto con contratti scritti e certificati da appositi enti bilateri, composti da rappresentanti sindacali e imprenditoriali. In questi contratti può essere inserita una clausola che prevede che in caso di controversie le parti si debbano rivolgere ad un arbitro e non al giudice del lavoro. Questo arbitro potrà prendere le sue decisioni sulla base del principio di equità, ovvero a sua discrezione, depotenziando i diritti scritti. Inoltre, se l’arbitro dà ragione al datore di lavoro, il lavoratore non può fare appello al giudice ordinario». Sono novità assolute? «No. L’esperienza dell’arbitrato è già presente nel nostro ordinamento, ma in tema di lavoro è utilizzata in modo molto marginale. Il lavoratore ha ovviamente più fiducia nel giudice. Stessa cosa si può dire degli enti bilaterali: esistono già, ma hanno altre funzioni». Perché adesso si vuole dare maggior peso a questi istituti? «In questo modo da una parte vengono indeboliti i diritti dei lavoratori, dall’altra si tagliano fuori i giudici del lavoro, che evidentemente danno fastidio. Già nel primo “Libro Bianco” del 2002 sono presenti pesanti giudizi sull’operato di questi magistrati. Un sentimento che ha origini lontane. Vede, con lo Statuto dei lavoratori la giurisprudenza ha cambiato passo: prima era molto arcigna con il lavoratore. A questo proposito, qualcuno ricorderà i cosiddetti pretori d’assalto, quelli che utilizzavano il diritto in favore dei più deboli. Ecco, io penso che ad esempio in Confindustria sia ancora vivo questo ricordo, come un’immagine negativa. E tutto questo si traduce in un orientamento generale che può essere visto come punitivo nei confronti delle malefatte dei pretori d’assalto ». Nell’appello che lei ha sottoscritto si fa riferimento anche ad una «gabella » per il lavoratore che vuole rivolgersi ai giudici. Si parla di un contributo, inserito con la Finanziaria 2010, che può raggiungere anche 500 euro. «Anche questo è un segnale dell’inversione di rotta. Finora si è cercato di semplificare e rendere quasi gratuito il processo del lavoro». Che tempi ci sono perché questi provvedimenti diventino legge? «Non lo so. Mi auguro che non lo diventino mai. Ma ci sarà bisogno di un forte ostruzionismo»
L’Unità 21.02.10

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