I ricercatori alla Gelmini: "ora è guerra tra poveri"
Tagli, ruoli e orari: gli Atenei in rivolta contro la legge di riforma
"Dal prossimo anno lasceremo le cattedre vuote e faremo solo ciò per cui siamo pagati: la ricerca". Da una settimana i ricercatori delle università italiane protestano contro il decreto legge Gelmini che riforma gli atenei e anche le loro posizioni. Ma il paradosso è che a causa di una riforma la cui parola d’ordine sarà "tagli", non ci saranno nemmeno i soldi per mandare avanti molti dei loro laboratori. Per questo motivo ieri i rappresentanti del coordinamento nazionale dei ricercatori universitari (Cnru) sono stati al ministero dell’Università e della ricerca per consegnare la loro controproposta, corredata da più di 4 mila firme.
CHI PERDE. Il disegno di legge del ministro per l’Istruzione Mariastella Gelmini prevede infatti l’equiparazione degli obblighi didattici tra professori associati, di ruolo e ricercatori, mantenendo però diversi trattamenti. Fino a oggi i ricercatori potevano fare, a loro discrezione, didattica, fino a un massimo di 350 ore. Con la riforma quel numero diventa il loro limite minimo, come per i professori, a scapito dell’attività di ricerca. E non solo: il disegno di legge prevede che i ricercatori possano essere contrattualizzati a tempo determinato (quindi precari) per un massimo di sei anni. Al termine dei quali dovranno abilitarsi e potranno essere confermati a tempo indeterminato come associati, altrimenti andranno a casa, e alla soglia dei 40 anni dovranno ricostruirsi una vita. In questo modo, quindi, viene cancellata la terza fascia docente e creato un cuscinetto per tutti coloro che ricercatori lo sono già. Marco Marafina, coordinatore del Cnru, è ricercatore dal 1992: "Per me con questa riforma è preclusa qualsiasi possibilità di fare carriera – spiega – per questo motivo abbiamo chiesto che sia valutata la nostra professionalità e vengano trasformati in associati tutti coloro che se lo meritano. Un’operazione a costo zero, perché siamo disposti anche a mantenere lo stipendio, purché ci sia riconosciuto il nostro percorso". Per il Cnru (Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari) se il ministero rifiutasse questa proposta, attuerebbe un disegno che, deliberatamente, programma il fallimento delle carriere di 26 mila docenti, non essendoci un piano credibile di concorsi in atto e finanziamenti adeguati. “Del resto – continua Marafina – non si può continuare ad accettare che alla maggior parte dei ricercatori sia impedito, per mancanza di soldi, di progredire nella carriera".
I CONCORSI. La protesta è partita autonomamente dagli atenei di Napoli, Torino e Cagliari. "Il disegno di legge – dice Davide Levy, rappresentante dei ricercatori delle facoltà scientifiche di Torino – innesca una sorta di guerra tra poveri, trasformando il tempo indeterminato in un contratto di tre anni più tre. In questo modo anche i ricercatori a tempo indeterminato verranno penalizzati, visto che avranno una forte concorrenza per il posto da associato. Il quadro si fa ancor più drammatico se si considerano il taglio dei finanziamenti e il blocco dei concorsi". A Parma la protesta ha trovato l’appoggio dell’istituzione: "Il rettore, Gino Ferretti, si è trovato in accordo con noi e si è impegnato a portare la questione sul banco del senato accademico e fino a Roma, alla conferenza dei rettori – spiega Armando Vannucci , ricercatore in ingegneria – i due commi più vessatori sui quali ci concentriamo sono proprio quello dell’obbligo della docenza e quello sulla chiamata diretta che introdurrà una differenza sostanziale tra nuovi e vecchi precari". Il problema infatti non riguarda solo i 26 mila ricercatori strutturati dell’Università, ma anche circa 50 mila precari. Senza considerare i 38.985 docenti a contratto che potrebbero essere reclutati per sopperire alla mancanza di offerta formativa: "La proposta dei ricercatori, di trasformare tutti in docenti di seconda fascia, non ci trova d’accordo" spiega Ilaria Agostini, una ex docente a contratto fiorentina, che quest’anno ha rifiutato la convenzione perché non veniva pagata. "Vorrei che ci fosse più solidarietà tra di noi su questi temi – continua Ilaria – perché come docenti a contratto non acquisiamo nessun diritto e rischiamo di restare precari a vita. Per questo lavoro siamo pronti ad accettare tutto, ma addirittura il volontariato coatto, come mi è stato proposto quest’anno, è troppo".
Da il Fatto Quotidiano del 25 marzo
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