ISRAELE, VOTO CONTRARIO ITALIA A COMMISSIONE D'INCHIESTA VERGOGNOSO. FRATTINI SI DIMETTA.

Il voto dell'Italia, che rifiuta l'istituzione di una commissione
d'inchiesta voluta da una risoluzione del Consiglio dei diritti umani
dell'Onu per l'istituzione di una 'missione di inchiesta'
internazionale sul blitz israeliano contro la flottiglia diretta a
Gaza, è vergognoso e inaccettabile. Il voto contrario dell'Italia la
rende corresponsabile della strage. Perché è complice, e dunque
colpevole, di chi non vuole fare piena luce sull'accaduto. Ora il
ministro degli Esteri Frattini, che ha voluto quel voto contrario, si
dimetta.
 
Il delirio guerrafondaio di Vittorio Feltri


News image«Israele ha fatto bene a sparare». Vittorio Feltri titola così, a nove colonne, Il Giornale di ieri. E accompagna il suo personale, macabro epitaffio, dedicato ai pacifisti massacrati dai marines israeliani, con un editoriale semplicemente indecente, dove il cinismo varca soglie impensabili, sino ad assumere le proporzioni di un vero e proprio delirio guerrafondaio. Questo dottor Stranamore della carta stampata si avventura in un ragionamento che si dipana secondo la seguente catena causale: Hamas è un movimento terroristico, a sua volta colluso con paesi che meditano e progettano la distruzione di Israele per mezzo di un bombardamento atomico; ergo, chi porta aiuti umanitari alle popolazioni palestinesi, in realtà «fa il tifo per chi tenta di cancellare la patria degli ebrei»; convincere con le buone i pacifisti è però una passione inutile: «sparare è più persuasivo»; e poi, se i pacifisti flirtano con i terroristi vuol dire che «tanto pacifisti non sono, semmai complici dei seminatori di morte». Dunque, secondo Feltri, quanti hanno cercato di sbarcare a Gaza per alleviare le sofferenze di un popolo intero segregato stremato, umiliato, privato di ogni diritto nell’indifferenza del consesso internazionale, se la sono andata a cercare: imparino ad «occuparsi dei casi propri», così non ci sarebbero più le guerre e nemmeno i pacifisti».
Qualche settimana fa, durante il sequestro dei tre operatori di Emergency da parte del governo afghano di Karzai, in un dibattito televisivo, Edward Lutwak, uomo molto prossimo alla Cia, esprimeva un concetto analogo, sostenendo che se si cura anche il nemico questo poi torna a combattere, per cui chi svolge quest’opera apparentemente meritoria non fa che lavorare per il protrarsi della guerra.
La logica binaria che domina i pensieri e le azioni degli uomini come Feltri, per cui il mondo si divide rigorosamente in amici e nemici, porta alla ferrea conclusione che una volta scelto il campo in cui stare, l’altro deve essere annientato. Ed ogni nefandezza è autorizzata, perché riscattata da quella primitiva scelta. Non esiste possibilità di dialogo, né contano le ragioni e i torti, né giustizia, né umanità. Perché tutto è stabilito a monte, dall’appartenere ad un campo. Ed è piuttosto chiaro a quale campo Feltri appartenga. Per lui, che il popolo palestinese viva costretto in un carcere a cielo aperto, che sia sottoposto ad uno spietato embargo, che un vergognoso muro ed innumerevoli posti di blocco abbiano reso un gruviera il territorio dove esso popolo dovrebbe vivere sovranamente, che la proliferazione degli insediamenti dei coloni israeliani stia di fatto annettendo ogni spazio vitale, che si stia perseguendo la criminale strategia di una negazione in radice della questione palestinese e che perciò tutti gli accordi internazionali siano da decenni violati (e restino impuniti) è cosa del tutto irrilevante. Quello che Feltri e gli uomini della sua filigrana non riusciranno mai a capire è che la paranoia - se provvista di soverchiante forza militare - diventa, in seconda battuta, una pulsione autodistruttiva, che nel perseguire l’annientamento dell’avversario, trasformato in irriducibile nemico, trascina inesorabilmente verso la comune rovina. Ma Feltri e il suo foglio sarebbero ben misera cosa se convinzioni e comportamenti simili, ipocritamente dissimulati, non fossero così diffusi nei governi, nelle segreterie di Stato, nelle diplomazie dei potenti del mondo.

di Dino Greco
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