L'Aquila, le CASE di Berlusconi non sono ecologiche

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Alle polemiche legate al rischio idrogeologico della New Town aquilana voluta dal governo Berlusconi dopo il terremoto, si aggiunge ora un'analisi di Legambiente che svela come il progetto non sia sostenibile neanche dal punto di vista ambientale, a causa dell'eccessiva dispersione energetica. Eppure soluzioni alternative erano possibili, come dimostra l'esperienza di Pescomaggiore.

di Andrea Degl'Innocenti

New Town
È sempre più evidente che la scelta di costruire una nuova città è stata dettata da interessi economici e non dalle immediate necessità della popolazione terremotata
Le grane continuano per le "New Town" tanto volute dal governo Berlusconi come rimedio alle devastazioni del terremoto aquilano del 2009. Dopo l'allarme riguardante il rischio di dissesti idrogeologici, un'inchiesta di Legambiente svela che il progetto in questione, che vantava fra le sue caratteristiche principali una particolare attenzione all'ambiente, presenta in realtà molti aspetti critici anche da questo punto di vista, con le pareti delle case che disperdono gran parte del calore interno.
D'altronde cosa ci si poteva attendere da un progetto nato per cavalcare l'onda della shock economy, l'economia dei disastri? Il progetto C.A.S.E. fortemente voluto dal governo Berlusconi rifletteva appieno il meccanismo teorizzato dalla giornalista canadese Naomi Klein: si attende il verificarsi di un disastro, siestromette completamente la popolazione dalla ricostruzione, dopodiché si aprono i rubinetti delle finanze pubbliche – 809 milioni di euro, in questo caso attraverso la Protezione Civile di Bertolaso – ma non per costruire un solido sistema di aiuti, bensì per appaltare tutta la ricostruzione al settore privato.
E per rendere l'intera popolazione ancora più estranea all'intero processo si evita di costruire sul costruito, di ristrutturare e recuperare ciò che già esiste, ma si riparte da zero: si erige unacittà tutta nuova – o meglio una New Town, per usare un'espressione anch'essa estranea alla cultura locale -, del tutto impersonale e priva di storia, magari già progettata in precedenza e pronta ad essere inserita in qualsiasi contesto.
Ma, come dicevamo in apertura, le case costruite su queste fragili fondamenta inevitabilmente non sopravvivono a lungo. Anche se sono antisismiche. Già verso metà maggio il video che proponiamo qui sotto aveva fatto emergere il rischio concreto di dissesti idrogeologici nella zona costruita.
Adesso è Legambiente a svelare altre contradizioni. L'inchiesta fa parte dell'iniziativa “Tutti in classe A”, una campagna promossa dall'associazione ambienatalista sull'efficienza energetica degli edifici. Ecco cosa si legge nel rapporto:
“Le termografie (fotografie a infrarossi delle pareti) realizzate dai tecnici di Legambiente nell’ambito della campagna sull’efficienza energetica degli edifici ‘Tutti in classe A’, su tutte e 16 le tipologie di edifici costruiti nell’ambito del Progetto C.A.S.E. distribuiti nelle 19 aree di intervento, hanno rilevato in sette tipologie di edificidiverse criticità rilevanti nella tenuta termica delle superfici opache esterne. Queste sette tipologie, e i relativi difetti, riguardano 85 edifici localizzati nelle frazioni di Sant’Elia, Tempera, Bazzano, Paganica sud, Paganica 2, Roio Poggio, Assergi, Coppito, Sant’Antonio, Camarda, Gignano, Cese di Preturo.”
In pratica le foto termografiche realizzate dai tecnici dell'associazione hanno evidenziato alcune zone più rosse ed altre più blu. Segnale inconfondibile del fatto che l'isolamento delle superfici non è omogeneo e si verificano notevoli dispersioni di calore. Le temperature interne variano fra i 3 e i 6 gradi e le dispersioni si accentuano in corrispondenza di pilastri, solai, balconi e nelle superfici di tamponamento.
“Tutti problemi – si legge nel rapporto – riconducibili a difetti di progettazione e di costruzione, di scelta dei materiali e di messa in posa. Se questi edifici fossero stati controllati con attenzione e sottoposti ad analisi tipiche dei protocolli di certificazione, questi errori si sarebbero potuti evitare”.
Eppure le alternative esistevano, eccome. È sempre più evidente che la scelta di costruire in fretta e furia una nuova città, con tutte le sue inevitabili contraddizioni, è stata dettata da interessi puramente economici, e non dalle immediate necessità della popolazione terremotata.
Altrove dove si sono prese misure differenti, anche i risultati sono stati notevolmente diversi. Basti pensare a Pescomaggiore, un paesino dell'aquilano in cui gli abitanti, coadiuvati da un gruppo di architetti e di volontari, sono stati coinvolti attivamente nella ricostruzione. La catastrofe si è così trasformata in un modo per far rinascere i rapporti fra individui e quel senso di comunità che in molti luoghi si è andato perdendo negli anni, con l'avvento dell'era moderna e di quella post-moderna.

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