Amen.


Parlano di antipolitica se osi alzare la voce perché in manovra i tagli riguardano tutti tranne loro. Si dichiarano «vittime di una gravissima campagna d’odio, giustizialista e giacobina» se ricordi i loro privilegi. E in Aula per difendersi citano Einstein: «Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato».
Loro, che pensano di avere i titoli per anteporre agli sperperi «la consapevolezza della dignità della politica», avevano fatto ricorso a un’ultima, disperata mossa per tenere a bada le folle affamate. Era stato Roberto Calderoli, al solito, a trovare il coraggio di dire ciò che a molti muore sulle labbra: «Davanti a una crisi come quella che stiamo affrontando credo che la politica non abbia il diritto di andare in ferie», ha affermato il 31 luglio. Per cui «propongo: cancelliamo le ferie d’agosto».
Due ministri avevano immediatamente abboccato. Non mossi da demagogia e antipolitica, certo, ma dalla «consapevolezza della dignità della politica». Che «quest’anno potrebbe evitare di andare in ferie», argomentava Saverio Romano. Del resto, «Chi ha deciso di dedicare un periodo della propria vita al servizio del Paese non avrà certamente problemi a rinunciare a una estate in Paesi lontano per fare vacanze pendolari e a mezzo tempo incrementando così il turismo-pendolare nelle nostre coste e nei nostri monti». In breve: «Camere e ministeri devono rimanere aperti anche ad agosto». Più realistica la valutazione di Paolo Romani: le ferie? «Non dureranno più di 15 giorni, siamo sempre pronti».
Domenico Scilipoti, re dei peones, si era situato nel mezzo: «I parlamentari lavorano per tutto il periodo dell’anno, se ci dovesse essere un fermo di una settimana e si cominciasse a lavorare subito dopo il 15 non c’è nessuna difficoltà». E l’opposizione aveva accettato di buon grado l’assist per rifarsi un look presentabile. Italo Bocchino, per esempio, il primo agosto dettava alle agenzie: «Maggioranza e opposizione dovrebbero mettersi a un tavolo, si dovrebbero fare gli Stati Generali dell’economia. Sarebbe bello se tutti insieme, il Parlamento, il Governo, le parti sociali, annunciassero che non vanno in vacanza e si facessero 15 giorni di Stati Generali». E il leader del Terzo Polo, Pier Ferdinando Casini, concordava: «Se c’è bisogno non andiamo in vacanza. E comunque siamo pronti: una chiamata e torniamo a Roma».
Loro, i dignitari della politica, i fustigatori del populismo e della menzogna («chiediamo almeno conviva con la verità», gridavano oggi in Aula tra gli applausi), si sono poi scontrati nuovamente con la realtà. La loro realtà. E così quando qualcuno nel Pd ha provato timidamente a prenderli sul serio, proponendo di accorciare il periodo di vacanza di una settimana, si sono ricordati che le loro promesse non valgono nulla. E che le comodità suonano male più a pronunciarsi, che a sdraiarcisi dentro.
E così gentilmente, senza grandi discorsi sulla «solidità del sistema democratico», hanno obiettato che no, non è possibile stare in vacanza solamente dal 3 agosto al 5 settembre mentre il mondo, e il Paese in particolare, sbandano paurosamente sotto una coltre di incertezza e regresso: perché loro, le «vittime», devono andare a espiare a centinaia in Terra Santa, in pellegrinaggio. Lo fanno tutti gli anni dal 2004, del resto. Pagando di tasca loro: ben 1.500 euro a testa. Dodici mesi fa erano addirittura 170. E poi, a sentire il cappellano di Montecitorio, monsignor Lorenzo Leuzzi, sarà un «viaggio bipartisan». Chi siamo noi per impedire loro di rendere omaggio a Dio?
Fabrizio Cicchitto deve avere pensato qualcosa di simile quando, fugato alfine il dubbio metodico, ha espresso il risultato delle sue meditazioni: «Per rispetto verso di loro abbiamo ritenuto di iniziare le sedute dell’Aula la settimana successiva». Rispetto, ho proprio detto rispetto, deve avere pensato, immediatamente dopo.
E infatti, nel silenzio delle opposizioni che avevano disfatto i bagagli solo a parole, pronto è sceso il castigo di Paola Binetti, Udc. «Cicchitto si sbaglia e le sue affermazioni sono gravi». Perché fa parte di una maggioranza di cui tre ministri soltanto due giorni prima avevano spergiurato non ci sarebbero state vacanze per la politica? Niente affatto: «I primi giorni di settembre sono sempre destinati alle feste di partito. Da sempre», ha detto a Radio 24, «il pellegrinaggio avviene alla fine delle ferie e non all’inizio dell’attività politica».
Altro che coerenza. Altro che rispetto. Quello che conta è la tradizione, meglio se divina. I cittadini, dai loro posti di lavoro, capiranno di sicuro. Amen.

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