La repressione in Libia si fa con armi italiane

Michele Sasso
Finmeccanica è il principale fornitore del regime di Gheddafi. Sono stati venduti aerei e veicoli terrestri, sistemi missilistici e sistemi di protezione e sicurezza per un mercato di 93 milioni di euro nel 2008 e 112 milioni nel 2009, come certificano le Relazioni della Presidenza del Consiglio. Un boom favorito dalla firma del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” siglato nel 2008. E gli elicotteri che in questi giorni sorvolano Tripoli sono del gruppo AgustaWestland.
Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi (Afp)
La repressione con le armi made in Italy. Gli elicotteri che volano nei cieli della Libia nascono alle porte dell’aeroporto lombardo di Malpensa, sede della compagnia del gruppo Finmeccanica AgustaWestland. Tra Roma e Tripoli c’è dunque la holding Finmeccanica (che smentisce la vendita di elicotteri da combattimento) e i rapporti di forza del colosso controllato dal ministero dell’Economia che ha come secondo azionista il fondo sovrano Lybian Investment Authority controllato dal Governo libico. È infatti l’industria italiana il principale fornitore di armi al regime di Muammar Gheddafi. Sono stati venduti aerei e veicoli terrestri, sistemi missilistici e sistemi di protezione e sicurezza per un mercato di 93 milioni di euro nel 2008 e 112 milioni nel 2009.
Un vero e proprio boom negli ultimi due anni favorito dalla firma del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” siglato nel 2008. Ecco le Relazioni della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni militari verso il Paese di Gheddafi. Nel rapporto 2006 (tabella P) sono citati aeromobili per 14.970.000 euro, ancora aeromobili e veicoli terrestri nel rapporto 2007 per 56 milioni di euro (tabella 18), e successivamente anche bombe, siluri, razzi, missili e accessori e apparecchiature per la direzione del tiro per oltre 93 milioni (rapporto 2008, tabella 15) e nel 2009 si sono aggiunte apparecchiature elettroniche e per la visione di immagini per altri 111 milioni (rapporto 2009, tabella 15).
Nelle corpose Relazioni annuali si legge dell’altro: nel 2006 è stata autorizzata l’esportazione a Tripoli di due elicotteri AB109 militari dell’AgustaWestland del valore di quasi 15 milioni di euro. Nel 2007 sempre l’azienda che fabbrica elicotteri ha incassato 54 milioni di euro per l’ammodernamento degli aerei CH47. Nel 2008 è stato dato il via libera per l’esportazione di otto elicotteri A109 per 59,9 milioni di euro e sempre per le controllate Finmeccanica, Agusta e Alenia Aeronautica, per un aereo da pattugliamento marittimo del valore di 29,8 milioni di euro. Nel 2009 altri due elicotteri per circa 24,9 milioni di euro e quasi 3 milioni per «ricambi e addestramento» per velivoli F260W della Alenia Aermacchi, ma anche una autorizzazione alla MBDA Italiana, azienda leader a livello mondiale nei sistemi missilistici, per materiali dal valore di 2.519.771 euro. Ma anche più di 2,2 milioni di euro per «ricambi e addestramento» dei velivoli F260W della Alenia Aermacchi: la Libia infatti possiede circa 250 aerei di questo modello.
«Questi velivoli – spiega Enrico Casale autore dell'inchiesta “Roma-Tripoli: compagni d'armi”- venduti all'Aeronautica libica negli anni Settanta, in Europa vengono utilizzati come addestratori, ma in Africa e America latina sono spesso impiegati come bombardieri. Ne erano stati acquistati 240, oggi non si sa quanti siano in servizio. E nel 2006 un certo numero di questi velivoli sono stati ceduti alle forze armate ciadiane che li hanno utilizzati per bombardare i ribelli sulle frontiere con il Sudan». Nella sua inchiesta il giornalista del mensile Popoli spiega come Finmeccanica e la Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti il 28 luglio 2009 con un nuovo accordo: si tratta di un’intesa generale attraverso la quale la holding di piazza Montegrappa e il fondo sovrano si impegnano a creare una nuova joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestiranno gli investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani.
Il primo frutto è stato un accordo siglato da Selex Sistemi Integrati - società amministrata dalla moglie dell’ad di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini - e dal governo libico: un contratto da 300 milioni di euro che prevede la creazione di un sistema di «protezione e sicurezza» dei confini meridionali della Libia per frenare l'immigrazione. «I funzionari di Governo italiani - dice Francesco Vignarca, coordinatore della rete disarmo - ci hanno sempre assicurato che le tipologie dei sistemi d’arma venduti in giro per il mondo non potevano essere usati per violare i diritti umani. Ma le notizie degli ultimi giorni ci dimostrano come le repressioni di piazza si possono condurre anche con raid aerei contro i manifestanti».
Una notizia che, se confermata dall’uso di altri armamenti made in Italy, dà valore a quanto la rete per il disarmo (coordinamento di 30 organismi italiani sul tema del controllo degli armamenti) sostiene da tempo: una buona parte dell’export militare italiano è contrario alla legge nazionale (la 185 del 1990) perché non tiene conto delle possibili violazioni di diritti umani e dei grandi squilibri sociali che le compravendite milionarie inducono nei paesi compratori. Anche Amnesty International ha interpellato il Governo. Il segretario Salil Shetty ha scritto al presidente del Consiglio Berlusconi chiedendo «la sospensione della fornitura di armi, munizioni e veicoli blindati alla Libia fino a quando non sarà cessato completamente il rischio di violazioni dei diritti umani».

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