Il governo affossa le rinnovabili italiane

pannelli solari.
Alessandro De Pascale 
 
ENERGIA. Operatori e ambientalisti bocciano il decreto approvato ieri dal Cdm. Assosolare: «È la fine del settore». Per Legambiente «danni già nel 2011». Bonelli dei Verdi: «È un testo truffaldino»
Peggio di così non poteva andare. Associazioni di categoria e ambientalisti bocciano il decreto sulle rinnovabili approvato ieri dal Consiglio dei ministri. «Avrà effetti gravi e dannosi già nel 2011», denuncia Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente. «Il testo rappresenta la fine del settore», aggiunge Gianni Chianetta, presidente di Assosolare. Per gli esperti di Sos rinnovabili, il provvedimento sarebbe inoltre incostituzionale per «eccesso di delega, rispetto a ciò che il governo avrebbe dovuto fare per convertire la direttiva europea» da cui trae origine. Tanto che chiederà al presidente della Repubblica di non firmarlo. Anche se non c’è più il tetto degli 8.000 MW di fotovoltaico entro il 2020, a giugno verrà stabilito un «limite annuale di installazioni». E solo chi connetterà alla rete gli impianti entro maggio, avrà con certezza gli incentivi. Per gli operatori del settore saltano così quelle certezze fondamentali per ottenere i prestiti dalla banche. Tanto che né il ministro dello Sviluppo Paolo Romani né quello dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo sono scesi in sala stampa per illustrare ai giornalisti il provvedimento. Segno del perdurare di possibili frizioni nel governo. La Prestigiacomo nel confermare che «si è parlato a lungo di nucleare e rinnovabili», ha aggiunto che «gli obiettivi del governo sull’energia non cambiano». Nonostante gli attuali incentivi vadano solo «agli impianti fotovoltaici allacciati alla rete elettrica entro il 31 maggio 2011, ossia tra 2 mesi», denuncia il presidente dei Verdi Angelo Bonelli, per il quale «il governo ha sabotato le rinnovabili». Già dal prossimo maggio si potrebbe così «chiudere una fase di incentivi che doveva durare fino al 2013», confermano i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta. Che poi aggiungono: «Il ministro Romani alla prova di intervenire sulla politica energetica, combina un grande pasticcio. Il decreto è peggiore di quello che aveva iniziato il suo percorso a dicembre», anche perché «non sono state accolte le condizioni che il Parlamento aveva posto all’unanimità». E potrebbe essere soltanto l’inizio. Il decreto prevede che entro il 30 aprile verrà stabilito il «limite annuale di potenza elettrica cumulativa degli impianti che possono ottenere le tariffe incentivanti». La Prestigiacomo ha assicurato che per il 2020 l’Italia «raggiungerà l’obiettivo europeo del 17 per cento di rinnovabili». Dovremo anzi «andare anche oltre», perché il nostro Paese «a regime dovrà produrre un quarto dell’energia da fonti rinnovabili». Nonostante i limiti e gli «incentivi a degradare». Nuovi paletti anche per gli impianti fotovoltaici su terreni agricoli. Quelli che occupano oltre il 10 per cento della superficie e superano 1 MW di potenza non avranno più incentivi. Limiti che «non si applicano ai terreni abbandonati da almeno cinque anni». A festeggiare c’è soltanto la Confederazione italiana agricoltori (Cia), che parla di «scelta pro agricoltura che promuove la generazione distribuita», e il ministro Giancarlo Galan: «L’azione più favorevole per il mondo agricolo degli ultimi decenni». Del resto per Galan «le pale al vento nel nostro paesaggio non possono essere tollerate», i grandi parchi fotovoltaici sono «una bestemmia paesaggistica e un insulto all’agricoltura». Lo stop non è andato giù nemmeno a pezzi della maggioranza, perché «taglia le gambe a produttori e investitori della green economy», spiega Marco Pugliese di Forza Sud. Per realizzare un impianto da 1 MW servirà infatti un terreno agricolo di ben 30 ettari: «Cosa alquanto impossibile». L’unica nota positiva è che il decreto ha accolto le richieste degli operatori del solare termico: i nuovi edifici o quelli «sottoposti a ristrutturazioni rilevanti», a partire dal 2013 dovranno utilizzare le rinnovabili per coprire «il 50 per cento dei consumi previsti per l’acqua calda e il riscaldamento».

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