Rifiuti, una voce per tutti

Federico Raponi
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DOC. La Napoli dell’emergenza, da Pianura a Terzigno passando per Chiaiano, è protagonista di Una cosa importante da dire, documentario nato per raccogliere le testimonianze dal basso.
Persone che non hanno avuto voce in capitolo. I referenti di Una Cosa importante da dire di Raffaele Manco sono politici, esperti, tecnici, medici e cittadini come gli autori del dossier “Chiaiano, emergenza ambientale e democratica”, il Collettivo Insurgencia e i comitati popolari. Il documentario, indipendente e senza distribuzione (ha trovato però riscontri all’estero, tipo al Festival del cinema dei Diritti umani di Buenos Aires), «nasce dalla scelta illegale del Governo - dichiara il regista - di aprire una mega-discarica di rifiuti nel mio quartiere, a Chiaiano. Vivevo a Roma, e dalla televisione mi arrivavano notizie differenti, mentre andando lì ho visto un’altra realtà. Il titolo si riferisce proprio alle tante verità non dette». Ad esempio, che discariche abusive e inceneritori hanno prodotto, oltre ai danni ambientali, morte e malattie. «Il Governo non controlla, per questo la Camorra - prosegue Manco - può sversare rifiuti, anche tossici, provenienti dal Nord.

Nella circoscrizione vicino Chiaiano, zona Scampia, molte persone muoiono di tumore causato al 60 per cento da amianto, ed è gente che non vive in costruzioni contenenti questo materiale, né ci ha mai lavorato a contatto». Nell’affrontare il problema dello smaltimento, alcune modalità hanno anche aggravato la situazione. «L’aspetto più scandaloso è che solo dopo aver scelto l’ubicazione della discarica in una cava è stato fatto un piano per verificare se quel luogo la potesse ospitare o meno: prima è stato emesso il decreto legge, poi sono stati fatti i controlli». L’autorganizzazione dal basso e le mobilitazioni, però, da sole non bastano. «Ogni anno a Napoli, da quindici anni a questa parte, viene dichiarato lo stato di emergenza-rifiuti: due anni fa è toccato a Pianura, l’anno scorso a Chiaiano, stavolta a Terzigno. All’inizio la protesta era molto attiva, poi l’esercito ha occupato il territorio, ormai le cave sono presidio militare. In un paio d’anni di lotte i cittadini ci hanno provato in tutti i modi, ma non sono riusciti ad ottenere quello che volevano». Alcune ipotesi di soluzione, comunque, ci sono.

«La prima è la raccolta differenziata, mai cominciata. Nel libro Ecoballe c’è una lettera, agli atti processuali, in cui il presidente dell’ABI Giuseppe Zadra scriveva all’allora presidente della Regione Antonio Rastrelli che a Napoli non dovesse partire, altrimenti gli inceneritori non avrebbero potuto funzionare. Tra le alternative c’è poi anche il trattamento meccanico-biologico, usato all’estero già dalla fine degli anni ‘80, che costa quasi un sesto rispetto alle attuali spese». La piega che prenderà la situazione, però, «dipenderà dalle condizioni culturali, che vengono prima di quelle politiche. Le discariche - conclude l’autore - sono sature di rifiuti provenienti da tutta Italia, e il governo lascia che la Camorra gestisca».

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