Il consigliere Pd e l’incontro con i clan La camorra non guarda in faccia nessuno

Enrico Fabozzi, consigliere regionale del Pd in Campania, viene tirato in ballo da due pentiti. Avrebbe partecipato a un incontro con il clan Bidognetti
Quando ha saputo del suo coinvolgimento nell’inchiesta si è autosospeso dal partito. Enrico Fabozzi, consigliere regionale della Campania, eletto nelle fila del partito democratico viene tirato in ballo nell’ultima indagine che ha portato in carcere 14 persone, tra cui l’ex consigliere regionale Nicola Ferraro, ex Forza Italia e poi Udeur. Nelle carte dell’ordinanza, firmata dal Gip Vincenzo Alabiso ( su richiesta dei pm Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio) spunta anche Fabozzi.

In fondo la camorra non ha mai fatto mistero: il partito non conta, l’importante è fare affari.  A raccontare dell’amicizia tra Nicola Ferraro e Enrico Fabozzi, ex sindaco di Villa Literno, è il pentito Luigi Guida. Guida è stato il reggente del clan, fazione Bidognetti. In un interrogatorio del 2009 il collaboratore di giustizia racconta: “Ferraro, presso la propria abitazione, organizzò un incontro tra il lui ( il Guida) e il neo-sindaco di Villa Literno Fabozzi; Nicola Ferraro prese per primo la parola e fece cenno alla necessità di non procedere al blocco dei lavori pubblici, perché lui e il Fabozzi avrebbero garantito l’aggiudicazione degli appalti a imprese che avrebbero pagato spontaneamente; che Fabozzi, a sua volta, garantì che avrebbe mantenuto per sé la delega per i lavori pubblici”.

A parlare anche un altro pentito: Emilio Di Caterino. Il collaboratore di giustizia sostiene che la testa di maiale recapitata a Fabozzi quando era sindaco fu un gesto deciso dal clan perché i boss si sentirono offesi dal fatto che Fabozzi non volesse incontrarli, pur dicendosi un politico a ‘disposizione’. Non solo, Di Caterino ha raccontato che attraverso l’interessamento di Ferraro, la giunta Fabozzi assegnò un appalto di un milione di euro a una ditta indicata dal clan.

di Tommaso Sodano e Nello Trocchia

Sarà la magistratura a vagliare e riscontrare le parole dei collaboratori, intanto Fabozzi, in una lettera al segretario regionale del Pd ribadisce: “Mi autosospendo per non dare alibi, per consentire al mio partito di continuare con forza la sua battaglia per liberare la Campania dai poteri criminali. Sono assolutamente estraneo ai fatti cui si fa riferimento”. Fatti che si riferiscono a quando Fabozzi era sindaco di Villa Literno. L’ente locale era stato sciolto per infiltrazioni mafiose nell’aprile 2008, poi reintegrato dal Tar che ha annullato l’azzeramento ( pronunciamento confermato dal Consiglio di Stato). Ma, come denunciava Rosaria Capacchione, la giornalista minacciata di morte dai Casalesi, nel marzo scorso dalle pagine de il Mattino, “a determinare quello scioglimento era stata la non limpida posizione del sindaco Enrico Fabozzi così come delineata dalla relazione del prefetto Ezio Monaco, nella quale c’è anche un capitolo dedicato a un appalto, quello per i lavori di ampliamento del cimitero, vinto dalla stessa ditta, la Mastrominico, che negli atti dell’inchiesta della Procura di Firenze viene indicata come vicina al clan dei Casalesi”.

La prudenza non è mai troppa soprattutto in terra di lavoro dove contiguità e vicinanze sono all’ordine del giorno. Fabozzi, invece, viene candidato dal Partito democratico ed eletto al consiglio regionale. E questa è solo la prima parte di una storia di compromessi, di ricatto, di camorria che rende difficile individuare la linea di demarcazione tra lo Stato e l’Antistato.

di Tommaso Sodano e Nello Trocchia

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