Mandati al fronte e poi lasciati morire

10 giugno 2010
Carlo Calcagni, ammalato per l'uranio impoverito: neanche un euro per le cure

Il corpo del maggiore Carlo Calcagni è una discarica tossica: tungsteno, arsenico, piombo, mercurio, ferro, acciaio, alluminio, zinco, rame, carbonio. Nessuno glielo aveva detto, quando è andato in Bosnia nel 1996, che l’uranio impoverito un giorno lo avrebbe obbligato a farsi quattro punture solo per riuscire ad alzarsi la mattina. Ma quello che non gli avevano detto, soprattutto, è che per lo Stato sarebbe diventato un fantasma. Da quando ha scoperto di essere malato, nel 2002, per curarsi non ha avuto un euro. Carlo ha 42 anni e un’invalidità del 100%. Lo hanno riconosciuto la Commissione militare e il Ministero della difesa nel 2007. Causa di servizio, si chiama.

Che vuol dire che Carlo si è ammalato a causa dell’uranio impoverito. I suoi referti medici segnano il passo di una via crucis: infomielodisplasia, encelopatia tossica, e una sfilza di nomi dell’orrore. Le cure in Italia però non ci sono, e ogni tre mesi bisogna volare a Londra. Carlo si è già ricoverato due volte. La prima, a febbraio, la seconda mercoledì scorso. “Ho speso 50 mila euro, me ne servono altri 30 per questo secondo ricovero, ma non ho un centesimo in tasca”. Ha provato in tutti i modi a ottenere i rimborsi dallo Stato, che dovrebbe anticiparli. Ma non è arrivato niente. E così si stanno mobilitando per lui gli amici.

Il 10 maggio Carlo Calcagni manda una lettera al vetriolo al ministro La Russa, per raccontargli la sua storia e “ il terribile velo di silenzio che circonda gli “Uomini” come me”. Uomini: “che hanno inconsapevolmente sacrificato la loro vita al servizio di uno Stato che oggi è assente, che ci esclude. Morti e malati che butta via come fossimo inutili stracci”. Chiude chiedendo “rispetto e aiuto”. Carlo non ha avuto nessuna risposta dal Ministero. Per loro è morto. E non è una battuta: secondo la graduatoria delle vittime del dovere, il maggiore Calcagni risulta deceduto il 30 ottobre 2007. Abbiamo provato a chiedere risposte al Ministero, ma inutilmente. Eppure per lui “lo Stato è sempre mio padre, non gli farei mai causa”.

Strano padre, questo, che prima lo riconosce “vittima del dovere”, e poi lo rende vittima dei diritti lesi. Carlo Calcagni ha una moglie e due figli. Con loro un mese fa era al funerale di un altro militare, il maresciallo Roberto Usabene, morto a 42 anni. Come molti altri, è morto senza sapere se qualcuno riconoscerà mai la causa di servizio, perché la procedura dovrebbe essere di urgenza, ma l’uranio è un argomento che scotta e affossa i tempi. “Alla cerimonia non c’era nessun rappresentante dello Stato”, racconta Carlo. I morti dell’uranio spesso per l’opinione pubblica non esistono.

Nessuna medaglia, nessuna menzione, nessuna telecamera (e quindi nessun politico), nessun funerale di Stato. Le vittime dell’uranio non sono come i contractors che saltano sulle bombe e che rientrano come eroi di guerra. Con la differenza che ai primi nessuno aveva detto che sul lavoro si sarebbero potuti ammalare e morire. Forse è per questo, che i morti per l’uranio devono essere silenziosi. Lo Stato era a conoscenza fin dall’inizio del pericolo reale dell’uranio impoverito? Certo è che gli americani ne avevano testato la pericolosità già nel 1995, e i documenti erano stati girati ai vertici militari italiani. Probabilmente i responsabili non verranno mai puniti.

Il 29 dicembre 2009 il governo ha varato in gran silenzio l’ennesima leggina salva processi, rinominata salva-generali: d’ora in avanti i Tribunali militari per procedere nei confronti di un soldato o di un ufficiale devono avere il via libera del Ministero. Dovrebbe essere quindi il ministro a chiedere di mandare alla sbarra i generali. Piuttosto difficile. Sarebbero 400 i soldati malati, secondo alcune stime, e 50 i morti. Ma i numeri mai come in questo caso sono difficili da raccogliere e capire. “Siate consci di essere l’espressione migliore dell’Unità nazionale”, aveva detto La Russa ai militari il 2 giugno, festa della Repubblica. Lo stesso giorno il maggiore Calcagni partiva per l’ennesima battaglia contro la malattia.

Da il Fatto Quotidiano del 10 giugno

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