La guerra dello Zar contro la stampa

14 giugno 2010
Bavaglio armato: storie di cronisti dalla Russia di Putin, dove per censurare le notizie si sceglie la violenza



di James Hill

La situazione dei giornalisti russi si aggrava di giorno in giorno. La censura la fa da padrone e la repressione è feroce, talvolta spietata. Scopo del regime di Putin è sempre lo stesso: chiudere la bocca, in un modo o nell’altro, ai giornalisti. Mikhail Beketov, direttore di un piccolo giornale di Khimki, era stato avvertito, ma con coraggio aveva continuato a scrivere sulla corruzione dei politici locali. “La scorsa primavera avevo chiesto le dimissioni di tutti i corrotti e pochi giorni dopo hanno fatto saltare in aria la mia auto”, racconta. Qualche settimana dopo è stato percosso a sangue, gli sono state mozzate tre dita della mano e ha perso una gamba. Ora è costretto sulla sedia a rotelle, ridotto praticamente ad un vegetale. Le autorità di polizia hanno promesso di indagare, ma hanno insabbiato tutto e non hanno nemmeno ascoltato i testimoni oculari.

A un anno e mezzo di distanza non è stato arrestato nessuno. Beketov mettendosi contro il sindaco di Khimki, Vladimir Strelchenko, aveva osato troppo. Strelchenko era stato designato da Gromov, amico di Putin, presidente della regione di Mosca e già comandante della 40esima Divisione durante la guerra in Afghanistan. Si tratta dello stesso Gromov che ha piazzato in tutti i posti di potere della regione veterani dell’Armata Rossa e della guerra in Afghanistan. A nord di Khimki si trova la città di Solnechnogorsk il cui quotidiano - Solbechnogorsk Forum diretto dal 73enne Yuri Grachev - ha scritto numerosi articoli sul comportamento scandaloso dei politici locali che per anni hanno con tutti i mezzi rimandato le elezioni per restare al potere. Nel febbraio del 2009 Grachev è stato aggredito, picchiato selvaggiamente e ridotto in fin di vita.

“Forse sono stati dei delinquenti comuni o degli ubriachi”, ha dichiarato Nikolai Bozhko, principale esponente politico locale e – guarda caso! – anch’egli reduce dell’Armata Rossa e veterano della guerra in Afghanistan. “Il regime non si ferma dinanzi a nulla per impedire ai giornalisti di raccontare i fatti”, dichiara Grachev. A Klin nel marzo 2009 in occasione di una manifestazione di protesta Pyotr Lipatov, direttore di un giornale di opposizione, è stato aggredito e successivamente ricoverato in ospedale, dove due poliziotti gli hanno chiesto di firmare una dichiarazione con la quale riconosceva la sua responsabilità. Le indagini hanno accertato che Lipatov era nel giusto e che l’aggressione era stata organizzata dalla polizia, ma non c’è stato alcun rinvio a giudizio. Lipatov ha deciso di gettare la spugna: “Erano tutti contro di me: giudici, polizia, pubblici ministeri”, dice sconsolato Lipatov. Nel frattempo a Khimki è nato un nuovo giornale con l’intento di portare avanti l’opera di Beketov.

Lo dirige il cinquantenne Igor Belousov, un uomo molto religioso che ha abbandonato la carriera politica perché disgustato dalla corruzione. Pochi giorni dopo l’uscita del primo numero, Belousov, è stato rinviato a giudizio per diffamazione a mezzo stampa e a febbraio è stato arrestato con l’accusa di spaccio di cocaina. “Un tempo qui c’erano molti giornalisti coraggiosi. Ora sono rimasto solo io e anche io sto per arrendermi”, commenta amaro Belousov. Naturalmente Gromov minimizza, ma i dati lo smentiscono. Solo nella regione di Mosca ogni anno vengono uccisi, licenziati, intimiditi o comunque ridotti al silenzio centinaia di giornalisti e decine di giornali sono costretti sospendere la pubblicazione.

© The New York Times A cura di Carlo Antonio Biscotto

Da il Fatto Quotidiano del 13 giugno

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