Ciancimino ad AnnoZero: ''Presto si sapra' chi e' il Signor Franco''

di Silvia Cordella -14 maggio 2010
Siamo ad una svolta. La ricerca sull’identità del signor Franco, l’uomo dei servizi segreti da sempre vicino a don Vito Ciancimino, è vicina.



C’è un vecchio telefonino che potrebbe fornire in tal senso dati interessanti. Lo ha annunciato ieri sera ad Anno Zero Massimo Ciancimino.
Esiste “una memoria – ha detto – ricca di numeri di telefono attraverso la quale si può risalire alle utenze in uso a questa gente, non solo del signor Franco ma anche di altri soggetti istituzionali a lui legati”. Il vecchio telefono cellulare è stato trovato grazie all’aiuto dei suoi famigliari, la rubrica contiene i numeri che erano stati riversati in automatico dalla sim sequestrata nella perquisizione dei carabinieri eseguita nel suo appartamento nel 2005 e mai più ritrovata. E ora il misterioso signor Franco sarebbe pure apparso di recente in una foto pubblicata da una rivista “free” in compagnia di un politico attuale. Un personaggio che se identificato potrebbe aprire piste investigative inedite nel quadro dei rapporti tra mafia e servizi segreti sui quali i magistrati cercano di ottenere da tempo risposte esaustive. Cosa si nascondeva dietro il legame del signor Franco con l’ex sindaco di Palermo? Qual era il suo ruolo nelle stragi di mafia del ’92? Perché aveva esortato don Vito a non trovare risoluzioni per il sequestro Moro? A quali ordini rispondeva? Sono solo alcune delle domande che rimangono appese a spezzoni di verità ancora inesplorate e che nella puntata di ieri hanno trovato ampio margine di discussione con il deputato del Pdl Fabio Granata e un insolito Walter Veltroni, che si è improvvisamente riscoperto esperto di mafia. Efficacemente rinnovato, l’ex leader del Pd, si è mostrato convinto della presenza costante dei servizi in tutte le stragi eversive italiane. Un quadro però che i magistrati più esposti hanno sempre indagato spesso isolati da una politica che, legislatura dopo legislatura, ha mostrato, nella migliore delle ipotesi, forti segnali di discontinuità nella lotta alla corruzione e alla mafie.
“Io non sono un complotti sta”, ha detto Veltroni, “l’entità’ esiste.…”, “la P2, come la mafia, come la Banda della Magliana le trovi in tutte le vicende di terrorismo…. e oggi la mafia non è più debole, ci sono forti interessi… è una gigantesca potenza economica multinazionale che si è estesa nel mondo e nei momenti di crisi, avendo un' enorme liquidità, è riuscita a fare delle operazioni finanziarie immense, acquistando aziende… certo, lo scudo fiscale è stato una mano per tutti loro”. La metamorfosi di Veltroni è sintomatica di un cambiamento politico? Sarà, ma ci vorrebbe innanzitutto un serio mea culpa istituzionale. Proprio sull’effettiva volontà governativa di disarticolare gli intrecci perversi che legano poteri criminali a quelli para-militari si è inserito il discorso della figlia di Walter Tobagi, il giornalista ucciso dall’eversione di estrema sinistra nel 1980. C’è un filo che lega tutti i massacri di terrorismo rosso e nero che si chiama P2. Una società segreta che ha messo in tutti i centri di potere istituzionale uomini suoi per condizionare la vita pubblica del nostro Stato. Di questo se n’è parlato più volte in Commissione Antimafia, ha affermato la Tobagi, ma purtroppo “quando vuoi andare oltre ed accedere agli archivi per conoscere i nomi e i cognomi non si trova nulla”. È impossibile entrarvi perché “non c’è un indice”, la catalogazione è mal fatta e quindi irreperibile.
Dunque, tra inefficienze e segreto di stato, il muro di gomma che protegge questi personaggi è ancora oggi impenetrabile. E tutta la nostra storia è costellata da depistaggi continui nelle inchieste a sfondo politico in cui sono stati uccisi magistrati, politici, giornalisti, militari e mafiosi. Dal delitto Moro alla strage di Ustica, dalla strage di piazza Fontana a quella di Bologna, passando per il Rapido 904, il delitto La Torre, Dalla Chiesa, Costa, il fallito attentato all’Addaura fino alle stragi dei giudici Falcone e Borsellino del ’92 e quelle del continente del ’93. Delitti eseguiti secondo una logica di destabilizzazione sociale innescata da poteri occulti, di cui i ‘servizi deviati’ fanno parte, per garantire la buona riuscita di progetti di cambiamento politico ed economico del Paese. E la complicità all’interno degli ambienti investigativi è stata determinante. Lo dimostrano le false piste costruite, per esempio, per sviare i veri moventi dell'assasinio degli agenti Piazza ed Agostino, fatto passare per un delitto passionale. Al contrario, solo oggi, dopo vent’anni, sta emergendo un'ipotesi per cui sarebbero stati uccisi perché parte di quella “corrente” dei servizi che voleva salva la vita di Falcone. Sarebbero stati loro a disinnescare il materiale esplosivo rinvenuto sulla scogliera dell'Addaura il 21 giugno 1989 posizionato per uccidere il giudice da altri agenti dei servizi segreti in accordo con i mafiosi del luogo.
L'intreccio tra istituzioni, più o meno deviate, e mafia ritorna quindi costante in molti episodi del nostro tempo anche recente.
Lo stesso Massimo Ciancimino ne ha testimoniato al processo per la mancata cattura di Provenzano, la cui latitanza record sarebbe stata garantita in seguito alla trattativa intercorsa fra il Ros del generale Mario Mori, suo padre e il misterioso signor Franco, l'uomo dei servizi segreti che gli aveva sempre guardato le spalle.
“Un giorno – ha raccontato Ciancimino ieri sera – durante un litigio fra mio padre e mia madre preso dalla rabbia scrissi una lettera anonima di denuncia che mandai alla questura di Palermo. Mio padre l’indomani doveva avere uno dei famosi incontri col Signor Franco. Il giorno dopo quella lettera anonima era sulla scrivania di mio padre”.
Ed è questo uno dei motivi che ha spinto il figlio dell’ex sindaco di Palermo a denunciare la sua storia soltanto oggi, sperando, ha ribadito ieri, di poter essere valutato come persona diversa e distaccata dal padre e che al motto: “meglio un giorno da Borsellino che 100 da Ciancimino” possa essere aggiunta solo una parola “meglio un giorno da Borsellino che 100 da Vito Ciancimino”.

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