I traffici esistevano



Vincenzo Mulè
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ECOMAFIE. In Commissione Rifiuti è stato ascoltato nei giorni scorsi Andrea Gais, amministratore delegato della Ignazio Messina, la società armatrice della Jolly Rosso: «Niente a che vedere con le navi dei veleni».

E' forse la prima ammissione di un armatore sulla vicenda delle navi a perdere: «Non ci sentiamo di escludere che il fenomeno delle navi a perdere sia concreto e reale. Ci dispiace essere diventati l’emblema di questa attività criminale, con cui non abbiamo nulla a che fare. Avendo letto comunque tanto materiale in merito, credo che possa essere un’attività indubbiamente reale e concreta».

In commissione ecomafie torna d’attualità la Jolly Rosso, con intatto il suo carico di misteri. Davanti all’organismo presieduto da Gaetano Pecorella, è stato ascoltato nei giorni scorsi Andrea Gais, amministratore delegato della Ignazio Messina S.p.A, la società armatrice della cosiddetta “nave dei veleni” spiaggiata in località di Formiciche, nel Comune di Amantea, in provincia di Cosenza il 14 dicembre 1990. I vertici della società hanno «chiesto di essere auditi in quanto la vicenda della motonave Rosso continua a essere un argomento di attualità».


Gli armatori erano già stati ascoltati nel 2004, quando la commissione era presieduta da Paolo Russo. «Siamo qui - ha ribadito Gais - con la speranza di poter dare un contributo seppur modesto, al fine di far luce o far meglio comprendere anche a voi tutti quanto è successo alla nostra nave, che nulla ha a che vedere con il cosiddetto fenomeno delle navi a perdere». Una necessità che nasce dalla storia stessa del cargo, coinvolto nei traffici di rifiuti tra Italia e Libano. Una storia, arricchita, anche dalle particolari modalità che l’hanno portata prima allo spiaggiamento e poi alla demolizione.

«In quei veleni - afferma Alessandro Bratti, membro della commissione rifiuti - c’erano pezzi di Stato, con la presenza di rifiuti che attraverso Molteco, riportavano direttamente all’Eni». Secondo quanto ricostruito da Gais, la Rosso anche se ormai in attività da 22 anni, era una nave in ottimo stato e quindi da salvare. Per questo venne coinvolta una società olandese, la Smit Tak, allora considerata la numero uno nel recupero di relitti con carichi pericolosi.

Il mandato della società, impegnata dieci anni dopo nel tentativo di recupero del sommergibile nucleare Kursk, era chiaro: «Rendere la nave galleggiante e consegnarla alla compagnia armatrice nel porto più vicino». Non tutto va per il verso giusto e dopo circa venti giorni, gli olandesi abbandonano il campo. O meglio, smettono di lavorare al recupero. Lasceranno la Calabria solo un mese dopo. Un tempo oggettivamente troppo lungo. Cosa è successo in quest’arco di tempo?

È quanto si sono chiesti Pecorella e soci: «C’è un periodo che non ci spieghiamo: prima della mareggiata sembra che non sia stato fatto nulla, dopo la mareggiata si era deciso di non fare nulla. Non si capisce questa società quale compiti avesse». Non solo. Ma il contratto con la Ignazio Messina si rivelò una vera e propria manna per gli olandesi che, senza fare nulla, intascarono 800 milioni. Secondo Gais, però, le date non coincidono. Citando la relazione del London Offshore Consultants, la società di consulenza inglese incaricata dal P&I, compagnia di assicurazioni coinvolta nella vicenda del Rosso, il manager precisa che gli olandesi lasciarono le coste calabresi i primi giorni di marzo. Perché tanta attenzione sulla Smit Tak?

La società olandese è nota soprattutto per un ramo della sua attività: la bonifica di incidenti che hanno a che fare con materiale radioattivo. Ecco, allora, il sospetto che dietro il pagamento di una somma così ingente per una attività non corrisposta, ci possa essere stata una seconda finalità. «Noi avevamo fatto un contratto - ha ribadito Gais - Mi rendo conto di non averlo ripassato per l’occasione, ma l’attività svolta si può facilmente apprendere dall’intera documentazione che vi ho allegato. Confesso di non averla riletta prima di venire». Lo sta facendo la commissione.

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