Brasile al voto. L’autonomia dei movimenti

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Saranno settimane roventi, in Brasile, quelle che ci dividono dal 5 ottobre, il giorno del voto presidenziale. Più accese ancora saranno le tre settimane seguenti, quelle che condurranno al quasi certo ballottaggio. La morte improvvisa del socialista Eduardo Campos, scomparso con la famiglia a bordo di un aereo privato, ha riacceso la competizione con l’entrata in scena di Marina Silva, ex ministro verde del governo Lula e avversaria storica quanto temibile per la prevista rielezione di Dilma Roussef. Non suscitava entusiasmo ma sembrava scontato, il secondo mandato per Dilma, mentre ora diversi sondaggi danno Marina favorita. Sono state le straordinarie manifestazioni del giugno 2013 a svegliare il gigante del Sudamerica e a cambiare in profondità lo scenario. Il governo del Pt ne è uscito sorpreso e scosso. La gente non gli riconosceva più alcuna diversità da chi lo aveva preceduto: le disuguaglianze restano quelle di sempre, la riforma agraria e quella urbanistica sogni più lontani. Così oggi il Movimento Passe Livre, grande protagonista della primavera 2013, ribadisce di non essere interessato ad alcuna via istituzionale mentre rileva che nessun candidato s’è detto favorevole alla tariffa zero sui trasporti. Gli fa eco il grande movimento urbano dei Sem Teto: manteniamo una rigorosa autonomia da qualsiasi partito politico e qualsiasi governo. Nemmeno più i Sem Terra fanno sconti ai candidati di una sinistra politica da tempo migrata altrove: il potere del capitale tiene in ostaggio la politica e le istituzioni pubbliche impedendo le trasformazioni politiche ed economiche necessarie al popolo. Gran bel segnale di salute, l’autonomia
di Raúl Zibechi
La polarizzazione politica che ha dominato in Brasile negli ultimi due decenni, contrapponendo il Partido da Social Democracia Brasileira (PSDB Partito della Socialdemocrazia Brasiliana) di Fernando Henrique Cardoso e il Partido dos Trabalhadores (PT Partito dei Lavoratori) di Luiz Inácio Lula da Silva, si è frantumata con le manifestazioni del mese di giugno 2013. Il contrasto tra i “tucanos” (PSDB) e i “petistas” (PT) aveva diviso il paese tra coloro che difendevano il modello neoliberale e le privatizzazioni e coloro che proponevano modifiche sostanziali per uscire da questo modello.
Come ogni forte contrapposizione, questi opposti principi sono stati capaci di aggregare le più eterogenee forze politiche e sociali che si sono schierate dalla parte di una o dell’altra delle proposte avanzate da queste sigle e dai rispettivi dirigenti. Mentre gli anni 90 sono stati un periodo segnato dall’egemonia di Cardoso, la prima decade del nuovo secolo è stata dominata dall’orientamento dato da Lula. Ciascuna di esse ha stretto ampie alleanze al fine di assicurarsi la governabilità e ha dovuto confrontarsi con le richieste dei diversi gruppi di pressione.
Con le grandi mobilitazioni del giugno 2013, questo scenario è cambiato radicalmente. E’ stata la prima volta che il PT ha dovuto affrontare istanze che nascevano dalla società. Fino a quel momento infatti, i contrasti principali provenivano fondamentalmente da diversi settori imprenditoriali e professionali e solo in secondo luogo dai movimenti. Milioni di persone hanno manifestato in 353 città chiedendo che fosse annullato l’aumento dei prezzi relativi al trasporto pubblico: richiesta che è stata accolta, ottenendo uno storico trionfo.

Giugno è stato molto più di questo. E’ stato un grido contro la disuguaglianza, incentrata inizialmente sul problema dei trasporti, e contro la criminalizzazione della protesta e dei movimenti, giacché la protesta si è intensificata a seguito della brutale repressione poliziesca. Il Brasile continua ad essere nel mondo uno dei paesi dove c’è maggiore disuguaglianza. Con i tre governi del PT la povertà è diminuita considerevolmente, ma la disuguaglianza è rimasta quasi inalterata, poiché non ci sono stati cambiamenti strutturali, non è stata fatta la riforma agraria né è stata avviata la riforma urbanistica così come chiedono i nuovi movimenti. Senza cambiamenti nella struttura della proprietà e del reddito, i piani sociali non possono risolvere le grandi sfide sollevate dai settori popolari.
La repressione continua ad essere un altro problema irrisolto, così come è stato dimostrato dalla brutale e sofisticata repressione subita dai manifestanti nella piazza Sáenz Peña di Río de Janeiro, il giorno della finale dei Mondiali di Calcio. Sono stati assediati da un ingente dispiegamento di polizia, impossibilitati ad uscire dall’accerchiamento per ore, fino al termine della partita. La Polizia Militare agisce nelle favelas con totale impunità, usando proiettili veri contro la popolazione. L’organizzazione Maes de Maio, fondata a seguito dell’assassinio di 500 persone innocenti avvenuto a São Paulo nel maggio del 2006 [1] nell’ambito della lotta al narcotraffico, registra 25 massacri tra il 1990 e il 2013, in pratica uno all’anno.
Giugno 2013 è stata una reazione contro le continuità tra i governi del PSDB e del PT. Gli analisti dei media e gli accademici solitamente enfatizzano i cambiamenti avvenuti a partire dal 2003 (quando Lula è salito al governo) ma non menzionano mai le continuità. Chico de Oliveira è stato uno dei primi a sottolineare che tra i due partiti non ci sono molte differenze. A giugno è stata la gente che si è fatta carico di dimostrarlo. Bruno Cava, uno dei più acuti analisti del Brasile, ha evidenziato che “ciò che si pone al di fuori del punto di vista della sinistra, costituisce una pericolosa “mina vagante” che deve essere controllata” (IHUOnline, 5 luglio 2013). “Ritengo che la polarizzazione tra tucanos e petistas durata per anni, abbia impoverito la capacità di analisi di questi militanti”, commenta sul suo blog il sociologo Rudá Ricci.
Negli ultimi giorni sono state fatte diverse dichiarazioni da parte dei movimenti in merito alla questione elettorale. Lucas Oliveira, del Movimento Passe Livre (MPL)che ha avuto un ruolo di primo piano nelle manifestazioni di giugno, rimarca che “nessuno dei tre principali candidati appoggia la “tariffa zero” (nel trasporto pubblico) né avanzano proposte per ridurre il prezzo del biglietto”. Il MPL difende la mobilitazione permanente, “non crediamo nella via istituzionale, dall’alto verso il basso. Se ci credessimo, staremmo lavorando per proporre qualche candidatura. Ma non lo stiamo facendo” (Estrado de Sao Paulo, 23/8/14).

Il Movimento dos Trabalhadores Sem Teto (MTST Movimento dei Lavoratori Senza Tetto) ha emesso un forte comunicato in difesa della gratuità degli alloggi e della riforma urbanistica. “Nella nostra azione di pressione sullo Stato, nei suoi diversi livelli, non siamo guidati da chi sta al governo. Manteniamo una rigorosa autonomia rispetto a qualsiasi partito politico ed essenzialmente di fronte a qualsiasi governo” (MTST.org, 26/8/14). I senza tetto aggiungono che le loro istanze “si costruiscono con la lotta e la mobilitazione popolare” e non attraverso le istituzioni. Il testo conclude: “Ribadiamo che il nostro cammino non è la partecipazione alle campagne elettorali. Il nostro voto è il potere popolare!”
Il 2 settembre il Movimento Sem Terra (MST Movimento dei Senza Terra) ha emesso un comunicato con il quale si chiede ai tre candidati l’attuazione della riforma agraria. “Purtroppo, sempre di più, il potere del capitale tiene in ostaggio la politica e le istituzioni pubbliche, impedendo quelle trasformazioni politiche ed economiche necessarie al popolo brasiliano” (MST.org 2/9/14). Dopo aver elencato un complesso di istanze finora rimaste disattese, conclude con il suo impegno a “lottare in modo permanente, in difesa e per la realizzazione della Riforma Agraria Popolare e di una società socialista”.
Due giorni prima del comunicato, il MST ha occupato la tenuta agricola appartenente ad un senatore del PMDB, alleato del governo, nonché candidato a governatore di Ceará. Le mobilitazioni non sono cessate neppure in corrispondenza della dirittura finale della campagna elettorale. Giugno 2013 è stato uno spartiacque, profondo, irreversibile. Un “¡Ya basta!” (adesso basta, ndt) per chi vuole o può ascoltarlo. In questo difficile periodo, l’essere di sinistra sopravvive solo nei movimenti anticapitalisti.

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