Il rifiuto del lavoro

http://comune-info.net/2014/04/il-rifiuto-del-lavoro/
Globalizzazione e austerità hanno certificato che questo sistema non creerà più lavoro. E forse questa non è una cattiva notizia. Sempre più persone stanno immaginando una nuova logica, un diverso mondo del lavoro, delineando forme diverse di guadagno, consumo e gestione del denaro.
Il rifiuto del lavoro, sia come attivismo sia come analisi, non si limita a porsi contro l’attuale organizzazione del lavoro; dovrebbe essere inteso anche come una pratica creativa, che cerca di riappropriarsi e riconfigurare le forme esistenti di produzione e riproduzione

Il diritto alla pigrizia, Paul LaFargue


Francesco Gesualdi vive e anima il Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Pisa. Nato alla fine degli anni Settanta dalla convivenza di tre famiglie, il Centro da sempre fa ricerca, informazione e formazione sulle più svariate questioni economiche. “L’unico modo per conciliare dignità sociale e sostenibilità ambientale è smetterla di preoccuparci per il lavoro – spiega Gesualdi – La domanda giusta da porci non è come si fa a creare lavoro, ma come si fa a garantire a tutti una vita dignitosa, utilizzando meno risorse possibile, producendo meno rifiuti possibili e lavorando il meno possibile”. Secondo il ricercatore oggi siamo di fronte a due scelte, cercare di sopravvivere in questo sistema o cominciare a lavorare per costruire una società diversa per uscire da questa situazione, partendo da un totale ripensamento dell’economia pubblica, mettendo al centro la persona e rivalutando la logica della comunità, della solidarietà e della gratuità. Lavorare diversamente e consumare diversamente insomma, facendo attenzione alla storia che sta dietro a ogni articolo che si compra (su questi temi leggi l’articolo di Gesualdi su Comune-info Smettiamola di preoccuparci del lavoro).
Un anno fa, il 24 aprile 2013, un palazzo all’interno del quale erano fabbricati vestiti per il commercio in occidente è crollato, provocando la morte di migliaia di lavoratori e lavoratrici. E’ accaduto a Dhaka, capitale del Bangladesh. Il Rana Plaza era una fabbrica di otto piani, il suo crollo è stato definito come la più grave tragedia nella storia dell’industria tessile mondiale. Dopo quel giorno la campagna internazionale Abiti Puliti ha fatto circolare una petizione, contenente due richieste fondamentali: che tutte le imprese coinvolte si fossero rese disponibili a contribuire al fondo di risarcimento, e che le stesse imprese firmassero il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement, un protocollo di intesa redatto da sindacati e associazioni mirato a ristrutturare radicalmente la situazione lavorativa nell’industria tessile. Oggi l’accordo è stato firmato, mentre sul fondo ci sono quindici milioni di dollari, circa la metà del tetto fissato per raggiungere la cifra per risarcire tutte le vittime di quella tragedia.
A questi temi è dedicata la trasmissione Terranave, curata da Amisnte, di questa settimana. Il link per ascoltarla è qui.




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