Troppo individualisti: la solitudine uccide. Ma c'è un antidoto

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Sentirsi soli, isolati, non voluti può aumentare del doppio il rischio di morte prematura, soprattutto negli anziani. E' quanto emerge dalla letteratura scientifica e quanto dovrebbe farci riflettere: quale può essere la soluzione in una società sempre più individualista come la nostra?

La solitudine aumenta il rischio di morte prematura, induce meccanismi che gli psicologi stanno studiando sempre più a fondo, fa soffrire l’anima e il corpo in modo totale, persino mortale. A sottolinerlo è il professoreJohn Cacioppo, del Dipartimento di psicologia dell’università di Chicago, autore dello studio dal titolo Rewarding Social Connections Promote Successful Ageing citato dal quotidiano inglese The Guardian. Insomma, quella sensazione di essere non voluti, non necessari, ignorati può uccidere più delle malattie. E la letteratura scientifica ha cercato di quantificare questi effetti nefasti arrivando a concludere che le persone sole hanno un rischio quasi doppio di morire prematuramente rispetto a chi non si sente isolato. Il professor Cacioppo lavora insieme ad un team di esperti che ha fornito un quadro dell’importanza dell’amicizia e delle relazioni sociali, che, spiega, «sviluppano soprattutto negli anziani la loro resilienza e la capacità di affrontare le avversità e di reagire allo stress». Sentirsi soli e isolati può provocare disturbi del sonno, far aumentare la pressione, abbassare l’immunità, aumentare la depressione e aumentare l’ormone dello stress, il cortisolo. Quindi, no agli anziani soli. Cacioppo insiste fortemente su questo che rappresenta un punto cruciale per la moderna società che presta attenzione solo a chi produce, garantisce efficienza e ritmi veloci. Le persone anziani dovrebbero stare insieme ai coetanei e ai giovani, dovrebbero essere e sentirsi parte di una famiglia, condividere tempo ed esperienze con familiari e amici. Spesso allontanarsi dalla propria comunità per andare a cercare un “buen retiro” lontano da tutto e tutti non è la soluzione migliore. E in questa società così individualistica aumentano anche i comuni disturbi mentali, i numeri sono molto maggiori negli ultimi 50 anni. Non si fa altro che rincorrere un generico ideale di “capitale sociale” riconoscendolo in una “grande salute” collettiva ma poi non permettiamo a noi stessi di essere felici e dunque di mantenerci sani a lungo. Qual è dunque la soluzione in una società che sta invecchiando sempre di più? Non è mai troppo tardi per cambiare, le ferite si possono cambiare riscoprendo le relazioni e diversi ritmi di vita; e non basterà solo andfare dallo psicologo, occorrerà che gli affetti terapeutici siano disponibili anche al di fuori dell’ambulatorio.

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