GRECIA: CRISI ECONOMICA E RATING IN RIBASSO, MA TUTTI NASCONDONO L’EMERGENZA UMANITARIA

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Due giorni fa l’agenzia Standard & Poor’s ha declassato ulteriormente il rating della  portandolo a SD, cioè “default selettivo”. Per gli economisti si tratta di un default parziale, a un passo dal fallimento. Gli operatori umanitari invece parlano di  .greciacrisi
Nikitas Kanakis, a capo di Medecins du Monde, lo ripete già da un po’ di tempo: è in emergenza la zona del porto di Parema, vicino ad Atene; è in emergenza Salonicco; è in emergenza la stessa Atene, per non parlare delle campagne e dei sobborghi. “La situazione è così grave che abbiamo scritto una lettera alle Nazioni Unite chiedendo di intervenire”, racconta Kanakis.
Ma di questa  umanitaria si parla poco, anche in Grecia, e le ragioni sono esclusivamente politiche, perché se si riconoscesse la gravità di quello che sta succedendo, l’Unione Europea e il governo locale non potrebbero più chiudere gli occhi sugli effetti disastrosi del “piano di salvataggio”.
Ma che cosa definisce una crisi umanitaria? “La disuguaglianza sociale innanzitutto, poi la mancanza di accesso alle cure e ai farmaci, infine la povertà crescente” conclude Kanakis. In altre parole le crisi umanitarie non si possono non riconoscere.
Nel 2008 la terra di Zeus occupava il diciottesimo posto nell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, da allora la situazione si è capovolta drasticamente e nessuno poteva immaginare che si arrivasse a questo punto. In base ai criteri utilizzati dalla stessa Unione Europea il paese versa in gravi condizioni di povertà. Nel 2011 il 27,3% della popolazione, cioè 1,3 milioni di persone, vivevano sulla soglia della povertà. L’11% viveva in condizioni di “privazioni materiali estreme”, che vuol dire: senza riscaldamento né elettricità, senza macchina né telefono, ma anche senza carne, pesce, senza alcuna possibilità di pagare l’affitto né le bollette. Non ci sono ancora dati per il 2012, ma la situazione difficilmente è migliorata.
Oggi il tasso di disoccupazione tra gli adulti è del 26,8%, è la stima ufficiale ma non quella reale, perché non considera gli ex lavoratori delle imprese piccole e medie che sono fallite. E non considera i lavoratori poveri, cioè quei quasi-schiavi d’Europa che guadagnano così poco da non riuscire a garantirsi il pane: sono il 13% della popolazione, cioè la percentuale più alta della zona euro.
Ma le rogne non finiscono qua, perché al debito sovrano oggi se ne aggiunge un altro: quello alle case farmaceutiche. Ammonta a 1,9 miliardi di euro il debito che i fondi di assicurazione sociale e gli ospedali devono alle multinazionali farmaceutiche, soldi che risalgono al 2011 e a causa dei quali le aziende hanno smesso di fornire farmaci alla Grecia. Pfizer attraverso un portavoce conferma la sospensione dell’invio delle medicine per la cura della leucemia e dell’epilessia e sulla stessa scia si muovono Roche, Sanofi, GlaxoSmithKline. “In giro c’è il panico, il governo non sa che pesci prendere e le multinazionali non vogliono sentire ragioni”, spiega Dimitri Karageorgiu, segretario generale dell’Associazione farmacisti, al Guardian. La conseguenza è sempre sociale, perché la ricerca senza successo di un farmaco innesca una spirale di rabbia che diventa pericolosa soprattutto di notte, quando un qualsiasi imprevisto può degenerare in violenza, racconta Karageorgiu.
Mancano circa trecento tipi diversi di farmaci nei reparti ospedalieri e nelle farmacie, da quelli oncologici a quelli per il controllo del colesterolo. Ma se mancano le medicine le responsabilità sono del “commercio parallelo” – accusano le multinazionali - cioè grossisti e farmacisti che rivendono i medicinali, che in Grecia costano molto meno che nel resto d’Europa, in altri paesi per lucrare sulla differenza. Niente di illegale perché in Europa c’è il libero scambio, ma senza medicine e senza lavoro la corda potrebbe spezzarsi presto. E’ per questo che l’ente che regola il commercio dei farmaci ha disposto il divieto di esportazione per oltre trecento medicine e ha presentato al ministero della Sanità una lettera in cui chiede un’indagine sul comportamento delle multinazionali.

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