Media: due pesi e due misure tra No Tav e l’inchiesta ‘Minotauro’

Domenica mattina, si sfogliano i giornali. Fra commenti salaci sul processo Mills e veleni successivi alla partita scudetto di San Siro (la prima arbitrata da una delegazione dell’Unio
ne Italiana Ciechi), c’è spazio anche per i resoconti della grande manifestazione No Tav che si è svolta in Valle di Susa: 75 mila persone secondo gli enfatici organizzatori, un sobrio 12 mila per la sparagnina questura, mentre i giornali salomonicamente azzardano 30 mila manifestanti.
Una grande partecipazione, quindi, da qualunque parte si guardi. E un maxi-corteo che, a differenza di altre volte, si è concluso pacificamente. Ma i giornali, noti segugi a cui non la si fa, riportano un’altra verità: «No Tav, ferito un agente. Sassi sull’ambulanza»; «Tav, scontri dopo la marcia pacifica»;  «No Tav, pace in valle scontri a Porta Nuova», sono i titoli dei principali quotidiani.
Ohibò, vuoi vedere che non mi sono accorto di nulla e che i soliti trogloditi No Tav  si sono resi protagonisti dell’ennesima giornata di violenze anti-moderne e anche un po’ anti-europee, giacché il super-treno dovrà portarci alla velocità della luce nel cuore della finanza tecnocratica e sobria di Bruxelles?
Leggo meglio e scopro che dopo una manifestazione super pacifica – alla quale hanno preso parte decine di sindaci con la fascia tricolore, sindacalisti, associazioni ambientaliste, famiglie con bambini e cani, pensionati, operai, impiegati e studenti – alcune ore più tardi, alla stazione ferroviaria di Torino (cioè a oltre50 chilometridi distanza), circa 300 “antagonisti” sono entrati in contatto con la polizia, hanno lanciato pietre e distrutto una carrozza ferroviaria. Trecento su 30 mila a casa mia farebbe l’uno per cento, se poi prendessimo per buone le stime degli organizzatori, 300 su 70 mila farebbe lo 0,5 per cento.
Ma sui nostri giornali le violenze commesse dall’uno per cento evidentemente equivalgono a quanto di buono, democratico e pacifico ha fatto il restante 99 per cento. Anzi, valgono pure un po’ di più, perché i titoli calcano la mano proprio sugli scontri. Strano, vista l’indipendenza di giudizio (e direi anche economica) dei nostri quotidiani…
Su alcuni degli stessi quotidiani, il giorno prima, ben nascoste in articoli dal titolo generico, i lettori dotati di lente d’ingrandimento avrebbero potuto leggere notizie di questo tipo: «Il rapporto del nucleo investigativo dei carabinieri di fine dicembre è stato depositato dalla Procura a disposizione dei legali dei 191 indagati di “Minotauro”: ridefinisce questi legami e estende ombre nuove su appalti pubblici, compresa “la commessa aggiudicata da Ltf (Lyon Turin Ferroviaire) per realizzare la recinzione nel cantiere di Chiomonte”».
E ancora, sempre poco visibile e senza titoloni come «Scontri dopo la marcia», si poteva leggere: «Nell’ultima delle 604 pagine del dossier il colonnello Domenico Mascoli inserisce uno schema dei lavori aggiudicatisi da Foglia Costruzioni e condivisi con Italcoge spa dei Lazzaro (quelli della recinzione del cantiere di Chiomonte). Vi spiccano interventi sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria e su acquedotti calabresi. I carabinieri sottolineano uno snodo societario a loro dire cruciale: “L’acquisto della fallita Foglia da parte di Finteco”, altra società che riconducono al controllo occulto di Giovanni Iaria, arrestato con il blitz di giugno e personaggio che viene di lontano».
Iaria, già vicesegretario provinciale del Psi torinese fra la fine degli Anni 80 e l’inizio dei 90, indagato e poi prosciolto per il sequestro e l’omicidio di un impresario edile negli anni70, acapo di un clan considerato legato alle famiglie mafiose calabresi in Piemonte, è in carcere dallo scorso maggio nell’ambito del blitz contro la ‘ndrangheta chiamato “Minotauro”.
Il nipote Bruno, già arrestato per estorsione e detenzione d’armi, definito dai carabinieri come il capo della “locale” della ‘ndrangheta a Cuorgné (Torino), è stato dipendente della Italcoge tra 2006 e 2007.  La stessa Italcogeche ha eseguito i lavori preparatori per la Tav a Chiomonte, in Val di Susa, e che lo scorso anno ha denunciato alcuni attentati incendiari contro propri mezzi escavatori. Gli autori non sono mai stati scoperti, ma mass-media e opinione pubblica hanno puntato il dito contro i soliti No Tav. Ora si scopre che l’impresa era in qualche modo legata a personaggi della ‘ndrangheta. Curioso anche questo.
Invece, con o senza lente d’ingrandimento, i lettori dei principali quotidiani ben difficilmente avrebbero potuto leggere la notizia di un appello rivolto al premier Monti, che lo invita – «sulla base di evidenze economiche, ambientali e sociali» – a riconsiderare il progetto della nuova linea ferroviaria che unirebbe il Piemonte alla Francia attraverso la Val di Susa. “Evidenze” che venivano elencate con dovizia di particolari, numeri, statistiche e cifre.
Il documento non era firmato da black bloc, anarchici o dai soliti antagonisti scemi che giocano alla rivoluzione; bensì dal meteorologo e ambientalista Luca Mercalli (quello con farfallino che va in tivù da Fazio); Sergio Ulgiati dell’Università Parthenope di Napoli; Ivan Cicconi, esperto di infrastrutture e appalti pubblici; e Marco Ponti del Politecnico di Milano. Hanno avuto il torto di spedire una lettera civile e argomentata, anziché lanciare pietre e molotov, quindi nessun giornale li ha presi in considerazione.
pubblicato da George Best.

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