Falde avvelenate e dati fantasma i misteri dell'inceneritore francese

L'impianto  della Fenice (gruppo Edf) funziona da un decennio nel cuore della Basilicata dove brucia rifiuti industriali. Solo adesso , dopo reiterate richieste degli abitanti, la Regione ha rivelato i risultati dei monitoraggi eseguiti fino al 2007: forte presenza di metalli pesanti cancerogeni. Intanto, la Fenice ha vinto un appalto da 29 milioni di euro per il monitoraggio ambientale del ponte di Messina

 

Fenice Spa del gruppo francese Edf (Electricité de France), azienda responsabile del monitoraggio ambientale del Ponte sullo Stretto, è al centro di uno scandalo sullo smaltimento dei rifiuti industriali pericolosi ed è accusata, in Basilicata, di avere avvelenato falde acquifere utilizzate da intere popolazioni per il cattivo funzionamento di un inceneritore. Il termovalorizzatore Fenice, attivo da oltre un decennio accanto allo stabilimento Fiat di San Nicola di Melfi, brucia rifiuti industriali (pericolosi e non) provenienti anche da altri impianti Fiat come Termini Imerese e Pomigliano d'Arco, oltre a rifiuti solidi urbani lucani. E' accertato che l'inceneritore ha inquinato l'acqua  fin dal 2003, ma i dati sono stati tenuti nascosti alla popolazione per otto anni fino al 17 settembre scorso. Nel frattempo, la società italiana Fenice  -  Edf  ha vinto nel 2006 l'appalto da 29 milioni di euro come capofila di un raggrupamento temporaneo di imprese che controlla le "perturbazioni" all'ambiente nella realizzazione del Ponte di Messina, in fase ante, di costruzione e post operam. Come "monitore ambientale" controlla collegamenti ferroviari, cantieri e cave, effettua il monitoraggio marino che prevede, tra l'altro, "lo studio del rumore subacqueo" e per quanto riguarda la fauna "il monitoraggio della lepre italica" specie, che, evidentemente, si teme possa essere messa a rischio dalla costruzione del ponte. Intanto, mentre le lepri calabresi corrono selvagge, Edf, leader mondiale nella produzione di energia elettrica, ha firmato il contratto come fornitore ufficiale di energia alle Olimpiadi di Londra 2012, evento dalla "forte connotazione ecosostenibile" . Sul sito ufficiale, il gruppo rende noto che "per sensibilizzazione verso le tematiche ambientali" la società fornisce l'illuminazione del London Eye, la celebre ruota panoramica sul Tamigi, "nell'ambito di una campagna per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica". 

Nel profondo sud dell'Italia, però, Fenice  -  Edf è nell'occhio del ciclone insieme all'Arpab, l'azienda regionale per l'Ambiente della Basilicata, per avere occultato il reale inquinamento provocato dal suo inceneritore. A questo si aggiunge un incendio avvenuto nella notte del 2 ottobre scorso nella sezione dei rifiuti nocivi che ha messo a rischio l'incolumità dei dipendenti e disperso nell'ambiente una nube di fumo tossico, come testimonia una foto scattata da un passante e pubblicata su Facebook. Ciò nonostante, la regione Basilicata si appresta a dare a Fenice l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) dopo la presentazione di un piano di bonifica prevista entro il 18 ottobre. La vicenda inizia ufficialmente a marzo del 2009, quando l'Arpab comunica che, in base ai rilievi effettuati dalla stessa azienda nei pozzi di emunigimento interni al sito industriale, l'acqua del sottosuolo è inquinata da metalli pesanti e cancerogeni come il nichel, il mercurio e il manganese. Pochi giorni dopo, anche Fenice si autodenuncia. Parte anche un'inchiesta della procura di Melfi spostata poi a Potenza, della quale non si sa più nulla.

Le proteste del comitato "Diritto alla salute". La popolazione locale, che ha sempre guardato con sospetto i camini fumanti dell'inceneritore, comincia a protestare e ad organizzarsi nel comitato civico "Diritto alla Salute" con sede a Lavello. Il comune, a circa 5 chilometri di distanza dall'impianto, è quello che più risente le conseguenze dell'inquinamento. In paese negli ultimi anni sono aumentati i casi di tumori.  Non ci sono statistiche ufficiali, ma anche il sindaco Antonio Annale conferma la preoccupazione della sua gente (link all'intervista). "Si dice che su 5 malati del Crob di Rionero in Vulture (Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata), tre sono di Lavello" racconta Nicola Abbiuso, presidente del Comitato. Vengono chiesti con insistenza i dati sull'inquinamento e l'Arpab diffonde quelli a partire dal 2007. Fino a luglio 2011 i metalli pesanti sono al di sopra dei limiti consentiti e le acque sono contaminate, tanto che ci sono anche le ordinanze del sindaco di Melfi che già dal 2009 vieta ai cittadini l'utilizzo dei pozzi privati.

Il mistero dei dati scomparsi. Ma le tabelle sui rilievi dal 2002 al 2007 non escono dai cassetti dell'Arpab. Per due anni e mezzo non è chiaro che fine abbiano fatto, si susseguono reticenze e strane dichiarazioni: sono stati persi o sono sotto sequestro della magistratura. Dopo l'ultima manifestazione di protesta di cittadini, comitati e associazioni lucane e pugliesi davanti ai cancelli di Fenice, il giorno seguente, il 17 settembre, finalmente l'Arpab pubblica sul suo sito le tabelle scomparse. I valori dell'inquinamento sono altissimi. Ad esempio a luglio del 2006 il nichel raggiunge un picco di 7032 microgrammi per litro nel pozzo n. 9  contro il valore massimo consentito per legge che è 20. Ma negli anni anche il cromo, il mercurio, il manganese e altre sostanze chimiche risultano fuori legge.  Raffaele Vita, attuale direttore dell'Arpab è l'uomo che ha deciso di pubblicare i dati precedenti al 2007. Vita sostiene che "non sono scientificamente validi"  e "in alcuni casi i dirigenti Arpab non li avevano firmati", ma anche che "l'inquinamento è accertato fin dal 2003".

L'inquinamento. Ma come fa un inceneritore a inquinare le falde acquifere? La risposta la dà la stessa Fenice che afferma di aver individuato i motivi della contaminazione nella struttura delle fogne tecnologiche e non e, forse, nelle vasche di decantazione dei rifiuti e di raccolta delle ceneri e di essere intervenuta per correre ai ripari. Ma su questi aspetti non ci sono verifiche.

I cittadini vogliono fare causa. Quei dati "non scientifici" potrebbero comunque essere portati in tribunale in una causa collettiva per risarcimento danni, secondo quanto afferma l'avvocato Francesco Di Ciommo, professore di Diritto privato alle università Luiss e Tor Vergata di Roma. "L'Arpab è l'azienda che per legge avrebbe dovuto vigilare su Fenice  -  afferma il legale - O quei rilievi sono veri e allora Arpab non ha dato l'allarme che doveva dare, oppure non sono scientifici ed è allora provato che Arpab non ha controllato nulla". Di Ciommo insieme al comitato "Diritto Salute" vuole raccogliere testimonianze per portare Fenice davanti a un giudice. Una causa non solo per il danno alla salute, ma soprattutto per "lo stress emotivo, il terrore che sta soffrendo la popolazione locale avendo scoperto da poco che per circa 7  -  8 anni, l'azienda regionale Arpab che avrebbe dovuto vigilare sulla Fenice ha tenuto nascosti dati gravissimi sull'inquinamento delle falde acquifere della zona".  Un esposto denuncia alle istituzioni e anche alla corte di giustizia europea è stato inviato da quattro associazioni ambientaliste e dai radicali per disastro ambientale,  reato di avvelenamento colposo e omissione di atti d'ufficio. "I dati del monitoraggio ambientale, fin dall'anno 2000, sono stati da Fenice inviati, con regolarità ed in ottemperanza alle prescrizioni autorizzative, a tutti gli enti competenti" è la replica di Fenice Spa a Re Le Inchieste

Si teme anche l'inquinamento della catena alimentare, ma Fenice smentisce. I cittadini del comitato "Diritto alla Salute" sono preoccupati anche perché Fenice si trova nel bacino del fiume Ofanto che arriva fino in Puglia, dove sfocia nell'Adriatico. Oltre alla zona del Vulture - Alto Bradano lucano, dove vivono circa centomila persone, l'inquinamento potrebbe toccare, se il fiume risultasse contaminato, anche le province di Foggia e Bari. Tutta l'area  è una zona agricola di produzione di ortaggi, pomodori, verdure, uva per il vino, esportati in tutta Italia e usati per le conserve e i pelati dalle ditte di trasformazione.  Su questo arriva una secca smentita dalla stessa Fenice che afferma "il piano di bonifica predisposto eliminerà definitivamente qualsiasi tipo di residuo che comunque è limitato al perimetro dell'impianto. I dati scientifici disponibili relativi alle analisi effettuate sui primi livelli della catenza alimentare (lattuga, grano, ortaggi, latte, lombrichi e larve) escludono la presenza di sostanze dannose per la salute
 

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