Parlamento: quando si scrive a caso un DDL


Genova - 26 settembre 2011 - Sembra che nel nostro Parlamento, sia che si tratti di Camera dei Deputati che del Senato, la cultura relativa alla rete non riesca proprio ad entrare.
M'immagino persone "di una certa età" che, piegate sui loro fogli di cartapecora, cercano di inquadrare all'interno di schemi ottocenteschi i concetti moderni e per loro estranei di "internet, tcp/ip, email, sito web, blog, server, client, cavo di rete, wireless". giustizia-282x300.jpgUn sintomo evidente di quanto la mia fantasia debba corrispondere ad un'amara verità si ha nel DDL sulle intercettazioni, in disussione dal 2009 a fasi alterne, con vari tentativi di far passare delle emerite porcate quali l'obbligo di pubblicazione della rettifica senza possibilità di opposizione in un blog qualsiasi. Il testo dell'articolo a pagina 127 recita "Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono".
Ma qualcuno per fortuna se ne accorge e l'articolo non passa l'esame della Commissione, al punto che la stessa richiede per la sua l'approvazione una rettifica basilare: "La IX Commissione della Camera dei deputati, considerato che la disposizione in esame estende ai siti informatici le procedure di rettifica delle informazioni ritenute non veritiere o lesive della reputazione dei soggetti coinvolti, "osservato che tale previsione, in quanto riferita ad un termine generico come "siti informatici", sembra porre l'obbligo di rettifica a carico, piuttosto che degli autori dei contenuti diffamatori, dei gestori di piattaforme che ospitano contenuti realizzati da terzi, che, in considerazione del volume dei contenuti ospitati dalla piattaforma, non sarebbero in grado di far fronte a tale obbligo", ha espresso parere favorevole a condizione che il riferimento ai "siti informatici" sia sostituito da "giornali e periodici diffusi per via telematica e soggetti all'obbligo di registrazione di cui all'articolo 5".
Insomma, il legislatore, facendosi prendere in castagna dalla Commissione, sembra ignorare la presenza della signora che magari commenta l'ennesima porcata di qualche politico a lei antipatico su Facebook e si trova a dover pubblicare una smentita che magari non sta, come numero di caratteri, nel format di Facebook stesso.
Oltre a questa prima scrematura, si nota però l'assoluta carenza di descrizione di "come" dovrebbe essere inoltrata una comunicazione. Vediamo di approfondire il resto del marasma di questa proposta di legge, fino ad ora non commentato da alcun giornalista o blogger in questo senso.
Primo punto: cosa s'intende per comunicazione? Il modo più classico per interagire con un sito web (sito informatico è un termine troppo generico che può comprendere mille cose della rete) è quello del form: l'utente si trova di fronte una pagina del sito web dove deve riempire una casella per inviare un messaggio. E' di gran lunga il sistema più usato perché si evita di pubblicare una email, soggetta allo spam. Di solito i siti non mandano una copia di quanto inviato col form, per una sorta di dimenticanza nella netiquette (le abitudini di buona creanza della rete): quindi, di primo acchito, chi potrebbe dimostrare di avere scritto qualcosa? Se proprio si volesse costringere un sito web ad avere un sistema di comunicazione nel quale ci sia la producibilità di prove, piuttosto un DDL come questo dovrebbe prevedere l'utilizzo di una mail certificata, dove la prova dell'avvenuto invio e ricezione, ai fini sia del contenuto che della data certa, siano a carico di un ente certificatore, tra l'altro già esistente. Ma è fantascienza, nemmeno il sito della Camera invia al mittente una copia di quanto scritto ad un deputato e non si riesce a trovare una mail certificata in tutto il sito: se ci fosse è introvabile ... da che pulpito arrivano le regole!
Ma torniamo alle nostre comunicazioni. Supponiamo che un blogger sia così matto da aver pubblicato in chiaro la propria email. Non avendo un obbligo di legge per una Pec (posta certificata), la stessa viaggerebbe sul classico protocollo SMTP, quello che ogni giorno viene usato più volte da circa 4 miliardi di persone per darsi un appuntamento, litigare con la moglie, mettersi d'accordo con l'amante, ordinare la pizza, comprare in un Gas, scrivere a Di Pietro per fargli notare che il suo articolo su questo DDL non tiene conto della rettifica della commissione: questa è l'email. Il protocollo SMTP non dà alcuna garanzia, di nulla e di nessuno. Non dà garanzie sul mittente, sul destinatario, sull'effettiva ricezione, sul fatto che un filtro antispam non cacci via tutto per errore, alcuna certezza della data, del testo, degli allegati. Mandare una mail dà la certezza della avvenuta comunicazione solo se qualcuno ci risponde. Un po' come parlare urlando nel buio, solo un urlo di ritorno ci dice che c'era qualcuno ad ascoltare. E su questa cosa assolutamente inaffidabile un giudice dovrebbe decidere d'infliggere una muta di 12.000 euro per non aver pubblicato una smentita, magari effettivamente non ricevuta? Bersani direbbe "moh sciamo passi, ragassi? no sciamo mica qui ad annodare i cavi di rete!". Rob de matt, aggungo io.
Pochi lo sanno ma anche la classica raccomandata in busta chiusa costituisce prova solo se la stessa viene riconosciuta come tale dal destinatario. Eh sì, perché chiunque potrebbe inviarmi una busta vuota e poi produrre un documento in effetti mai spedito nella sostanza: non c'avevate mai pensato? Ecco un consiglio utile che il Parlamento ignora, se volete scrivere con la certezza che la prova non possa essere disconosciuta, fate un piego postale raccomandato, ovvero spedite "il foglio" senza la busta: l'uovo di Colombo. Altro problema: ma a chi lo mando questo bel piego non impugnabile? La legge mica mi obbliga a pubblicare un indirizzo (che sarebbe presumibilmente posto alle Isole Fiji, scatenando anche l'invidia dell'offeso oltre che l'incazzatura per aver visto pubblicato una notizia su sé stesso molto scomoda ma anche molto vera).
Insomma, riassumendo: possibile che non riescano ad assumere alla Camera qualche ragazzo sveglio che possa aiutarli e guidarli nel redigere una norma di legge non derisibile dal punto di vista tecnico? Ma poi, quando la smetteranno di cercare di bloccare una rete nata a fini militari per resistere ad un'esplosione nucleare? Non hanno ancora capito che fanno prima a cambiare "loro" piuttosto che cercare di cambiare "internet"?
(Stefano De Pietro)

Commenti