La corsa al (compro)oro della mafia

Più di venti morti ammazzati per le strade romane dall'inizio dell'anno ad oggi. Uno di questi è Flavio Simmi, 33enne orefice gambizzato lo scorso febbraio, ucciso forse per una storia di sei anni fa. O forse ucciso nell'ambito della guerra tra bande (o di mafie?) che sta insanguinando le strade della capitale e che investe anche le "lavanderie" di denaro sporco ed in cui l'oro, dopo l'edilizia, sembra essere un business perfetto da sfruttare. Che dopo il "boom" del mattone si vada verso una nuova corsa al (compro)oro?
Roma – Sangue, sesso e soldi. La vecchia regola del giornalismo sembra essersi abbattuta su Flavio Simmi, 33enne orefice romano ucciso circa un mese fa nell'ambito di quella che sempre più appare come una “guerra tra bande” nella capitale. Secondo la famiglia tutto sarebbe da imputare ad una storia di qualche anno fa, quando venne accusato e poi assolto – insieme ad altri – di stupro nei confronti della moglie di un detenuto, che coincidenza vuole essere uscito dal carcere da qualche mese. L'altra pista, quella a cui gli inquirenti sembrano aver dato maggior credito fin da subito, è quella che porta al mercato dell'oro, precisamente all'intricato mondo dei Compro oro, spesso utilizzati dalla criminalità organizzata come “lavanderie” per i proventi dei traffici illeciti. Ma procediamo per gradi.
 
La dinamica. Martedì 5 luglio 2011, 9.30 passate da poco. Flavio Simmi a bordo della Ford Ka grigia di proprietà della compagna viene freddato da 9 colpi calibro 9x21 in via Grazioli Lante, quartiere Prati, nel pieno centro di Roma. I killer, in puro stile mafioso (ma ormai noto anche ai ladri di galline), sono arrivati a bordo di una moto indossando caschi integrali. Secondo la ricostruzione uno dei due killer sarebbe sceso dalla due ruote, si sarebbe avvicinato a Simmi sparandogli tutti e 9 i colpi al torace per poi rimettersi in sella alla moto e fuggire. Tutto questo in pieno giorno e in un quartiere centrale della capitale. Un accanimento eccessivo, a detta degli inquirenti, per una storia – quella dello stupro – avvenuta ormai sei anni fa. Ci sono poi le dichiarazioni degli stessi familiari che, in qualche modo, sembrano indirizzare le indagini lontano da quella storia, come quel "i figli non si toccano!" pronunciato dalla madre la sera del 7 febbraio scorso, quando Simmi aveva ricevuto il primo “avvertimento” attraverso altri nove colpi di pistola, questa volta alle gambe. Allora si era ipotizzata anche una vendetta trasversale per i trascorsi del padre, accusato di far parte della galassia dei ricettatori della Banda della Magliana. Una vendetta che di trasversale, alla luce del successivo omicidio, aveva dunque ben poco. Il mondo nel quale gli inquirenti stanno cercando risposte è quello grigio delle connivenze, quella zona cuscinetto tra la legalità ed il sistema illegale che è sempre più evidente sia in fibrillazione, come in quelle fasi nelle quali cambiano gli equilibri e gli assetti di potere. Una fibrillazione che, da gennaio ad oggi, ha portato sulle strade della capitale una lunga scia di sangue (più di venti gli omicidi fin qui registrati) e che forse non è così scollegata dal riassetto degli equilibri che si sta registrando nei palazzi romani del Potere. 
 
Oro&lavanderie. La pista per ora più battuta dagli inquirenti, dunque, è quella che porta alla “mala”. Più che alla Banda della Magliana (della quale bisognerebbe capire quanto davvero sia rimasto rispetto agli anni di Abbatino e soci...) bisogna guardare al mondo della criminalità organizzata, delle sue infiltrazioni nella capitale e nel Lazio – nonostante dal mondo politico si continui a dichiarare come al solito una cosa diversa, ma si sa che la mafia porta voti - ed a quella Quinta mafia a cui “Libera Informazione” dedicava un dossier già a partire dal novembre 2008. Se e come c'entri la morte di Simmi – se sia cioè da leggersi come un capitolo della “guerra di bande” (o forse “guerra di mafie”?) o come qualcos'altro - sta alla magistratura definirlo. Quanto, invece, con la criminalità c'entri la galassia dei Compro Oro è una questione molto più semplice da stabilire.
La doppia valenza dei Compro Oro. Se l'oro è da sempre considerato un bene-rifugio, negli ultimi anni i Compro Oro sono diventati – per una sorta di proprietà traslativa – attività-rifugio. Con l'inizio della crisi economica, infatti, c'è stato un vero e proprio “boom” di queste attività, con picchi del 60 per cento in Lazio e Sicilia nell'ultimo triennio (la media nazionale è di +22,5 per cento. Dati: Movimprese-InfoCamere). Attualmente su tutto il territorio nazionale se ne registrano circa 20.000, per un mercato che fattura annualmente tra i 300.000 ed i 350.000 euro cadauno a fronte di un investimento iniziale che può variare tra i 15.000 ed i 25.000 euro. Un business che, se sfruttato a dovere, può portare nelle casse della criminalità qualcosa come 7 miliardi di euro all'anno. E questo solo per quanto riguarda la compravendita legale.
 
Per quanto riguarda invece gli aspetti illegali – quelli che, per intenderci, il codice penale definisce come “riciclaggio” (art. 648-bis) e “reimpiego di capitali” (art. 648-ter) – legati al “lavaggio” del denaro ed al successivo inserimento di questo nel circuito legale, i profitti sono praticamente indefinibili. Il sistema sembra essere stato ideato apposta per generare illegalità: per aprire un'attività che non abbia grandi pretese – alla quale basti, per esempio, fare attività di sola “lavanderia” - i requisiti richiesti per legge sono solamente l'apertura della partita Iva e l'autorizzazione da richiedere alla questura. È fatto anche obbligo – al fine di garantire la tracciabilità dei materiali acquistati e venduti – di compilare un registro sul quale annotare merce acquistata e identità del venditore. Ma riportare le operazioni fedelmente, nel paese che ha depenalizzato il falso in bilancio, diventa un mero dettaglio discrezionale. Per cui l'unico vero problema per la criminalità organizzata diventa quello di trovare un prestanome – o comunque un titolare vicino alle famiglie mafiose – a cui intestare l'attività. E con la crisi economica che toglie sempre più posti di lavoro il bacino dal quale pescare diventa sempre più ampio. A ciò va anche aggiunto che l'unica prova cartacea obbligatoria da emettere riguarda importi superiori ai 5.000 euro, per i quali – in ottemperanza alla normativa antimafia – bisogna pagare in assegni. Ma basta “parcellizzare” gli acquisti per evitare noie simili.
 
È dunque evidente la doppia valenza che attività di questa natura possono avere per la criminalità organizzata. Una volta ripulito, infatti, il denaro segue due strade: da una parte viene nuovamente inserito nel circuito dei traffici illegali che terminerà con un successivo “lavaggio”, dall'altro viene investito in settori economici “puliti”, edilizia e movimento terra in special modo, come dimostrano gli ultimi sequestri proprio nella capitale. C'è poi un terzo “lavaggio”, come spiegava nel 1998 l'allora Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna: "Vorrei sottolineare che la ripulitura di denaro serve, per così dire, anche a cercare di ripulire le persone. Si è notato, cioè, che per le operazioni di riciclaggio e di reinvestimento le organizzazioni mafiose che ancora ricorrono a soggetti fuori dal gruppo, hanno la tendenza a professionalizzare persone interne al gruppo mafioso, il che offre vari vantaggi: la sicurezza del silenzio sulle operazioni di riciclaggio, non solo, ma anche l'inserimento di una persona di fiducia nel circuito finanziario. Ciò fa sì che questa persona si legittimi nel mondo economico e quindi bisogna tener presente che il riciclaggio è una via non solo per ripulire il denaro mafioso, ma anche per ripulire l'associato di mafia e farlo entrare nel mondo dell'economia".

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