Wi-fi libero, il Governo ha la soluzione ma nicchia

A cinque mesi dalla liberalizzazione, l’Italia non è ancora uscita dal labirinto normativo che frena lo sviluppo delle reti pubbliche senza fili. Quindici giorni fa si è chiusa la consultazione pubblica indetta dal ministero dello Sviluppo Economico sul nuovo decreto che recepisce la direttiva europea sulla concorrenza nei mercati dei terminali di telecomunicazioni, ma è ancora nebbia fitta. Eppure, la soluzione per risolvere il problema dell’identificazione dei cittadini che vogliono navigare via wi-fi  esiste e già da quattro anni. A fornirla fu lo stesso ministero.
Wi-fi libero? Ma no dai, abbiamo scherzato
Sulla vetrina di un bar a Città del Messico (Afp)
Sulla vetrina di un bar a Città del Messico (Afp)
A cinque mesi dalla liberalizzazione, l’Italia non è ancora uscita dal labirinto normativo che frena lo sviluppo delle reti pubbliche senza fili. Quindici giorni fa si è chiusa la consultazione pubblica indetta dal ministero dello Sviluppo Economico sul nuovo decreto che recepisce la direttiva europea in materia di concorrenza sui mercati dei terminali di telecomunicazioni. Il quale di fatto aggiunge nuovi vincoli burocratici all’installazione degli access point, favorendo alcuni operatori.
Un ritorno al passato a cui si aggiunge la nebbia fitta che ancora aleggia sulla questione della sicurezza delle wi-fi pubbliche. Lo scorso novembre, a pochi giorni dal via libera del Governo al «pacchetto sicurezza», che prevedeva il decadimento dell’art. 7 della Legge Pisanu – quello relativo all’obbligo di registrazione della carta d’identità degli utenti prima di acceder agli internet point – era stato lo stesso procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, a sollevare forti dubbi. «Dietro queste reti wi-fi e internet point ci si può nascondere benissimo nella massa degli utenti non più identificabili, e si possono trovare anche terroristi, pedofili e mafiosi», aveva osservato Grasso. Secondo quanto previsto dal pacchetto Maroni, infatti, i ministeri dell’Interno, della Funzione Pubblica e dello Sviluppo Economico, avrebbero dovuto stilare le nuove norme a tutela della sicurezza pubblica entro la fine del 2010.
Oggi, la materia non è ancora stata definita. Eppure, la soluzione per risolvere il problema dell’identificazione dei cittadini che vogliono navigare via wi-fi e prevenire eventuali violazioni esiste già da quattro anni. Senza mettere in moto tecnici ed esperti di tre ministeri, infatti, basterebbe recuperare il parere fornito dal dicastero dell’Interno ad Assoprovider e Asstel il 27 novembre 2007. Un documento in cui si legge chiaramente che: «Per quanto concerne il punto realtivo all’identificazione dell’utente che si connette alle reti di comunicazione elettronica attraverso la tecnologia wireless, si reputa condizione sufficiente, per soddisfare i requisiti della normativa vigente, l’utilizzo del telefono mobile quale mezzo per attivare le procedure necessarie ad ottenere le credenziali di accesso alla rete stessa, in quanto consente l’identificazione, seppure indiretta, dell’utente stesso». In sostanza, basta registrarsi al servizio fornendo il proprio numero di cellulare, ricevere un sms con un codice per accedere al servizio e navigare in modo “tracciabile” dalla Polizia Postale, l’autorità che vigila sui crimini informatici.
La «normativa vigente» in questione è il Codice delle comunicazioni elettroniche del 2003, meglio noto come «legge Gasparri». La quale, all’art. 107 comma 6, sancisce la necessità di verificare l’identità di chi accede a reti mobili. Ben due anni prima della famigerata legge Pisanu, che risale al 2005. Due anni dopo, come detto, è arrivato il parere del ministero. Perché non trasformarlo in decreto? Una domanda che dovrebbe porsi anche la DigitPa, l’ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, fortemente voluto dal ministro Brunetta, che ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia fin dall’inizio della legislatura. Magari il modo indicato dal ministero non è ancora il migliore, ad esempio per gli stranieri potrebbe essere un problema, oppure l'sms ci può mettere del tempo ad arrivare, ma almeno sarebbe un primo passo.
Intanto, a dispetto del buco legislativo su un’infrastruttura-chiave del Paese, fioccano le iniziative free wi-fi. L’ultima in ordine di tempo, pochi giorni fa, è WiMi. Si tratta del servizio sperimentale del Comune di Milano che offre un’ora di navigazione gratuita nell’area compresa tra Piazza Duomo e Piazza Castello. Previa registrazione via sms. A Roma, addirittura dal 2009, è presente il servizio ProvinciaWifi: 600 hotspot gratuiti e 80mila utenti registrati. «Abbiamo pensato di eliminare anche il costo dell’sms contenente il codice per entrare nella rete grazie ad un numero di telefono fisso gratuito che è possibile chiamare dal numero di telefono cellulare fornito in sede di registrazione al servizio. Se il numero fornito è lo stesso dal quale si effettua la chiamata, l’abilitazione avviene in pochi secondi» spiega Davide Guerri, responsabile tecnico di Caspur, consorzio interuniversitario che gestisce l’Isp InRoma, il quale ha approntato le apparecchiature wi-fi. Un piccolo accorgimento che, però, non funziona per chi possiede una sim straniera. Un problema risolto grazie a un servizio di assistenza ad hoc, fornito in collaborazione con la Provincia. Non solo: Caspur ha pensato di mettere a disposizione un kit di strumenti open source appannaggio delle amministrazioni pubbliche desiderose di creare un servizio wi-fi libero per i propri cittadini. In attesa che qualcuno, tra il Viminale, via Veneto e Palazzo Vidoni, si decida a scrivere i nuovi obblighi a tutela della sicurezza pubblica.
antonio.vanuzzo@linkiesta.it 

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