Sarno, 13 anni dopo. Ora è rifiuti e cemento

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Giorgio Mottola
 
INCHIESTA. Nel Comune salernitano dove nel 1998 una frana causò la morte di 160 persone si è  tornato a costruire nelle stesse aree della tragedia. I canali per il drenaggio sono diventati discariche.
Il 5 maggio del 1998 a Sarno la montagna franò. 168 persone morirono sotto il fango. Un’intera frazione della cittadina salernitana fu rasa al suolo. La colata di acqua e terra, si abbatté su quattro comuni: Sarno, il centro più colpito, Siano, Bracigliano e Quindici, in provincia di Avellino. Sono passati tredici anni, ma la tragedia non sembra aver insegnato molto. Sarno non ha ancora un piano urbanistico comunale e le case sono state ricostruite nello stesso punto in cui erano state distrutte, alle pendici del monte Saro. I canali, realizzati per drenare l’acqua dalla montagna a valle, sono in stato di abbandono: discariche a cielo aperto, piene di sterpaglie e rifiuti; c’è persino la carcassa di un frigorifero. Altre opere, progettate per la prevenzione, sono state appaltate ma mai completate. E il rischio di una frana a Sarno, secondo molti geologi, è ancora oggi molto alto.

I lavori di ricostruzione e di messa in sicurezza sono costati finora oltre 460 milioni di euro. Fino al 31 dicembre 2008, tutta la gestione era nelle mani del Commissariato per l’emergenza, istituito dal Governo e guidato da Antonio Bassolino. A occuparsi in prima persona del problema è stato però il subcommissario, Pasquale Versace, ordinario di Idrologia all’Università di Calabria. Sotto la sua gestione è partita la ricostruzione delle abitazioni, sono state realizzate le vasche di raccolta dell’acqua (due a Sarno e dodici negli altri Comuni) e i canali. «Un progetto interamente completato e che ha fatto da modello anche a tecnici di Hong Kong e Scozia che sono venuti a visionarlo», ha spiegato Versace nel decennale della frana al quotidiano locale La città. Il modo in cui si è proceduti nella messa in sicurezza, però, non ha mai convinto Legambiente, secondo cui la «camicia di cemento» costruita intorno alla montagna peggiorerebbe la stabilità idrogeologica, favorendo l’accumulo del fango.

Ma a Sarno il Commissariato di governo gode di buona fama. Lo rimpiangono sia il sindaco di centrodestra, Amilcare Mancuso, che il centrosinistra, che all’epoca della frana guidava il Municipio. Il buon ricordo che ha lasciato Versace si deve soprattutto alla velocità con cui si sono ricostruite le case. La valanga di fango ne aveva distrutte 178. La maggior parte sono state ricostruite. Quasi tutte però ad appena poche decine di metri di distanza dal punto in cui la colata di acqua e terra le aveva rase al suolo. In realtà qualche problema burocratico è sorto. «Le abitazioni non state accatastate. La Regione ha espropriato i terreni, ma la costruzione è avvenuta su particelle di terreni dove non era prevista l’edificazione. Per cui i proprietari non sono ancora intestatari», spiega Maria Palmigiano, presidente del comitato civico «Rinascita».

Nell’area del vallone Santa Lucia, una delle più a rischio, i lavori di sistemazione non sono partiti, ma i certificati per la costruzione della case sono arrivati quasi subito, consentendo anche la riedificazione delle case popolari dell’Iacp. La questione più grave riguarda le opere di prevenzione. Lungo il dorso della montagna sono stati costruiti 18 chilometri di canali che drenano l’acqua fino a valle, dove viene raccolta nelle vasche. Il sistema di stabilizzazione idrogeologica, considerato dal Commissariato un modello per tutto il mondo, oggi è però un’immensa pattumiera. «I problemi sono iniziati quando nel 2008, è terminato il commissariamento e la gestione è passata all’Arcadis, un carrozzone regionale che ha smesso di occuparsi del territorio», racconta Raffaele Franco, capogruppo Pd in consiglio Comunale.

Tre anni fa, viene dichiarata la fine dell’emergenza e al commissario subentra l’Agenzia regionale per la difesa del suolo, un ente pieno di dirigenti ma senza un soldo in cassa. I lavori, anche quelli appaltati, si bloccano. La manutenzione, ancora oggi è sospesa. «Io non nessuna responsabilità», si giustifica il sindaco Mancuso, «e non è nemmeno colpa dell’Arcadis. Hanno presentato la richiesta di finanziamento. Ma finora dal governo non è arrivato un soldo».

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