Resoconto del convegno "Difendere la salute per tutelare la vita - Dal purgatorio delle discariche... [...]"

Resoconto del convegno "Difendere la salute per tutelare la vita - Dal purgatorio delle discariche... all'inferno degli inceneritori?" (sabato 11 e domenica 12 dicembre 2010*)




Franco Ortolani, direttore del Dipartimento di Pianificazione e scienza del territorio presso l’Università Federico II apre i lavori ricordando le criticità delle discariche e degli impianti di incenerimento aperti durante il periodo della cosiddetta “emergenza rifiuti” a partire dal 1994 e di quelli in progettazione, evidenziando che, proiettando graficamente le emissioni da essi prodotte, gran parte della piana campana sarebbe inondata da esse.

Maria Rosaria Iacono, consigliere nazionale di Italia Nostra, ricorda che la speculazione edilizia e la non tutela del territorio è indice di una mancanza di democrazia. Tutte le tipologie di paesaggio vanno tutelati:  il paesaggio agricolo è maggiormente a rischio per la grave diffusione di speculazione, abusivismo, inquinamento, desolazione e abbandono. Come diceva Emilio Sereni, “il paesaggio agricolo è la forma che l’uomo coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” e Varrone nel 37 a.C. (De re rustica) scrive che la forma del paesaggio non mira soltanto all’utilitas (utilità), ma anche alla venustas (bellezza),voluptas (piacere), delectatio (diletto). Nel secondo dopoguerra la meccanizzazione, lo spopolamento di interi villaggi e vallate, l’abbandono dei poderi, le politiche comunitarie, l’espulsione di milioni di lavoratori agricoli, l’aumento anche all’interno del settore agricolo dello squilibrio tra Nord e Sud, i grandi proprietari assenteisti, hanno avviato la disgregazione del paesaggio agrario interrompendo l’equilibrio ecologico tra uomo e natura. Il paesaggio negato è rappresentato, in area casertana,  dal Litorale domizio ed Agro aversano che è stato classificato SIN (Sito d’Interesse Nazionale) comprendente 59 comuni per la  presenza di inquinamento diffuso del suolo, contaminazione dei sedimenti e delle acque superficiali e di falda (“Relazione sullo stato della conoscenza in tema di ambiente e salute nelle aree ad alto rischio in Italia” redatta dal CNR nel 2007 per la VIII commissione permanente della Camera dei Deputati (cfr. pag. 27, 34, 38, 51). Resta la domanda: in che modo potrà realizzarsi la necessaria bonifica di queste vaste aree senza diventare un ulteriore gravissima occasione di facili guadagni a discapito dell'interesse generale?

La dott.ssa Patrizia Gentilini, oncologa dell’ISDE, ricorda che ormai dal 2007 è chiaro che numerosi inquinanti agendo direttamente sul DNA e alterandone la trascrizione danno luogo a numerose malattie caratteristiche della nostra società, dal morbo di Alzheimer al diabete al cancro. È ormai altresì dimostrato che è nella fase intrauterina che queste sostanze interferiscono sul programming degli organi, la cui funzione sarà ovviamente alterata. I danni conseguenti possono essere addirittura transgenerazionali. Solo così può essere spiegato l’aumento drammatico dei tumori infantili in Italia, +2% annuo (media Europa +1,1%), salendo al +3,2% per i tumori da 0 a 12 mesi, mentre in tutto il corso di una vita umana (considerando una media di 84 anni di vita) si ha una probabilità del 50% di sviluppare un tumore per ambo i sessi. Si calcolano 100.000 sostanze chimiche sintetiche prodotte su larga scala, ubiquitarie e persistenti di cui solo il 2% è stato indagato e di cui neanche una piccola assunzione quotidiana è trascurabile. Alcuni ricercatori della Harvard School for Pubblic Health hanno denunciato già alcuni anni fa dalle pagine di Lancet, una delle più prestigiose riviste mediche internazionali, che la diffusione di sostanze inquinanti e, in particolare,  neuro-tossiche sta danneggiando lo sviluppo neuropsichico dei nostri bambini: secondo i loro calcoli oltre un bambino su dieci presenterebbe un ridotto QI e problemi diversi come autismo, ADHD e dislessia, con un costo economico, ma soprattutto sociale e culturale altissimo. Solo la drastica riduzione delle fonti inutili di inquinamento (a partire da impianti inutili e dannosi quali discariche e inceneritori) potrebbe, negli anni a venire, ridurre i pericoli legati a questa esposizione sempre più massiva e precoce.


Il dott. Ernesto Burgio, coordinatore del Comitato scientifico dell’ISDE, afferma la necessità di un cambio di paradigma nell’ambito della cancerogenesi, poiché sarebbero essenzialmente le piccole quantità quotidiane di agenti chimici potenzialmente genotossici e di radiazioni (ionizzanti e non) a indurre un’alterazione progressiva dell’assetto epi-genetico di tessuti ed organi provocando un’instabilità del genoma e, nel medio-lungo termine, mutazioni genetiche e aberrazioni cromosomiche. Le epi-mutazioni e mutazioni pro-cancerogene e cancerogene non dovrebbero più essere considerate casuali, bensì reattive alle sollecitazioni e informazioni provenienti dall’ambiente e dal microambiente. L’inquinamento non è la semplice diffusione di molecole più o meno dannose per organi e tessuti, ma la trasformazione eccessivamente rapida (pochi decenni) della stessa composizione molecolare dell’ecosfera e in particolare della biosfera e delle catene alimentari, secondaria all’immissione massiccia in essa di molecole prima presenti in basse quantità o addirittura non presenti nell’ambito di un processo co-evolutivo che ha miliardi di anni. Le più pericolose tra queste molecole sono quelle che, non essendo metabolizzate dagli organismi superiori si vanno accumulando nei tessuti degli organismi superiori e bio-magnificando negli ecosistemi e nelle catene trofiche. Un aspetto particolarmente preoccupante di un simile bio-accumulo consiste nel carico chimico (“chemical burden”, ovvero “fardello chimico”) che è di sempre più frequente riscontro nelle ricerche su sangue cordonale, placentare e fetale: se si tiene in debito conto tale via di esposizione, sempre più collettiva  e ubiquitaria, è facile comprendere i limiti degli attuali studi tossicologici ed epidemiologici, che pure rappresentano gli unici strumenti disponibili per valutare i rischi che l’esposizione a fonti di inquinamento, puntuali o diffuse sul territorio (e nelle catene alimentari), comporta. Per quanto concerne lo smaltimento di “rifiuti” è ormai noto da anni che gli inceneritori rappresentano impianti pericolosi perché creano nuovi inquinanti e ne incrementano la bio-disponibilità: proprio le temperature più alte, che dovrebbero dissociare molecole complesse e pericolose (in particolare le molecole diossina-simili), determinano una maggior produzione di particolato ultrafine (0,1 micron) che rappresenta il miglior mezzo di diffusione di metalli pesanti e molecole tossiche attraverso tutte le barriere biologiche (placenta, barriere alveolare ed emato-cerebrale, membrane cellulare e nucleare) favorendo, in particolare, i danni al Dna. D’altro canto anche gli inquinanti bloccati dai sistemi di filtraggio finiscono nelle ceneri, le quali devono essere smaltite in discarica o vengono immesse nel circuito edilizio, diffondendo più “lentamente” gli inquinanti nell'ambiente. Numerosi studi (vagliati dall’Istituto Superiore di Sanità) e, in particolare alcuni studi francesi (su 25 milioni di persone residenti nei dintorni degli inceneritori) e italiani hanno documentato un incremento significativo di linfomi non Hodgkin, sarcomi dei tessuti molli e altri tumori (spesso con correlazione inversa alla distanza). Bisogna infine ricordare che l'inquinamento di tutte le matrici ambientali non produce soltanto tumori e altre malattie gravi, ma un'instabilità più generale dei genomi (non solo in ambito umano): un rischio fin qui enormemente sottovalutato.

Gianluigi Salvador, membro del WWF Veneto ed esponente di spicco del MDF (Movimento per la decrescita felice), ha parlato dell’economicità del ciclo dei rifiuti e della necessità di una prevenzione primaria, poiché, secondo le leggi della termodinamica, tutto si trasforma e quindi bisogna costruire un ciclo chiuso della materia come la natura ci ha insegnato, partendo da una bassa entropia iniziale ed arrivando a una bassa entropia finale. La direttiva europea 2008/98/CE prevede questa gerarchia: prevenzione, preparazione per il riutilizzo (riuso e riparazione), riciclaggio, recupero di altro tipo (per esempio recupero di energia), smaltimento. La direttiva consente però di riorganizzare la gerarchia qualora questo abbia effetti positivi sull'ambiente e sulla salute. Del resto, fino agli anni ’50, il contadino guadagnava con gli scarti di cibo e con gli atri rifiuti organici, finché non è arrivata la plastica, che non poteva essere degradata: è da quel momento che sono nate le discariche e negli anni ’70 gli inceneritori. Adesso siamo in fase di decrescita irreversibile a causa di una crisi ambientale ed economica profonda, tanto è vero che è difficile progettare e dimensionare nuovi inceneritori perché ci sono sempre meno rifiuti. Bisogna pensare soprattutto a migliorare la gestione delle frazioni finali, a valle della raccolta differenziata porta a porta, che rappresentano circa il 20% del rifiuto iniziale: frazione secca residua, spazzamento stradale, rifiuti ingombranti e sovvalli da multi-materiale, che ad esempio il Centro di riciclo di Vedelago (in provincia di Treviso) è già in grado di riciclare quasi integralmente e i prodotti estrusi ottenuti (per edilizia e manufatti) possono essere riciclati  all’infinito. I cosiddetti “termovalorizzatori” invece non arrivano al 10% di recupero energetico ed emettono più CO2 di tutti i tipi di centrali a parità di energia elettrica prodotta. I centri di riciclo generano molta più occupazione a parità di rifiuti trattati rispetto agli impianti di incenerimento. Con la tecnologia dell’incenerimento per i soli costi esterni, tra certificati verdi, costi di smantellamento impianti e ripristino terreno, costi sanitari calcolati tramite il software ExternE EU, infrastrutture viarie, degrado immobiliare, qualità degradata delle colture e mancata occupazione, si perdono 684 milioni in 20 anni calcolando 2 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti inceneriti. In un'ottica di risparmio economico e recupero energetico la riduzione, il riuso, la riparazione e il riciclo sono le modalità principali e assolutamente prioritarie da utilizzare e perseguire. Esse sono necessarie e sufficienti per impostare un corretto ciclo chiuso di gestione dei rifiuti.

Raphael Rossi, esperto impegnato da oltre un decennio nel settore del trattamento dei materiali post-utilizzo, ha dimostrato come la differenziata porta a porta determini risultati molto migliori rispetto ai sistemi con cassonetto stradale, sia dal punto di vista quantitativo (tra il 60% e il 75% nelle città e tra il 70% e il 90% nei piccoli centri) sia dal punto di vista qualitativo (in termini di purezza delle frazioni raccolte). Motivazione di questi migliori risultati è nella possibilità di far pagare una tariffa puntuale sul reale secco indifferenziato che si produce e di responsabilizzare direttamente le singole persone, e quindi di avere dei materiali da riciclare migliori, cioè non “sporchi”. Siccome il consumatore vuole l’acqua e non la bottiglia, è buona norma far pagare al produttore i costi di imballaggio. In Italia una bottiglia di plastica usa e getta costa al produttore 0,3 centesimi, in Finlandia 76 centesimi, ben di più del guadagno finale dalla vendita della bottiglia: ciò comporta che bottiglie usa e getta in quei contesti siano quasi totalmente assenti (solo per prodotti particolari) e siano sostituite da bottiglie a rendere. A Berlino, tramite la differenziata porta a porta, dal 1998 al 2004 si è scesi dai 389 ai 298 chili di secco indifferenziato pro-capite (mentre in Italia se ne producono 600 a testa!) individuando una tariffa puntuale che permetteva ai cittadini variando la dimensione dei contenitori e/o la frequenza di svuotamento la possibilità di ridurre o aumentare la tariffa. Chi produceva di più e aveva bisogno di contenitori più grandi o di una frequenza di svuotamento maggiore era costretto a pagare di più. Dovrebbe essere ormai evidente che non esistono alternative ad una corretta filiera, interamente basata sul riciclo e recupero totale della materia...

*Sabato 11 dicembre: sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio 14, Napoli.
Domenica 12 dicembre: sede della Società di studi Politici - piazza Santa Maria degli Angeli 1, Napoli.
GRUPPO GIURISPRUDENZA

Commenti