La privatizzazione dell'acqua pubblica prende forma in Lombardia dove la Regione ha appena presentato il Progetto di Legge di riforma per la gestione del Servizio idrico integrato. Un disegno che è già stato approvato dalla Giunta regionale e che sarà votato dal Consiglio regionale il prossimo 23 novembre.
di Laura Pavesi
In questi giorni la Regione Lombardia ha presentato il Progetto di Legge di riforma del Servizio idrico integrato
Sia in questo comunicato, che in un precedente comunicato stampa datato 5 agosto 2010, la Regione sottolinea che "l'acqua non potrà, in alcun caso, divenire proprietà di un soggetto privato, così come le infrastrutture idriche sono e continueranno ad essere di proprietà pubblica"(...)"I Comuni sono, di norma, e restano i proprietari degli impianti e delle reti idriche" (...) "L'acqua è e rimane un bene pubblico" (...) "In Lombardia l'acqua resta un bene pubblico".
Insomma, per il momento, nessuno dubita che le risorse idriche siano e restino di proprietà pubblica. Infatti non è questo il punto. Il dibattito non verte sulla proprietà delle risorse idriche, ma 'solo' sulla loro gestione.
Riguardo alla gestione dei servizi idrici, la Regione Lombardia è attualmente suddivisa in 13 ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) che corrispondono ai territori delle 12 province lombarde, più il territorio del solo Comune di Milano - come stabilito dalla Legge Regionale 26/2003 ('Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche') e successive modifiche. Il nuovo Progetto di Legge di riforma del Servizio idrico integrato modifica alcuni articoli della Legge Regionale 26/2003 e, in modo particolare, l’Art. 48 ('Autorità d’Ambito') e l’Art. 49 ('Organizzazione del servizio idrico integrato') che viene interamente sostituito.
Nel nuovo articolo la Regione decreta che le province affidino il Servizio idrico integrato ad un unico soggetto - il 'gestore unico di Ambito'- per ogni ATO
Il testo lascia intuire che questa "Azienda speciale" dovrebbe essere un ente pubblico, tuttavia non lo esplicita mai in modo chiaro. Di seguito, poi, si afferma che almeno 3 membri su 5 del Consiglio di Amministrazione di questa "Azienda speciale" dovranno essere sindaci dei Comuni appartenenti all’ATO, ma non si dice in che modo e da chi saranno designati gli altri consiglieri.
Sempre l’Art.48 prevede anche una Consulta dei Comuni (alla quale partecipano tutti i comuni dell’ATO) che deve fornire alle province parere obbligatorio, ma solo sull’approvazione e l’aggiornamento del Piano d’Ambito e sulla determinazione del sistema tariffario. La Consulta, quindi, viene esclusa da ogni altra decisione riguardante il Servizio idrico integrato (SII) ed ogni suo parere è sì obbligatorio, ma non è definito come 'vincolante'.
E veniamo ora all’Art.49 del Progetto di Legge - quello relativo all’organizzazione del SII - che è stato interamente sostituito. Nel nuovo articolo la Regione decreta che le province affidino il Servizio idrico integrato ad un unico soggetto - il 'gestore unico di Ambito'- per ogni ATO, rendendo così impossibile salvare le gestioni pubbliche esistenti in Lombardia, anche se virtuose - ad esempio quelle di Bergamo o quelle dei 19 Comuni della provincia di Brescia che avevano scelto di non aderire all’A.ATO Brescia e che la Regione aveva commissariato ad acta all’inizio di quest’anno.
Il commissariamento ad acta in materia di acqua è una costante della Regione Lombardia
L’Art.49 stabilisce, infine, che la gestione del SII venga affidata ai sensi dell’art. 23-bis, commi 2 e 3, della Legge 133/2008 (Conversione in Legge del Decreto Legislativo 112/2008). Il Progetto di Legge, però, non menziona il fatto che questi due commi sono stati sostituiti dall’Art.15, commi 2 e 3, del Decreto legislativo 135/2009 (noto come Decreto Ronchi). Pertanto, la gestione dei SII verrà affidata ad imprenditori o società costituite in qualunque forma, oppure a società a partecipazione mista pubblica e privata, dove i soci (anche quelli privati) abbiano una partecipazione superiore al 40%. Come stabilito dal Decreto Ronchi, la gestione 'in house' a favore di società a capitale interamente pubblico non sarà più ammessa in via ordinaria, ma solo in casi eccezionali.
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