Il furbetto salvato dall’indulto La nuova vita di Ricucci

Il palazzinaro che voleva il Corriere non rischia più nemmeno un giorno di galera. Ma a cinque anni dal tentativo di scalata ad Antonveneta e Bnl resta aperta la domanda se dietro di lui ci fosse qualcun'altro
L’ha inventata lui la definizione che gli ha rovinato la vita: “Furbetti del quartierino”. Avrebbe dovuto registrarla e chiedere le royalties. Invece ne è rimasto prigioniero, fino a oggi. Comunque sia, non può lamentarsi troppo. Non solo perché se la spassa all’Argentario – fonte autorevole, le foto di Novella 2000 – con la sua nuova fiamma, ultima di una lunga serie: Florina Marincea, la più trasgressiva protagonista del reality La pupa e il secchione (“Quel che mi pesa di più”, aveva proclamato la pupa, “è restare qui in trasmissione due mesi senza trombare”). No, Ricucci non può lamentarsi soprattutto perché fra tutti i “furbetti”, lui, che ne è diventato il simbolo, è tra quelli che se la cavano meglio. Non rischia più neppure un giorno di galera: ha patteggiato a Roma una pena di 3 anni (ma coperta da indulto) ed è così uscito da tutti i processi, romani e milanesi, che invece continuano a incombere sugli altri protagonisti delle scalate Antonveneta, Bnl e Rcs dell’estate 2005. Merito dell’avvocato Grazia Volo, che l’ha guidato fuori dalle insidie giudiziarie.

Ultimo tango a Zagarolo

Più complicata resta la situazione dei debiti e delle sue aziende, che restano nelle mani dei curatori fallimentari. Ma Stefano (profumo preferito “Rush” Gucci eau de toilette) non si perde d’animo. Comunque non tornerà a fare l’odontotecnico a Centocelle. E neppure a Zagarolo. Solo nominarglielo, quel paese, lo manda in bestia: i giornali nel 2005 lo definivano “l’immobiliarista di Zagarolo”, felici di evocare quell’“Ultimo tango” ballato tanti anni prima, al cinema, da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. “Ma io sono nato a Roma, non a Zagarolo”, s’affannava lui. Niente da fare. L’equivoco era nato dal fatto che nel paesone laziale aveva costruito una cinquantina d’appartamenti, negli anni Novanta: “Avevo 21 anni”.

Precoce. Nato (a Roma, a Roma!) l’11 ottobre 1962, da madre casalinga e padre autista dell’Atac, l’azienda dei trasporti pubblici. Dopo il diploma, aveva lavorato come odontotecnico a Centocelle e, per arrotondare, d’estate aveva fatto il cameriere. Ma il ragazzo aveva il fiuto per gli affari. Primo progetto immobiliare a 19 anni: un terreno della madre scambiato con tre appartamenti. Poi erano arrivati i famosi immobili di Zagarolo. E non si era fermato più. Anche perché aveva incrociato la bolla immobiliare, che gli aveva fatto prendere il volo. Non senza spregiudicate furbizie. Con gli altri campioni della nuova “razza mattona” (Danilo Coppola, Giuseppe Statuto, Luigi Zunino…), scambia palazzi come fossero figurine, facendoli girare e innalzando ogni volta i prezzi. Di soldi veri ne girano pochi, ma intanto i valori messi a bilancio si gonfiano a ogni giro. Esibendoli alle banche, i giovani campioni possono ottenere credito per nuove avventure. Comprano azioni dando in garanzia palazzi, poi danno in pegno le azioni, ottenendo crediti con cui comprano altre azioni e così via… Una “leva” capace di moltiplicare (quasi) all’infinito i pani e i pesci, specie se usata in compagnia di banchieri e finanzieri amici e partecipi al gioco. Quando poi Ricucci incontra sulla sua strada personaggi come il finanziere bresciano Chicco Gnutti o il banchiere di Lodi Gianpiero Fiorani, tutto diventa ancora più facile.

Nella primavera 2005 scatta il piano per scalare due banche, Antonveneta e Bnl. Lui partecipa, ma s’impegna soprattutto nel terzo assalto, il più temerario: quello a Rcs, che vuol dire Corriere della Sera. Continua a comprare titoli Rcs (aveva cominciato nel 2004) e arriva al 20 per cento. Viene fermato dalla reazione degli altri azionisti. Anche perché i giornali cominciano a pubblicare le intercettazioni telefoniche che rivelano i piani segreti degli scalatori. Fra tutti, lui s’impone come il personaggio più sanguigno, capace d’inventare perfino un linguaggio: “La cosa de… ’a lista, famo la lista propria, famo tutte ste cazzate, che tanto nun serve a un cazzo, tutta sta roba… Stamo a fa’ i furbetti der quartierino! Ma quando uno deve seguì la strada maestra, p’annà a Napoli tocca piglià l’autostrada del Sole, nun è che tocca annà sulla Casilina, no?”.

Irresistibile quando parla con Emilio Gnutti di Marco Tronchetti Provera: “Ma tu l’hai letta l’intervista di quel deficiente de Tronchetti Provera, stamattina? E leggitela, va, che parla de me e de te. L’intervista del dottor Tronchetti Provera, che loro sono il salotto sano… C’ha 45 mijardi de debbiti, il salotto sano…”. L’apice lo raggiunge, al telefono, con quel “Facile fare i froci cor culo dei altri!” che entra nella leggenda. Ma anche dal vivo non scherza. Ai magistrati che il 19 settembre 2005 iniziano il primo interrogatorio dopo il suo arresto, con la domanda di rito: “Intende rispondere?”, Ricucci replica: “Aho, se me fate ’na domanda…”.

Il misterosulle ambizioni

Ancora oggi, cinque anni dopo l’estate dei “furbetti”, resta aperta la domanda: il Corriere ha davvero rischiato di essere portato via al “salotto sano” della finanza italiana, o era solo la “ricucciata” senza speranza? E ancora: c’era qualcuno dietro Ricucci? Dopo il naufragio, è facile minimizzare: gli sconfitti, in Italia, sono sempre derisi come “tre pirla” o “quattro sfigati”. Ma poteva andare bene. I Lanzichenecchi conquistano le capitali. E anche assedianti squinternati possano trovare un varco e far cadere un impero. Erano poi così squinternati, gli eroi dell’estate 2005? Non è affatto da sottovalutare il network che avevano messo insieme: avevano dalla loro parte il governatore di Bankitalia, il presidente del Consiglio, la Lega, una parte di Forza Italia e dell’Udc e perfino (grazie alla presenza nella compagnia del “furbetto rosso” Gianni Consorte) il maggior partito della sinistra. Qualcuno degli azionisti Rcs avrebbe potuto tradire e aprire le porte all’assediante. E Silvio Berlusconi era pronto a schierarsi con gli scalatori, una volta passata la fase più critica e più rischiosa dell’assalto. Ricucci e compagni avrebbero funzionato come un ariete: sfondata la porta, qualcuno con le spalle più grosse sarebbe arrivato a completare l’opera. Berlusconi avrebbe certamente approfittato di un varco utile a scardinare gli equilibri del giornale che è sempre in cima alle sue preoccupazioni.

Lui, Stefano Ricucci, il più furbetto dei “furbetti”, continua a ripetere: “Dietro Ricucci c’è solo Ricucci, che ha fatto strada lavorando duramente”. Gran lavoratore e uomo fortunato: Anna Falchi, che in quell’estate del 2005 divenne per un attimo sua moglie, lo chiamava Gastone, il papero a cui vanno tutte bene. Ora però la sua Magiste International ha dichiarato fallimento e la Magiste Real Estate è al centro di una complicata partita per accontentare i creditori ed evitare il fallimento. Certo, la fortuna è girata. Eppure, se i curatori riusciranno a pagare i debiti (grazie agli immobili), Ricucci eviterà un’eventuale nuova imputazione, questa volta per bancarotta, e potrà tirare un sospiro di sollievo. Chiusa la stagione dei “furbetti”, sarà pronto per nuove avventure.

di Gianni Barbacetto e Marco Maroni

Da Il Fatto Quotidiano del 4 agosto 2010

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