L'Europa contro Mediaset Il conto è salato



16 giugno 2010
Il tribunale Ue boccia il ricorso di Segrate: “Illegittimi i contributi pubblici, restituiteli”

Almeno 220 milioni di euro: è questa la cifra, interessi esclusi, che Mediaset dovrà restituire per gli “aiuti di Stato che le sono stati concessi illegittimamente” dal governo. Lo stabilisce una sentenza di primo grado della Corte di Giustizia europea, che conferma una decisione già presa dalla Commissione Ue nel 2007, contro cui Mediaset aveva fatto ricorso. Un ricorso che ieri, da Lussemburgo, è stato respinto “in toto”. Ecco i fatti: durante il passaggio al digitale terrestre, iniziato in Italia nel 2001 e che si completerà nel 2012, il secondo governo Berlusconi ha stanziato nella Finanziaria 2004 un contributo (a carico dello Stato) di 150 euro per ogni utente che avesse acquistato un apparecchio per la ricezione di segnali televisivi digitali terrestri. Lo stesso aiuto viene confermato nella Finanziaria 2005, con un importo però ridotto a 70 euro.

Contributi con un limite di spesa, per ogni anno, di 110 milioni di euro. Tradotto significa che il governo ha incentivato l’acquisto di decoder digitali terrestri, avvantaggiando quindi l’azienda del presidente del Consiglio, utilizzando oltre 220 milioni di euro di soldi pubblici. Il problema, sottolinea la Corte, è che alle emittenti che puntavano sul digitale è stato attribuito un vantaggio indiretto (e Mediaset proprio in quei mesi lanciava il pacchetto Premium). A danno delle emittenti satellitari, ovviamente escluse dagli incentivi. Manca il requisito della “neutralità tecnologica” e quindi l’aiuto di Stato è “incompatibile con il mercato comune”, si spiega nella sentenza. Per ottenere il contributo bisognava infatti scegliere il digitale e “un consumatore che avesse optato per un apparecchio che consentisse esclusivamente la ricezione di segnali satellitari non avrebbe potuto beneficiarne”.

Quindi proprio le emittenti satellitari, prima Europa 7 e poi Sky Italia, hanno protestato con la Commissione Ue, che nel 2007 aveva imposto il recupero dei contributi pubblici per i decoder. Ma ieri la Corte Ue ha dato di nuovo torto a Mediaset. Secondo la sentenza, infatti, gli aiuti pubblici hanno incitato i consumatori “a passare dal sistema analogico a quello digitale terrestre limitando al tempo stesso i costi che le emittenti televisive digitali terrestri avrebbero dovuto sopportare e, dall’altro, ha consentito alle emittenti medesime di consolidare, rispetto ai nuovi concorrenti [Sky in primis, ndr], la loro posizione sul mercato”. Esulta Francesco Di Stefano, il fondatore di Europa 7 cui proprio una sentenza Ue (tutt’oggi inapplicata) aveva riconsegnato le frequenze tv: “Siamo stati i primi a ricorrere contro questa sconcezza. Devo constatare che ormai, per avere giustizia in Italia, bisogna andare al Tribunale europeo”.

Nella guerra delle tv, a colpi di interventi del governo ai danni delle concorrenti di Mediaset (basta pensare al raddoppio dell’Iva per gli abbonati Sky), il finanziamento pubblico dei decoder digitali terrestri è stato il primo vero attacco. La sentenza europea “è la certificazione inappellabile del conflitto d’interessi della famiglia Berlusconi in materia di telecomunicazioni”, commenta da Strasburgo Patrizia Toia, del Pd, vicepresidente della Commissione industria al Parlamento europeo. E aggiunge: “I giudici europei dichiarano espressamente che la decisione del governo Berlusconi di stanziare soldi pubblici a fondo perduto per incentivare l’acquisto di decoder digitali terrestri, il cui principale produttore italiano, va ricordato, è Paolo Berlusconi, non era una misura neutra ma ha avantaggiato Mediaset, la tv di proprietà di Silvio Berlusconi”.

I contributi pubblici all’acquisto dei decoder non hanno infatti avvantaggiato solo Mediaset: si chiama Solari.com   srl ed è una società controllata al 51 per cento da Paolo Berlusconi e dalla figlia Alessia attraverso la finanziaria Pbf srl (Paolo Berlusconi financing). E proprio la Solari commerciava i decoder DVB-T per il digitale terrestre, gli stessi per cui la Finanziaria, in armonia con la legge Gasparri, aveva stanziato gli incentivi.

Mediaset ricorrerà di nuovo alla Corte di Giustizia, dopo “un’attenta lettura delle motivazioni della sentenza”. Annuncia “l’intenzione di proporre l’impugnazione” perché “i contributi pubblici sono stati erogati direttamente ai consumatori [cosa vera, ndr] e Mediaset non ne ha tratto alcun vantaggio [cosa, secondo due sentenze, falsa, ndr]”. Mentre per il ministero dello Sviluppo economico la sanzione è già stata riscossa da Mediaset (parlano però solo di 6 milioni di euro). Per adesso comunque il dispositivo della sentenza parla chiaro: “Il regime al quale la Repubblica italiana ha illegittimamente dato esecuzione a favore delle emittenti digitali terrestri (...) costituisce un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune”.

Poi all’articolo 2 del dispositivo: “La Repubblica adotta tutti i provvedimenti necessari per recuperare dai beneficiari [Mediaset, ndr] l’aiuto. Il recupero viene eseguito senza indugio e con le procedure del diritto interno, a condizione che queste consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della presente decisione. Le somme da recuperare sono produttive d’interessi”. Lo Stato italiano ha quindi ora due mesi di tempo per prendere provvedimenti esecutivi della sentenza e informare di questi la Commissione. Il gruppo Fininvest, di cui Mediaset fa parte, rischia quindi di dover risarcire 1.000 milioni di euro, 750 alla Cir di Carlo De Benedetti per il Lodo Mondadori e 220 milioni allo Stato. Ma, in bilancio, a fronte di questi rischi non ha stanziato un euro.

Da il Fatto Quotidiano del 16 giugno

Leggi il dispositivo di sentenza della Corte di Giustizia europea (Pdf - 208,5 K)

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