Berlusconi - Fini. E' rottura totale


ROMA - In quello che era stato presentato come il «giorno della verità» all'interno del Pdl, il premier Silvio Berlusconi ha praticamente dato lo «sfratto» a Gianfranco Fini da presidente della Camera: «Se vuoi fare politica lascia quel ruolo super partes e torna nel partito». E' stata questa la conclusione del momento di massima tensione alla direzione nazionale del partito, durante la replica del Cavaliere all'intervento del numero uno di Montecitorio. Un intervento, quello dell'ex leader di An, che era stato tutto incentrato sulla richiesta di un maggiore dibattito interno e nel corso del quale il presidente della Camera ha puntato il dito contro «l'appiattimento sulle posizioni della Lega al Nord». Dopo le schermaglie a mezzo stampa degli ultimi giorni, le parole grosse tra i due sono volate davvero e davanti agli occhi dello stato maggiore pidiellino e delle telecamere che stanno trasmettendo la convention in diretta.

IL GOVERNO E LE RIFORME - Il Cavaliere aveva aperto i lavori attorno alle 10,30 esortando la platea a sedersi («adesso mi metto a fare il buttadentro», ha scherzato) e a riempire tutti i posti liberi nelle prime file («conosciamo i mezzi di informazione, sono pronti a inquadrare solo quelle sedie vuote»), congratulandosi per il risultato elettorale («nonostante la campagna d'odio nei nostri confronti e nonostante gli attacchi delle magistrature politicizzate») e rivendicando i successi del governo tornando sui temi dell'emergenza rifiuti in Campania, degli interventi post terremoto in Abruzzo, della tenuta sul fronte economico nonostante la crisi. Aveva poi esortato ad utilizzare i tre anni senza elezioni che ancora mancano alla fine della legislatura per il completamento del programma di governo. A partire dalle riforme, per le quali il capo del governo ha lanciato spiragli di apertura al confronto anche con la minoranza parlamentare, come dall'impegno già preso all'assemblea di Confindustria a trattare «con gli imprenditori, con i sindacati, con l'opposizione» e a mandare avanti i progetti «soltanto se potremo trovare l'accordo» perché «la Costituzione riguarda tutti i cittadini, è il patto fondante della società costituita in Stato». Dunque «una profonda riforma può essere decisa soltanto con una grande maggioranza dei cittadini».


LA DEMOCRAZIA INTERNA - Il Pdl è nato dalla gente e ha l'aspirazione a diventare maggioranza assoluta nel Paese - ha detto ancora Berlusconi -. E' possibile perché raccoglieremo tutti coloro che non si riconoscono nella sinistra». Poi ha spiegato che il Pdl è un partito «democratico» e si è impegnato a convocare entro l'anno il primo congresso del partito». Di più: «Credo che ogni anno ci possa essere un congresso» ha rilanciato il Cavaliere, ipotizzando anche una più frequente convocazione di tutti gli organi direttivi del partito e spiegando di non essere mai intervenuto in prima persona per imporre la sua linea . «I risultati ci premiano - ha poi detto il leader del Pdl -, lo dicono anche i sondaggi. Il governo ha un apprezzamento del 48% e il presidente del Consiglio ha un consenso bulgaro del 63%» («Numeri che hanno suscitato gli applausi della platea - fa notare il Velino, l'agenzia di stampa che ha come direttore editoriale il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone - (ma il cofondatore Pdl Gianfranco Fini è rimasto a braccia conserte»).
SERVI E UOMINI LIBERI - La parola è poi passata ai coordinatori del partito. Sandro Bondi, in particolare, ha scaldato la platea urlando a gran voce che nel Pdl «non ci sono uomini liberi e servi» e ha attaccato alcuni intellettuali di centrodestra, in particolare «il professor Campi» e «il dottor Rossi» di Fare futuro, a suo parere troppo critici con il partito e con il suo leader, «una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri», e ha chiesto di prendere le distanze da chi «vuole denigrare un uomo e un leader al quale ciascuno di noi deve molto». «Non vogliamo un partito con tanti intellettuali e pochi elettori» ha poi aggiunto. E ha esortato il centrodestra a non lasciarsi contagiare «dalla stessa sindrome che ha segnato la disfatta della sinistra», ovvero lo scollamento dalla realtà. Una realtà che, è stato il senso, ha espresso il proprio sostegno alla politica di questo Pdl a leadership Berlusconi. Ignazio La Russa ha invece spiegato che le storie di An e Forza Italia sono compatibili all'interno del Pdl e che non devono essere divise. E ha evidenziato come la Lega non abbia battuto il Pdl, nonostante certe letture del voto di fine marzo. Anche Berlusconi ha evidenziato questo aspetto, ribadendo che «il Pdl non è al traino della Lega»: «I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi abbiamo 20 ministeri e loro 3 ministri ma in realtà 2 ministeri: un decimo rispetto a quelli del Pdl. E in 89 consigli dei ministri i verbali non hanno mai registrato una occasione in cui il Pdl si sia dovuto fare indietro rispetto ad una proposta della Lega o avesse dovuto dire sì a qualcosa di non condiviso».

«SERVE CHIAREZZA» - Poi è stata la volta di Gianfranco Fini che ha esordito parlando di una «riunione necessaria per fare chiarezza». E a scanso di equivoci ha detto subito di vedere attorno a sè «l'atteggiamento puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto». «Avere delle opinioni diverse rispetto al presidente del partito la cui leadership non è messa in discussione - ha poi detto Fini - significa esercitare un diritto-dovere. E' possibile derubricare delle valutazioni diverse come se si trattasse di mere questioni di carattere personale?». «E' stata una caduta di stile - ha poi aggiunto rivolto a Bondi - citare questioni polemiche nel confronto del presidente del consiglio quando sono stato io oggetto di forti polemiche e attacchi mediatici da giornalisti lautamente pagati da stretti famigliari del presidente del Consiglio». Su questo il premier gli risponderà più tardi spiegando di non interferire con le scelte della direzione del Giornale e di avere comunque sollecitato la vendita del quotidiano ad una cordata di imprenditori che possano sgravare la famiglia Berlusconi.

L'AFFONDO SULLA LEGA - Dopodiché Fini è passato a rivendicare l'esigenza di un Pdl «davvero democratico». «Siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl - ha detto -. E non ci può essere chi viene messo al rogo. In tutte le famiglie politiche europee la leadership forte è frutto di una sintesi tra posizioni anche diverse». Poi il capitolo più spinoso, quello del rapporto con la Lega: «Al Nord stiamo diventando la loro fotocopia, siamo appiattiti sulle loro posizioni». Fini ha citato le politiche contro l'immigrazione, la mancata abolizione delle province, la mancata privatizzazione delle municipalizzate, tutti temi cari ai Lumbard. «Bossi sa esattamente cosa vuole e lo raggiunge con grande difficoltà». E dalle elezioni, per il numero uno di Montecitorio, è venuto fuori in tutta la sua prepotenza lo squilibrio tra Pdl e Lega: «Nel 2010 la Lega risulta prima in nove province del nord, nel 2005 non lo era in alcuna. Ed è passata dal 19 al 25% del nostro elettorato». La sudditanza nei confronti della Lega, ha sottolineato, la si vede anche nella mancanza di una posizione del Pdl sulle celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia, «che alla Lega non interessa».

DIFESA DELLA LEGALITA' - Fini ha poi parlato di difesa della legalità «che vuol dire più dell'elenco puntiglioso di operazioni delle forze dell’ordine: serve riforma della giustizia ma non bisogna dare l’impressione che serva a garantire sacche maggiori di impunità. E qualche volta l’impressione c’è, quando si ipotizzava la prescrizione breve era questo il messaggio che si dava».

LO SCONTRO IN PUBBLICO - Poi ha ripreso la parola Berlusconi e subito sono state scintille: «E' la prima volta che sento queste cose, non mi sono mai arrivate proposte in tal senso». Fini ha cercato di replicare dal pubblico e sono volate parole forti e dita puntate. Poi Berlusconi al microfono lo ha attaccato: «Tu nei giorni scorsi hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl», tra le proteste fuori microfono dello stesso Fini. Berlusconi ha però poi cercato di attenuare i toni, dicendo di accogliere con favore la proposta di Fini di un coordinamento dei governatori del Pdl per analizzare le modalità con cui attuare il federalismo fiscale. Quanto alla Lega, il Cavaliere ha ricordato che il partito di Bossi «ha fatto proprie le posizioni che erano di An sull'immigrazione e che poi sono state abbandonate». Una sottolineatura che è suonata come una frecciata diretta all'ex leader di An, che parlando di immigrazione aveva ricordato i valori ispiratori del Partito popolare europeo, a cui il Pdl fa riferimento. Quanto alle province, ha detto Berlusconi, abbiamo chiesto l'eliminazione delle province inutili, non delle province in sè. «Perché l'abolizione delle province porta ad un risparmio di soli 200 milioni» perché costi e competenze passerebbero alle regioni (tranne gli emolumenti dei consiglieri provinciali) e «sarebbe una manovra che scontenterebbe i cittadini».

«SMETTI DI FARE IL PRESIDENTE» - La calma ritrovata da Berlusconi è stata però persa pochi istanti più tardi: «I tuoi rilievi - ha poi detto Berlusconi rivolgendosi a Fini - sono cose che rappresentano percentualmente una piccola parte rispetto a tutto quello che si è fatto. Valeva la pena mettere in discussione il ruolo super partes di presidente della Camera per fare contrappunto quotidiano a noi?». Poi l'accusa di non avere neppure partecipato alla campagna elettorale per salvaguardare la terzietà dell'incarico istituzionale. «Non sei voluto neanche venire a piazza San Giovanni - ha sottolineato Berlusconi -, chi ha un ruolo istituzionale non può esprimere opinioni politiche, altrimenti lascia il suo ruolo e fa politica nel partito». Una sottolineatura che in mattinata era stata del presidente del Senato, Renato Schifani («Le incomprensioni nel centrodestra potrebbero essere meglio risolte con una maggiore presenza politica di Gianfranco Fini nel governo, in quanto lavorerebbe fianco a fianco con Berlusconi e si potrebbero realizzare quelle intese sulla politica del governo, agendo sullo stesso piano») e che già aveva sollevato critiche e perplessità tra molti parlamentari ed esponenti politici, essendo la nomina del presidente dell'assemblea votata dall'assemblea stessa e non decisa dai vertici di un partito. Il presidente della Camera, da parte sua, ha replicato con un gesto delle dita e chiedendo irnicamente: «Sennò mi cacci?».

Fonte: Corriere.it

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